Tanti pentiti e una sola verità

 

Dopo avere esposto, con ampia sintesi, la ricostruzione della fase esecutiva secondo la narrazione dei diretti protagonisti, appare opportuno riportare schematicamente le innegabili divergenze rilevabili nel loro racconto, per poi passare alla valutazione inferenziale della rilevanza probatoria delle discrasie, al fine di verificare se, dal confronto tra le dichiarazioni, emergano elementi tali da incrinare sensibilmente la loro sostanziale affidabilità ovvero se risulti comunque dimostrata la complessiva convergenza di esse nei rispettivi nuclei fondamentali.
Procedendo secondo l’ordine cronologico degli avvenimenti narrati, i punti di più evidente contrasto possono essere così sintetizzati.
GANCI Calogero ha riferito di essere stato incaricato – in unico contesto o in due diverse occasioni – dal padre Raffaele e da Gambino Giacomo Giuseppe di mettersi a disposizione di Madonia Antonino, incarico conferitogli mentre si trovava nella macelleria di via Lancia di Brolo alla presenza del fratello Stefano, del fratello Domenico e del cugino Anzelmo Francesco Paolo; quest’ultimo, invece, pur confermando l’episodio nelle sue linee essenziali, non ha citato la presenza di Ganci Domenico, né l’invito a mettersi a disposizione del Madonia, ribadendo tuttavia la piena consapevolezza del progetto criminoso da parte del predetto Ganci, avendone parlato con lui con assoluta certezza.
Del tutto marginali e comunque perfettamente giustificabili, atteso il gran numero di furti commessi ed il tempo trascorso, appaiono le incertezza del Ganci Calogero in ordine all’identità dei soggetti che avevano “adocchiato” la Fiat 126 dell’autoscuola – se cioè lui stesso ed il cugino Anzelmo, ovvero quest’ultimo ed il fratello Stefano – a fronte delle univoche dichiarazioni rese sul punto dall’Anzelmo che ha attribuito a Ganci Stefano l’individuazione della autovettura ed il furto a quest’ultimo ed a se stesso, mentre il Ganci Calogero, come sopra ricordato, ha rivendicato la paternità dell’asportazione dell’autovettura, pur non escludendo, a seguito di contestazioni, che l’autore materiale del furto potesse essere stato il fratello Stefano.
In realtà, come sopra compiutamente ricostruito, vi fu una fase di avvistamento protrattasi per più ore, con definitiva asportazione da parte di Ganci Stefano ed Anzelmo; univocamente sintomatica del cattivo ricordo del Ganci appare, peraltro, la circostanza che questi ha dimostrato di non saper nulla dell’operazione di smontaggio delle insegne dell’autoscuola eseguita dal Di Napoli, riferita dall’Anzelmo, assumendo di avere notato quelle insegne già staccate all’interno del garage (cfr.f.84, ud.24/3/1999).
D’altra parte, la versione fornita sul punto dall’Anzelmo appare più veritiera alla luce dei numerosi particolari forniti, avendo egli evidenziato le fasi del furto, fornito indicazioni sul luogo dove l’auto venne inizialmente posteggiata per potere procedere alla rimozione delle insegne dell’autoscuola, sull’identità del soggetto che aveva svolto tale operazione, sul successivo trasporto del mezzo al Fondo Pipitone e, soprattutto, sulla data di commissione del furto – due – tre giorni prima della strage – che ha trovato puntuale riscontro nella denuncia di furto sporta dal titolare dell’autoscuola Ribaudo Andrea.
È certamente da escludere che il Ganci Calogero abbia inteso sminuire la responsabilità del fratello attribuendosi un ruolo mai svolto.
Sul punto si rinvia a quanto già rilevato in ordine al tenore delle convincenti dichiarazioni rese dal Ganci, il quale non solo ha spiegato le ragioni della mancanza di un ricordo preciso, ma ha anche sottolineato che non aveva alcun interesse a “coprire” le responsabilità del fratello Stefano che pure aveva accusato di altri gravi delitti.
Ganci Calogero, a seguito di contestazioni, sopra ricordate, ha ribadito che la notte che precedette la strage non era stata eseguita alcuna prova di funzionamento del telecomando presso il fondo Pipitone, assumendo che probabilmente nel corso del verbale in data 2/8/1996 era stato forse frainteso ovvero si era espresso male, in quanto non ricordava che quella notte fossero state effettuate prove, eseguite invece qualche giorno prima.
In realtà, nonostante la rettifica dibattimentale da parte del Ganci, va rilevato che anche l’Anzelmo, nel corso del suo esame, ha fatto specifico riferimento ad una prova eseguita nel corso di quella notte, riferendo di avere notato, in una sorta di saletta da pranzo, un telecomando su “una tavola” del tipo di quelle che vengono usate in carpenteria “con un grosso chiodo piantato al centro e poi c’era un altro chiodo con un congegno”.
In quell’occasione aveva visto Giovanni Brusca nell’atto di prendere il telecomando, uscire fuori ed eseguire una prova; a quel punto aveva notato “.. questa tavola con questo chiodo piantato al centro, con un altro chiodo messo così, che con un marchingegno pressando lui il telecomando girava e andava a toccare questo chiodo piantato al centro”. Il Ganci e l’Anzelmo hanno concordemente confermato che nel corso della notte antecedente alla strage il Madonia ed il Brusca si erano allontanati dal fondo Pipitone per eseguire “altri accorgimenti nella macchina”; il loro racconto invece diverge in ordine alla composizione del corteo e degli equipaggi delle autovetture che partirono dal garage di
via Ammiraglio Rizzo per dirigersi in via Pipitone Federico.
Il Ganci ha riferito che il Madonia si mise alla testa del corteo, seguito dalla 126 condotta dal Brusca ed ancora più indietro da lui stesso e dall’Anzelmo a bordo di altra autovettura, seguiti dal Ganci Raffaele, fino alla via Pipitone Federico.
Con riferimento al proprio padre, in sede di controesame, preciserà che nel momento in cui la 126 uscì dal garage lo stesso era presente ma non lo aveva più visto nel momento in cui erano partiti da quel posto verso la via Pipitone Federico; il padre si era poi incontrato con il Gambino in quella traversina dove lo aveva rivisto insieme a quest’ultimo con la R5.( cfr.f.212,ud.17/3)
Ha quindi ribadito che il corteo era composto da tre autovetture disposte nell’ordine sopra precisato.(ff.111-112,ud.cit).
L’Anzelmo, invece, ha riferito che, giunto alle “palme“, aveva visto Giovanni Brusca sulla 126 da solo, perchè Enzo Galatolo frattanto aveva fatto ritorno al fondo Pipitone, mentre lui stesso, Ganci Calogero e Nino Madonia a bordo di una stessa autovettura avevano battuto la strada a Giovanni Brusca per andare in via Pipitone Federico.
Escludeva di avere visto in quel posto(“alle palme”) anche il Ganci Raffaele, che invece aveva incontrato successivamente nei pressi della Chiesa di S.Michele.(f.94,ud.9/3/1999).
Entrambi tuttavia hanno riferito l’episodio della mancata collisione con l’autovettura condotta dal Brusca che li precedeva.
Un altro punto di divergenza tra il Ganci e l’Anzelmo riguarda l’avvistamento del camion.
Il primo ha dichiarato di avere effettuato alcuni giri nella zona insieme al cugino Anzelmo e, passando davanti la pasticceria, aveva visto posizionato nella via Pipitone Federico, ad angolo con la via Pirandello, quasi in doppia fila, a circa 80-100 metri in linea d’aria dal luogo dove era stata posteggiata l’autobomba, e sul lato opposto rispetto a quello della FIAT 126, un camion leoncino di colore rosso, nella cabina del quale aveva preso posto il Madonia Antonino che, poco dopo, si era spostato sul cassone dello stesso automezzo sul quale erano collocati bidoni da 200 litri ed altro materiale edile.
L’Anzelmo, invece, ha innanzitutto riferito di un momentaneo rientro al fondo Pipitone, insieme al Ganci- che però non fa cenno della circostanza – ciascuno a bordo di una autovettura, per fare poi ritorno in via Pipitone Federico dove, nei pressi della chiesa di S.Michele, aveva notato oltre a Pippo Gambino e Ganci Raffaele, anche Giovanni Ferrante e Nino Madonia con un camion; ma entrambi concordano sul fatto di essersi collocati sulla gradinata della chiesa.
Ciò stante, appare verosimile presumere che mentre il Ganci ha parlato degli ultimi momenti che precedettero l’esplosione quando il camion era già collocato nella posizione definitiva, l’Anzelmo invece ha fatto riferimento ad una fase precedente.
Vero è che, in effetti, il Ferrante, conducente del mezzo, non ha fatto cenno ad un passaggio con il camion nei pressi della Chiesa, ma bisogna pur tuttavia considerare che lo stesso ha più volte ribadito di non conoscere bene quella zona e che appare molto probabile che l’avvistamento del camion da parte dell’Anzelmo con a bordo il Ferrante ed il Madonia in quel posto vada correlato con un passaggio di questi ultimi due in quella zona nella fase transito dal luogo in cui il Madonia era stato preso a bordo a quello teatro della strage.
È appena il caso di rilevare, infatti, che il Ferrante ha dichiarato di essersi fermato nei pressi di villa Sperlinga per fare salire sul camion il Madonia e che da un attento esame delle cartine topografiche della città, acquisite agli atti, può agevolmente rilevarsi l’estrema vicinanza tra alcune strade che costeggiano la Villa Sperlinga, la Piazza S.Michele Arcangelo e la zona dell’attentato, con particolare riguardo alle vie Giuseppe Giusti ed Alfredo Giovanni Cesareo che incrociano le vie G. Leopardi e F.sco Lo Jacono, tutte contigue ed in qualche modo probabilmente ricadenti nell’itinerario seguito dal Ferrante e dallo stesso ricostruito con estrema difficoltà ed approssimazione per la scarsa conoscenza dei luoghi e delle traverse che “in quel punto sembrano tutte uguali, a partire da via Notarbartolo ad arrivare a villa Sperlinga”. (cfr. Ferrante).
Con riferimento al momento dell’avvistamento del camion da parte dell’Anzelmo appare opportuno rilevare come sia estremamente fuorviante la frase testuale di quest’ultimo secondo cui “ prima delle otto, ci siamo visti verso la chiesa di San Michele, e qua vedo pure a Pippo Gambino, Ganci Raffaele e Giovanni Ferrante con un camion, e Nino Madonia, ovviamente”, atteso che essa potrebbe indurre a ritenere che tutti i predetti fossero a bordo del camion- circostanza che non trova alcun riscontro nella ricostruzione fornita dal Ferrante, conducente del mezzo – mentre è evidente la funzione di iato che il collaboratore ha inteso attribuire alla congiunzione per accomunare gli ultimi due soggetti citati(Ferrante e Madonia) correlandoli all’automezzo, all’interno della cui cabina, peraltro, non avrebbero potuto prendere posto quattro persone.
Tanto premesso in ordine alle divergenze più significative riscontrate nel quadro ricostruttivo emergente dal racconto dei collaboratori sopra citati, rileva la Corte che pregiudiziale ad una corretta valutazione di sintesi delle versioni fornite appare l’esame delle modalità di trasferimento dell’autovettura carica di esplosivo dal garage sito in una traversa della via Ammiraglio Rizzo al luogo dell’attentato, al fine di verificare, in relazione alle fasi immediatamente successive, quale possa essere l’ipotesi più attendibile alla stregua di criteri di rigida e corretta conseguenzialità logica, non senza aver fin d’ora fatto rilevare come le pur evidenti discrasie, anche su punti di un certo rilievo fattuale, non appaiono univocamente sintomatiche di mendacio, né di tentativo mal riuscito di reciproco e pedissequo recepimento manipolatorio.
Vero è, per contro, che gli articolati racconti, qualificati da una notevole ricchezza di contenuti descrittivi, non potevano restare immuni dal pericolo che il lungo lasso di tempo frattanto trascorso dal fatto – ben oltre tredici anni alla data dell’inizio della collaborazione – potesse dar luogo ad imprecisioni, sovrapposizione di ricordi, smagliature e discrasie le quali, lungi dall’apparire come indici rivelatori di inattendibilità, depongono, piuttosto, non solo per l’assenza di fenomeni di “contaminatio” e di pedissequa ripetitività, ma altresì per la derivazione originale di ciascuna dichiarazione dal proprio autore.
Un’attenta valutazione del racconto dei collaboratori esaminati induce la Corte a ritenere che l’ipotesi più attendibile in ordine alle modalità dello spostamento dal luogo in cui era stata custodita la Fiat 126 carica di esplosivo alla via Pipitone Federico sia quella correlabile con la versione fornita dall’Anzelmo, il quale, come sopra esposto, ha riferito che, giunto alle “palme“, aveva visto Giovanni Brusca sulla 126 da solo, perchè Enzo Galatolo frattanto aveva fatto ritorno al fondo Pipitone, mentre lui stesso, Ganci Calogero e Nino Madonia a bordo di una sola autovettura avevano battuto la strada a Giovanni Brusca per andare in via Pipitone Federico.
Tutto ciò, invero, appare molto più credibile, innanzitutto perché rende più verosimile la riferita mancata collisione tra le autovetture che procedevano in fila, determinata da un repentino rallentamento della marcia da parte del Madonia, il quale era l’unico fra i tre occupanti l’autovettura a conoscere i dettagli tecnici del progetto criminoso e quindi la necessità di dover ancora collegare i detonatori.
Se Ganci, come lo stesso ha riferito, vide il cenno di Madonia a Brusca(“c’era il Madonia che faceva segnale dalla macchina davanti, tipo…o di fermarsi, comunque, faceva segnali”), deve presumersi necessariamente che i due si trovassero a bordo della stessa autovettura, perché se il primo si fosse trovato su una terza autovettura che seguiva la 126 guidata dal Brusca non avrebbe potuto vedere i segnali del Madonia che procedeva alla testa della fila.
Il contatto sfiorato trova una plausibile spiegazione nel fatto che il Brusca, forse un pò distratto, continuava la propria marcia, sicchè la frenata di Madonia avrebbe potuto comportare il rischio di una collisione.
Significativo appare il fatto che gli unici a ricordare con preoccupazione l’episodio sono l’Anzelmo ed il Ganci perché solo loro non sapevano che l’esplosivo non poteva comportare alcun rischio nel caso di tamponamento, atteso che il detonatore non era stato ancora innescato.
Da parte sua il Brusca non aveva di che temere e non ha, quindi, conservato alcun ricordo dell’episodio, anche perché Anzelmo e Ganci commentarono tra loro lo scampato pericolo e non esternarono ad altri la loro preoccupazione.
È da ritenere che in occasione di questa fermata l’Anzelmo ed il Ganci siano scesi ed a piedi abbiano raggiunto la macchina da spostare – per far posto alla 126 guidata dal Brusca – con il normale atteggiamento di chi va a prelevare la propria autovettura in sosta, senza destare alcun sospetto in un eventuale osservatore.
Ben più macchinosa e meno discreta si sarebbe rivelata l’operazione se vi fosse stata una terza autovettura da parcheggiare o dalla quale, comunque – secondo la versione del Ganci- sarebbe dovuto scendere l’Anzelmo per spostare quella posteggiata dinanzi la portineria.
Non appare logico, peraltro, l’assunto del Ganci – che ha riferito di una terza auto sulla quale aveva preso posto il solo Madonia alla testa del corteo – secondo cui il Madonia avrebbe lasciato la sua macchina nei dintorni per dare direttive ad Anzelmo, il quale, a sua volta, avrebbe lasciato non si sa dove la macchina spostata e poi sarebbe nuovamente salito sull’autovettura del Ganci, e frattanto sarebbe ricomparso il Madonia con la sua macchina sulla quale avrebbe preso posto Brusca.
Le modalità operative si rivelano molto più semplici e funzionali alla buona riuscita della fase esecutiva, ipotizzando che il corteo fosse formato da due sole macchine e che le azioni di ciascuno dei protagonisti si siano svolte nel seguente modo.
Mentre Brusca, dopo una breve sosta all’angolo o comunque nei pressi della via Pipitone Federico, innescava il detonatore aprendo il cofano, Ganci e Anzelmo si dirigevano a piedi verso il palazzo del dr.Chinnici e spostavano l’autovettura per far posto alla 126; frattanto il Madonia proseguiva con la sua auto in direzione della pasticceria posteggiandola nelle immediate vicinanze, là dove, di lì a poco, sarebbe stata trovata dal Brusca, proprio dietro il camion condotto dal Ferrante.
Il Brusca posteggiava la 126 davanti la portineria e dopo avere compiuto le operazioni sopra descritte si avviava a piedi in direzione del camion imboccando, prima di averlo raggiunto, una traversa dove trovava ad attenderlo l’Anzelmo ed il Ganci con i quali effettuava alcuni giri di controllo nella zona. Frattanto il Madonia raggiungeva a piedi il vicino posto in cui si sarebbe incontrato con il Ferrante, salendo a bordo del camion e dirigendosi con lo stesso verso il luogo in cui si sarebbero posizionati per attivare la carica a distanza, e collocandosi infine davanti l’autovettura Fiat Uno che lo stesso Madonia poco prima aveva posteggiato nei pressi della pasticceria.
L’ipotesi che il Madonia abbia molto probabilmente raggiunto a piedi il luogo dell’appuntamento con il Ferrante risulta suffragato dal rilievo che lo stesso, dopo l’esplosione, si allontanò dalla via Pipitone Federico con il Ferrante a bordo del camion dal quale discese per prendere posto sull’autovettura del Brusca che li seguiva ed insieme al quale raggiunse la Via D’Amelio che era stata la loro base logistica la notte precedente.
Sotto tale profilo appare evidente come nell’economia della fase esecutiva la presenza di una autovettura dietro il camion fosse perfettamente funzionale all’esigenza del Brusca di allontanarsi repentinamente dopo l’esplosione – evitando nell’immediatezza di far scendere il Madonia dal cassone per farlo salire sulla Fiat Uno – e prenderlo a bordo in un posto più distante, dovendo entrambi raggiungere la via D’Amelio, mentre il Ferrante aveva un ben diverso itinerario: ne costituisce riscontro di ordine logico il concitato bussare con i pugni contro l’oblò della cabina da parte del Madonia per sollecitare il Ferrante ad una partenza quanto più veloce possibile da quella zona senza attendere che egli scendesse dal cassone.
Non può peraltro escludersi che il Madonia, dopo avere lasciato la Fiat Uno nei pressi della pasticceria, abbia raggiunto a piedi la vicinissima Chiesa e che ivi abbia potuto incontrarsi con qualche altro uomo d’onore (per es. Ganci Raffaele), della cui presenza in zona, giova ricordarlo, ha pur riferito il Brusca (Galatolo Vincenzo, Puccio Vincenzo e Pino Greco, detto “Scarpa”), che potrebbe averlo accompagnato nel luogo dell’appuntamento – dove il Ferrante, come è noto, ha riferito di averlo trovato a piedi – per fare subito rientro nella piazza S.Michele.
La dinamica sopra descritta consente di ritenere plausibile il racconto del Ferrante il quale, come sopra ricordato, ha riferito di avere notato “un movimento di macchine”, e cioè il Brusca che parcheggiava la 126, che effettuava gli ultimi preparativi e si attardava per far sparire eventuali impronte dalla carrozzeria, scendendo infine dall’autovettura e dirigendosi verso di lui.
È appena il caso di rilevare che anche il Brusca ha riferito di essersi avviato a piedi verso il camion e di essere stato accompagnato proprio a ridosso del Leoncino dal Ganci e dall’Anzelmo, sebbene questi non abbiano fatto cenno della circostanza; occorre tuttavia osservare che il Ferrante ha confermato di avere visto il Brusca sparire alla sua vista in una traversa mentre procedeva a piedi verso di lui, sicchè non può escludersi che quest’ultimo abbia effettivamente trovato il Ganci e l’Anzelmo in una traversa ed abbia fatto con loro qualche giro di perlustrazione.
È da escludere, invece, che vi si stato un temporaneo rientro al Fondo Pipitone da parte del Ganci e dell’Anzelmo – di cui solo quest’ultimo parla e non anche il primo – ed il successivo appuntamento, poco prima delle ore 8,00, nei pressi della chiesa di San Michele: può fondatamente presumersi che l’Anzelmo confonda un episodio che avvenne dopo per una sovrapposizione di ricordi.
Il rientro, invero, non appare funzionale ad alcuna esigenza operativa in quella delicata fase che precedette di poco l’attivazione della carica esplosiva, chè anzi avrebbe potuto danneggiare l’esecuzione del progetto, e contrasta insanabilmente con le dichiarazioni di tutti i collaboratori che hanno indicato come presenti costantemente ed insieme le coppie Madonia- Brusca e Ganci- Anzelmo, ove si consideri che lo stesso Ganci ha dichiarato di non essersi mai separato dal cugino se non per pochi istanti.
Non può peraltro essere sottaciuto che le giustificazioni fornite dall’Anzelmo, sopra riportate, in ordine alle esigenze sottese al temporaneo rientro al fondo dei Galatolo non appaiono del tutto plausibili e depongono per un impreciso ricordo.
Illogico appare altresì quell’affollato appuntamento di tutti quanti nei pressi della Chiesa di San Michele, compreso il camion con a bordo il Ferrante ed il Madonia, tanto più ove si consideri che l’incontro è stato collocato poco prima delle 8,00 (7,30-740-7,45) mentre il camion a quell’ora era già all’altezza della pasticceria svizzera e non si mosse da lì.
Anzelmo evidentemente vide, come tutti gli altri, il camion e Ferrante quando spostò la macchina e sovrappone ricordi.
Alla stregua della supposta ricostruzione, risulta evidente come sia soltanto apparente la discrasia rilevabile nel racconto dei collaboratori protagonisti della fase esecutiva in ordine ai movimenti del Madonia nel luogo teatro della strage, atteso che mentre il Ferrante, come sopra ricordato, ha sostenuto che il predetto era rimasto sempre con lui, altri coimputati vi hanno attribuito condotte che sembrerebbero postulare una separazione del primo dal conducente del camion.
È appena il caso di rilevare, infatti, che le azioni poste in essere dal Madonia dal momento del trasferimento dal garage al luogo della strage vanno collocate in una fase temporale antecedente all’incontro con il Ferrante, dal quale effettivamente non si separò fino a quando non discese dalla cabina per collocarsi sul cassone. Va tuttavia osservato che anche l’assunto del Brusca di avere trovato il Madonia a bordo della Fiat Uno posteggiata dietro il camion, poco prima dell’esplosione, appare perfettamente compatibile con i movimenti di quest’ultimo prima di salire sul cassone, non potendosi escludere che sceso dalla cabina abbia preso posto per poco tempo sulla Fiat Uno in attesa del Brusca, il quale ha infatti dichiarato che appena salito su detta autovettura il Madonia ne discese per posizionarsi sul cassone del Leoncino.