L’alibi che non regge

Il nucleo centrale della linea difensiva sostenuta dal Madonia Antonino per smentire le convergenti chiamate in correità nei suoi confronti risulta costituito dall’assunto di avere vissuto per molti anni in Germania dove svolgeva regolare attività lavorativa, deducendo altresì un alibi per il giorno della strage ed assumendo di essere stato sottoposto ad un controllo da parte della polizia tedesca nella città di Costanza, ove all’epoca risiedeva.
Sulla presenza del Madonia in Germania, sulla assiduità della sua permanenza in quel paese e sui motivi della stessa i collaboratori Anzelmo e Brusca hanno reso concordi dichiarazioni nel senso del carattere fittizio e di copertura dell’attività lavorativa svolta all’estero dal coimputato e, comunque, sulla sua costante presenza a Palermo, […].
Il quadro probatorio emergente dagli elementi acquisiti sul punto consente di ritenere ampiamente provato che il tentativo difensivo dell’imputato di accreditare la tesi della costante presenza in Germania deve ritenersi pienamente fallito, essendo stato smentito dalle concordi ed attendibili dichiarazioni rese dai collaboratori esaminati, la cui autonomia ne suffraga l’attendibilità
Ed invero, tutte le fonti referenti sono state concordi nell’escludere che il Madonia fosse costantemente assente dalla Sicilia per curare i suoi affari illeciti in Germania, essendo vero il contrario, come dimostrato dal protagonismo operativo che ne ha qualificato la condotta nelle più efferate imprese criminali degli anni ’80.
La sua pressochè costante presenza in Sicilia, interrotta da saltuari viaggi in Germania, appare perfettamente compatibile con una distanza percorribile in poche ore – lo stesso imputato ha parlato di tre ore – tanto più ove si consideri che la città di Costanza, dove nel luglio del 1983 il Madonia avrebbe risieduto, dista appena 40 Km. da Zurigo, città che anche all’epoca era ben collegata con voli giornalieri con l’Italia, con coincidenze per Palermo.
Tralasciando per il momento il tema specifico degli accertamenti esperiti tramite rogatoria internazionale, del cui esito si dirà più avanti, la Corte ritiene possibile, alla luce dell’episodio occorso al Madonia nel dicembre del 1982, che l’imputato abbia avvertito la necessità di precostituirsi un alibi, raggiungendo la Germania subito dopo la strage, senza che tuttavia una eventuale accertata presenza in quel paese alle ore 14,00-14,30 – come dedotto dallo stesso Madonia – valga ad escluderne la possibilità di una effettiva partecipazione alla fase esecutiva dell’attentato, atteso che dalle ore 8,00 del mattino l’imputato avrebbe avuto tutto il tempo per raggiungere in aereo quel paese in un orario compatibile con l’asserito controllo di polizia delle ore 14,00.
Non pare alla Corte che le argomentazioni difensive addotte a sostegno della prospettata inattendibilità dei collaboratori esaminati, sul rilievo delle tardive propalazioni in ordine a quella che è stata definita una “attività di copertura” all’estero, colgano nel segno, atteso che, come gli stessi hanno chiarito con plausibili considerazioni nel corso del rispettivo controesame, non avevano avuto l’opportunità di riferire prima il particolare dei viaggi in Germania del Madonia, atteso che gli inquirenti non erano in possesso di elementi di conoscenza sul punto e, quindi, non avrebbero avuto alcun motivo di formulare domande sull’argomento.
Non può essere sottaciuto che i collaboratori sono stati sentiti sull’argomento per la prima volta in dibattimento e tutti concordemente hanno fatto riferimento ai rapporti di cointeressenza tra il Madonia e Vito Roberto Palazzolo, alla saltuaria permanenza dell’imputato in Germania e ad una attività di copertura nel settore dei preziosi che avrebbe potuto essere sfruttata nel caso di coinvolgimento in procedimenti penali, e ciò, ovviamente, non in relazione ad eventuali chiamate in correità da parte di collaboratori, essendo il relativo fenomeno ancora troppo lontano, ma in ottemperanza a regole di normale prudenza che nascevano dalla consapevolezza che gli organi di polizia ben avrebbero potuto orientare le indagini nei suoi confronti.
Va peraltro rilevato che il Madonia Antonino non era affatto sconosciuto alle forze dell’ordine, e non soltanto per l’episodio delle bombe di Capodanno.
Tutta la famiglia, invero, già da anni costituiva oggetto di attenzione investigativa sia in relazione all’omicidio del capitano dei carabinieri Emanuele Basile, comandante della compagnia di Monreale, ucciso il 4/5/1980, per il quale erano stati tratti in arresto, nella quasi flagranza, Puccio Vincenzo, Bonanno Armando e Madonia Giuseppe, fratello dell’odierno imputato, sia per le indagini che avevano già determinato l’arresto del padre, Madonia Francesco e dei fratelli Salvatore e Giuseppe, per reati di criminalità organizzata di tipo mafioso.
In un contesto come quello sopra delineato appare del tutto plausibile la predisposizione di un espediente difensivo che potesse plausibilmente far leva su una frequente presenza in Germania giustificata da cointeressenze in attività economiche formalmente lecite, documentalmente dimostrabili.
Estremamente significativo appare l’episodio  dell’ingresso clandestino nel carcere dell’Ucciardone riferito da Ganci Calogero (cfr.ud.17/3), il quale ha dichiarato che nel 1981 mentre erano in corso dei lavori edili all’interno dell’istituto, consistenti nella demolizione della camera mortuaria mediante l’impiego di pale meccaniche di tale Rizzuto, un camionista, Bonura Giuseppe, che era abilitato ad entrare per effettuare trasporti di sabbia, gli aveva consentito di accedere all’interno del carcere con il camion facendogli indossare una tuta da meccanico e consentendogli di incontrare Madonia Francesco, Madonia Giuseppe e Bonanno Armando.
Successivamente lo stesso Bonura aveva fatto entrare con lo stesso stratagemma il Madonia Antonino il quale aveva avuto così l’opportunità di incontrarsi con il padre.
L’espediente dimostra la volontà del Madonia di non lasciare tracce documentali, attraverso le annotazioni nei registri dei colloqui, della sua presenza a Palermo, atteso che dalla documentazione ufficiale acquisita non risulta che abbia fruito di colloqui con il genitore, sebbene potesse legittimamente richiedere il rilascio della relativa autorizzazione.
Sulla scorta della documentazione acquisita e delle deposizioni rese (cfr.ud.20 e 27/10/1999) dai testi De Gesu Gianfranco e Drogo Michele, rispettivamente direttore ed ispettore della polizia penitenziaria presso la Casa Circondariale di Palermo risulta provata la circostanza riferita dal Ganci in ordine ai lavori edili eseguiti tra la fine del 1981 e l’inizio del 1982 all’interno di quell’istituto per la realizzazione di un’area attrezzata e per lo svolgimento di attività sportiva e ricreativa.
Il teste Rizzuto Eugenio (ud.22/12/1999), titolare di una ditta di movimento terra con mansioni di “palista” ed autista, pur sostenendo di non ricordare di essersi avvalso della collaborazione di un autotrasportatore di nome Bonura Giuseppe ( “in questo momento non ce l’ho presente, .. Magari se lo vedo, se… Non so cosa dirle”), ha tuttavia ammesso di avere effettuato lavori all’interno del carcere dell’Ucciardone nel periodo sopra citato avvalendosi della collaborazione di soggetti di cui non è stato in grado di riferire i nomi.
L’attendibilità delle dichiarazioni rese dal Ganci sull’episodio in esame risulta comunque suffragata, complessivamente, oltre che dalle acquisizioni processuali sopra illustrate, anche dalla personalità del Rizzuto il quale ha confermato di essere stato tratto in arresto nel 1993 insieme Ganci Raffaele, Ganci Domenico ed Anzelmo Francesco Paolo nonché di essere stato sottoposto a misura di prevenzione personale e patrimoniale, essendo stato ritenuto un prestanome dei Ganci.
Per quanto riguarda gli specifici accertamenti disposti in ordine all’alibi prospettato dall’imputato, va preliminarmente rilevato, che secondo le acquisizioni processuali, il controllo che il Madonia assume di avere subito da parte della polizia tedesca il 29 luglio 1983, non solo non risulta provato, ma non aveva neppure ragione di essere disposto a quella data, atteso che le indagini sulla presenza del predetto in Germania furono attivate per la prima volta con la nota della Squadra Mobile di Palermo in data 30.7.1983 – acquisita all’udienza del 15/6/1999 – ed il relativo esito venne comunicato ufficialmente con nota dell’INTERPOL n. 123/409756/57.9.102/22 del 4.8.1983, acquisita agli atti sia nell’originario testo in lingua tedesca, sia nel testo in lingua italiana integralmente trasfuso nella nota dell’INTERPOL in data 18/10/1999, trasmessa in evasione della richiesta formulata dalla Corte con nota n.19/98 del 16/10/1999.
Le superiori emergenze processuali consentono innanzitutto  di ritenere sufficientemente provato che anche nel caso in cui le autorità tedesche avessero svolto indagini sul conto del Madonia, a richiesta dell’autorità giudiziaria o di polizia, in ogni caso le stesse non sarebbero state attivate se non dopo la richiesta ufficiale del 30 luglio 1983, che peraltro appare abbastanza tempestiva rispetto all’evento del giorno prima che vi aveva dato causa, soprattutto se valutata in relazione ai tempi minimi per organizzare e coordinare le indagini dopo un fatto di così devastante gravità.
È appena il caso di rilevare come sia del tutto indimostrata ed indimostrabile l’ipotesi ventilata dalla difesa – chiaramente funzionale all’accredito dell’asserito controllo in data 29/7/1983 dedotto dall’imputato – di una possibile richiesta formulata da organi investigativi italiani a quelli tedeschi per le vie brevi – per esempio telefonicamente – nell’immediatezza della strage, atteso che non risulta acquisito alcun elemento obiettivo che valga a suffragarne la fondatezza, tanto più ove si consideri che normalmente i rapporti di cooperazione internazionale tra organi di polizia stranieri sono connotati dal rigoroso rispetto formale di regole e canali ufficiali di comunicazione, e solo negli ultimi anni sono stati sensibilmente snelliti e resi più rapidi ed efficienti.
Il teste Honorati ha chiarito che nello stesso mese in cui era stata notata la presenza del Madonia nello stabile di via Pipitone Federico, alla fine di dicembre, parlando di quell’episodio con i colleghi della Squadra Mobile, era venuto a conoscenza che l’imputato era stato controllato a Palermo nell’aprile dell’82 ed era stato poi denunciato per guida senza patente perché scaduta; in quella circostanza agli agenti operanti il Madonia aveva riferito di non essere più residente in Italia, ma di  trovarsi in Germania, fornendo anche un indirizzo.
Per tale motivo nel dicembre 1983 era stata inoltrata quella richiesta
all’Interpol, poi rimasta inevasa.
La questione era stata poi ripresa il giorno della strage, o in quelli immediatamente successivi, proprio in considerazione del ricordo di quell’episodio, e l’ufficiale redasse un appunto, datato 1/8/1983, “da mettere agli atti per la verifica, per le indagini che si potessero fare”.
A specifica domanda della difesa il teste ha precisato che nell’immediatezza della strage non furono attivate ricerche perchè sapevano che il Madonia era irreperibile e non avevano “riferimenti dove andarlo a cercare”, dichiarando testualmente: “No, niente, accertamenti diretti non ce ne furono, soltanto che io riferii agli altri collaboratori che facevano indagine di questo precedente che c’era stato e che, quindi, poteva essere un soggetto da considerare nello sviluppo poi delle indagini”.
La difesa ha cercato di prospettare surrettiziamente che il giorno stesso della strage potessero essere stati attivati accertamenti presso le autorità di polizia tedesche attraverso canali informali, ponendo specifiche domande sul punto al teste, il quale, pur ammettendo che nella prassi può talvolta accadere di richiedere notizie per le vie brevi, ha tuttavia precisato che ciò presuppone l’esistenza di canali personali di conoscenza tra il funzionario italiano ed il collega straniero.
Ha tuttavia escluso di avere attivato con siffatte modalità canali informativi per richiedere ad organi collaterali della polizia tedesca accertamenti urgenti sul conto del Madonia subito dopo la strage.
Traendo spunto, inoltre, dalla locuzione figurante nell’ultimo capoverso della nota più volte citata del 23/12/1982 – laddove si faceva riferimento ad un “accertato” trasferimento del Madonia in Germania (“Lo stesso in Palermo è irreperibile…. Poichè è stato accertato che lo stesso si sarebbe trasferito in Germania……) – la difesa in sede di esame ha insistito per avere chiarimenti sulla natura di tale accertamento che, se positivamente riscontrato, avrebbe fornito una conferma all’assunto dell’imputato di avere risieduto stabilmente in quel paese.
Il teste ha tuttavia chiarito che in realtà, ad onta della impropria locuzione adoperata nella nota, l’asserita residenza estera non aveva costituito oggetto di specifico accertamento, ma era piuttosto una circostanza dedotta dall’imputato che era stata “accettata” e cioè “tenuta per buona” sulla scorta di quanto riferito dall’interessato in occasione di quel controllo di polizia nell’aprile ’82.
[…]
Un ulteriore dato processuale estremamente significativo per escludere che il giorno stesso della strage siano stati attivati accertamenti tramite richieste informali ad organi investigativi tedeschi è costituito dalla stessa data dell’appunto redatto dall’allora cap. Honorati, se posto in relazione con la risposta dallo stesso fornita ad una specifica domanda posta dal pubblico ministero :
P.M. – Ha detto di non ricordare il momento in cui il Madonia, cioè il momento in cui si parlò del Madonia, se lo stesso giorno, il giorno successivo, la sera della strage.
TESTE HONORATI: – Io, facendo una ricostruzione, credo che se ne parlò il giorno stesso, tant’è vero che l’appunto che poi ho presentato agli atti è del giorno successivo, del primo agosto, quindi se n’è parlato nell’immediatezza.
P.M. – Quindi, sostanzialmente, io vorrei chiedere questo: se voi – questa è la domanda che le vorrei fare – il giorno della strage avete effettuato ricerche per verificare se il Madonia fosse o meno a Palermo.
TESTE HONORATI: – No.
È appena il caso di rilevare che l’appunto reca la data del 1° agosto 1983 e, quindi, non del giorno successivo bensì di tre giorni dopo la strage, mentre la prima richiesta ufficiale all’Interpol fu inoltrata con il telex del 30/7/1983, e quindi abbastanza tempestivamente se valutata in relazione al fisiologico “ritardo” connesso con i tempi minimi per avviare e coordinare quella complessa attività investigativa che un strage così efferata, la prima commessa con quelle modalità, dovette certamente comportare.
Non può peraltro essere trascurato un dato significativo acquisito agli atti, che sembra smentire l’ipotesi di una possibile richiesta informale ed urgente, costituito dallo stesso tenore del telex CAT.M.1/83 datato 30/7/1983 trasmesso dalla Squadra Mobile di Palermo al Centro CRIMINALPOL-INTERPOL di Roma – acquisito all’udienza del 15/6/1999 – dal quale si desume chiaramente che la richiesta di accertamenti da esperire in Germania non aveva per oggetto la specifica verifica di un alibi per il giorno della strage, quanto piuttosto l’effettiva residenza in quel paese e se il Madonia si fosse allontanato nel corso di quell’anno dalla località in cui risultava svolgere attività lavorativa. […].

[…] Come sopra anticipato, un dato estremamente inquietante è costituito dalla sintomatica tardività che ha connotato la prospettazione dell’alibi, soprattutto se si considera che se fosse vero il controllo operato da organi di polizia tedeschi alle ore 14,00 del 29/7/1983 il Madonia non avrebbe mancato di farlo rilevare tempestivamente nel corso del primo interrogatorio di garanzia, atteso il decisivo valore probatorio che avrebbe assunto per la sua linea difensiva l’esito positivo di una immediata verifica attraverso affidabili canali ufficiali, i quali, proprio perché costituiti da organi pubblici e, peraltro, stranieri – ben più immuni, pertanto, dal sospetto di persecutorie impostazioni investigative
– avrebbero certamente evaso attendibilmente eventuali specifiche richieste di accertamenti da parte delle autorità italiane. […] Ed invero l’imputato, richiesto di spiegare come mai non avesse dedotto l’alibi nell’immediatezza del primo interrogatorio reso all’autorità giudiziaria, ha sostanzialmente dichiarato che aveva ritenuto inopportuno scoprire le carte anticipatamente per timore che, come accaduto in altra precedente vicenda giudiziaria, il quadro probatorio venisse artificiosamente modificato in suo danno per superare e neutralizzare gli argomenti difensivi addotti.
Appare opportuno riportare integralmente alcuni brani dell’esame dibattimentale:
AVV. IMPELLIZZERI: – Sì. Lei oggi sta rassegnando alla Corte questa sua presenza nel giorno della strage, questo alibi, chiamiamolo così, in termini giuridici. Io le chiedo questo: lei è stato catturato, è in custodia cautelare ancora per questo fatto. Le ricorderà perfettamente  che è stato interrogato con tutte le garanzie previste dalla Legge penale. Lei, prima di oggi, ha mai rassegnato al G.I.P. o all’Autorità Giudiziaria questo alibi che lei oggi sta narrando alla Corte?
IMPUT. MADONIA: – No, no, non l’ho mai rassegnato e, anzi, sono stato, diciamo, … restio a parlarne anche con i legali, per la verità, ecco.
AVV. IMPELLIZZERI: – Ecco, quindi lei al G.I.P. in sede di interrogatorio non parlò di questo alibi.
IMPUT. MADONIA: – No.
AVV. IMPELLIZZERI: – Si rifiutò di rispondere, si avvalse della facoltà di non rispondere o rispose parzialmente? Cosa ricorda lei di quell’interrogatorio?
IMPUT. MADONIA: – Io quello che ricordo dell’interrogatorio è che mi protestai innocente e nello stesso tempo, diciamo, lamentai, diciamo, e denuncia con forza la fuga di notizie che era avvenuta con la pubblicazione, diciamo, del… delle dichiarazioni quasi per intero nel… nel tempo, diciamo, ecco, a fare fede dal 21 giugno del 1996 da parte dei collaboratori. Io per prima cosa mi riferisco alle dichiarazioni di Ganci Calogero, che furono, diciamo, divulgate per mezzo di stampa e ancora di più, diciamo, con i mezzi televisivi. Quando mi riferisco ai mezzi televisivi mi riferisco al… alla TV, diciamo, sia quelle nazionali, primo… il primo canale, il secondo canale, Rai 3, che trasmette i notiziari regionali, e poi tutte le… le TV, diciamo, locali con… con tutto quello che era stato, diciamo così, stato dichiarato dal collaboratore; in questo caso era stato prima il Ganci Calogero, e con… con filmati che riproducevano i luoghi, diciamo, dov’era avvenuto l’attentato.
AVV. IMPELLIZZERI: – Quindi, lei prima di essere catturato e quindi prima che le si notificasse questo ordine di custodia cautelare lei aveva appreso da questi mezzi di divulgazione che si parlava della strage Chinnici, che si parlava pure di lei, di questa strage?
IMPUT. MADONIA: – Io intendo… intendo precisare che io non è che fui catturato, io mi trovavo in stato di detenzione.
AVV. IMPELLIZZERI: – Sì, certamente.
IMPUT. MADONIA: – Precisiamolo questo, eh?
AVV. IMPELLIZZERI: – È pacifico questo.
IMPUT. MADONIA: – Io mi trovavo in stato di deten… Io mi… E no, è importantissimo questo, perchè c’è una bella differenza, perchè se uno è catturato bene o male in questo caso, diciamo, rispondendo solamente di questo… di questa accusa e magari, diciamo così, subito dimostra la propria innocenza, diciamo, chiarisce tanti particolare. Io invece mi trovavo in stato di detenzione con una pen… con una sentenza definitiva.
AVV. IMPELLIZZERI: – Scusi, signor Madonia, io molto imprudentemente ho anticipato una domanda, quindi alcuni argomenti di esame e le chiedo scusa. Cioè, io desideravo sapere un altro argomento, ed è questo, e cioè volevo sapere: che lei è in stato di detenzione è assolutamente pacifico, la Corte lo sa perchè ha la sua posizione giuridica. Io desideravo sapere questo: cioè, prima che le inoltra… Quando io intendo catturato non intendo dire che dallo stato di libertà è stato portato in uno stato di detenzione; intendevo dire: quando le fu notificato l’ordine di custodia, cioè prima che le fosse notificato questo altro ordine di custodia, premesso che lei era già detenuto, quindi quando ancora non era indagato e quindi catturato per la strage Chinnici, lei sentiva parlare televisione e giornali di questa strage, del suo nome? Prima ancora che lei fosse davanti ad una Autorità Giudiziaria che le contestava di essere esecutore della strage. Sono stato chiaro adesso?
IMPUT. MADONIA: – Sin dal ven… Sì, è stato chiarissimo, forse sono stato infelice io nello spiegarmi e ora cerco di precisare. Sin dal 21 giugno 1996 io mi trovavo ristretto nel carcere dell’Ucciardone.
AVV. IMPELLIZZERI: – Sì.
IMPUT. MADONIA: – Nona sezione. E da quel giorno cominciarono ad arrivare i giornali, perchè i giornali li segnavo quotidianamente, il “Giornale di Sicilia”. Poi c’era un… l’apparecchio TV e cominciarono a divulgare le dichiarazioni del collaboratore Ganci Calogero che mi accusava, che spiegava, diciamo, il compito, il presunto compito che avevo avuto e tutto quello che era nelle dichiarazioni che poi lessi in seguito…
AVV. IMPELLIZZERI: – Ho capito.
IMPUT. MADONIA: – … quando dopo mi fu notificato. Perchè la misura cautelare mi pare che fu emessa a distanza non so se di un anno, credo, ma prima…
AVV. IMPELLIZZERI: – È agli atti, la relata di notifica…
IMPUT. MADONIA: – … nel ’97.
AVV. IMPELLIZZERI: – … è agli atti.
IMPUT. MADONIA: – Giugno del ’97.
AVV. IMPELLIZZERI: – Giugno ’97 è l’ordinanza di notifica.
IMPUT. MADONIA: – Ecco, sì, perfetto.
AVV. IMPELLIZZERI: – Senta, la relata di notifica è del giugno ’97, non ricordo adesso il giorno esatto. Quindi lei un anno prima sente parlare della strage a causa di questa divulgazione. Ora le chiedo questo, tornando all’argomento precedente: ci fu una… ci furono delle ragioni per cui lei non intese rassegnare questo alibi al G.I.P. nella immediatezza dell’arresto e dell’interrogatorio?
IMPUT. MADONIA: – Io avevo avuto, diciamo, una… una esperienza negativa pregressa sia giudiziaria e processuale che mi portarono a prendere questa decisione, forse corroborato dal fatto che non dovevo uscire, ecco, al carcere. Forse questo, diciamo, mi portò, diciamo, a…
AVV. IMPELLIZZERI: – Facciamo una piccola parentesi: non doveva uscire.
IMPUT. MADONIA: – No, per carità.
AVV. IMPELLIZZERI: – Lei era detenuto definitivo?
IMPUT. MADONIA: – Sì, definitivo con la condanna a ventidue anni.
AVV. IMPELLIZZERI: – Ventidue anni. È il famoso “Big John”, no?
IMPUT. MADONIA: – Sì, infatti quando lei sta facendo riferimento a questo procedimento, diciamo, perchè, diciamo, questa mia esperienza processuale, diciamo, negativa pregressa, diciamo, si riferisce proprio a questa… a questo procedimento, diciamo, chiamato “Big John”, in cui fui tratto in arresto perchè accusato di avere importato in Italia dalla Colombia seicento chilogrammi di cocaina e di averla sbarcata, diciamo, sulle coste siciliane nel gennaio del 1988. Non so se riesce a… La mia
voce arriva?
AVV. IMPELLIZZERI: – Chiarissima.
IMPUT. MADONIA: – Nel 1988. Le accuse… le accuse, diciamo, per cui ero stato tratto in arresto provenivano… questa misura cautelare fu emessa nel febbraio del 1990, perchè è importante… i tempi sono importanti. Nel 1990 fui colpito ad questa misura cautelare. Queste, diciamo, le accuse per cui ero stato tratto in arresto provenivano dal collaboratore Giuseppe Cuffaro o Cuffaro, che aveva dichiarato che avevo fatto questo grosso traffico di stupefacenti e che mi aveva visto più volte nel… nell’anno 1988, nel mese di maggio e nel mese di giugno a Palermo e che con lui personalmente, diciamo, avevo partecipato ed aveva assistito lui personalmente ad una animata discussione avvenuta in una casetta di fondo Pipitone, alla presenza di alcuni personaggi, perchè… tra cui Galatolo Vincenzo. Ed in queste riunioni, usando, diciamo, la mia autorevolezza, avevo risolto dei problemi che erano sorti per il pagamento dello stupefacente. Tale riunione, secondo gli inquirenti ed i magistrati, perchè, diciamo, ho ricevuto la misura cautelare, quindi chiaramente l’ho letta, era avvenuta questa… diciamo, questa collocazione temporale era avvenuta per mezzo di biglietti aerei e la tumulazione della salma di una zia del Galatolo, al cimitero dei Rotoli, era stata collocata temporalmente nel luglio del 1988. In questo periodo io ero detenuto, infatti ero stato arrestato, tratto in arresto il 5 maggio del 1987 e poi sono stato scarcerato il 6 di novembre del 1988.
AVV. IMPELLIZZERI: – Quindi, quando le venne mossa…
IMPUT. MADONIA: – Quindi non potevo presiedere…
AVV. IMPELLIZZERI: – … la prima accusa la si vedeva protagonista…
IMPUT. MADONIA: – No, non potevo…
AVV. IMPELLIZZERI: – … nel periodo che lei era detenuto.
IMPUT. MADONIA: – … non potevo presiedere quel… non potevo presiedere quella riunione. Per la verità, quando fui interrogato mi avvalsi della facoltà di non rispondere, in quella occasione, però devo dire veramente che scioccamente parlai con i miei legali. Dico scioccamente, facendo presente, ricordando che, così, questa notizia che ero detenuto si mise in circolo e poi cambiarono le carte, si cambiarono le carte. Però c’è da fare presente, diciamo, che chiaramente non potevo avere incontrato il Cuffaro nè a maggio nè a giugno nè a luglio del 1988 nella casetta di fondo Pipitone, e quello che è strano proprio, che da allora poi tutti i collaboratori, diciamo, perchè poi questo processo, diciamo, vennero ascoltati i collaboratori e a cominciare da Marche… da Mutolo, Marchese ed altri cominciarono a rifinire, diciamo, sulle mie presenze, presunte presenze in questo fondo Pipitone.
AVV. IMPELLIZZERI: – Presenze in un periodo che la vedevano però detenuto, mi pare di capire, no?
IMPUT. MADONIA: – Sì, perchè tutto questo nasce da una premessa errata.
AVV. IMPELLIZZERI: – Ecco.
IMPUT. MADONIA: – Perchè per dare spalla, conforto alle dichiarazioni del Cuffaro era necessario, diciamo, qualcuno che avvalorasse, diciamo, questa mia, diciamo, frequentazione con i Galatolo e con… e con questo luogo, diciamo, famigerato in questo caso ora è divenuto. Che tutti parlano del fondo Pipitone.
AVV. IMPELLIZZERI: – Ecco, non per fare la storia di quel processo, ma le chiedo solamente: poi, nel tempo, lei avvertì se l’accusa si spostò su alti capisaldi, su altri argomenti più forti di questo?
IMPUT. MADONIA: – Sì, ci spostiamo…
AVV. IMPELLIZZERI: – Ecco.
IMPUT. MADONIA: – Si spostò che poi non fui più l’artefice principale, lo sbarcatore, colui che, diciamo, gestì in prima persona queste riunioni, questi, diciamo… per sanare questi… queste problematiche, diciamo, di recupero dei soldi e lo sbarco, ma divenni poi mandante, ecco.
AVV. IMPELLIZZERI: – Mandante.

Orbene, a prescindere dal rilievo che appare davvero inverosimile assumere un atteggiamento rinunciatario – pur potendo dedurre un alibi che avrebbe potuto essere confermato da organi immuni dal sospetto di compiacenza – scegliendo di avvalersi della facoltà di non rispondere, per il semplice fatto di trovarsi in stato di detenzione in espiazione di pena, atteso che una condanna a pena detentiva temporanea, benchè lunga (anni 22 – c.d. processo Big John), non può mai costituire un valido motivo per rinunciare a difendersi da una gravissima accusa di strage che potrebbe comportare la pena dell’ergastolo, ciò che appare decisivo è la considerazione che l’eventuale “autorevole” conferma dell’alibi, che avesse riscontrato la sua presenza in Germania appena sei oro dopo la strage, avrebbe comportato una clamorosa smentita dell’assunto dei collaboratori di giustizia, difficilmente recuperabile attraverso una strumentale modificazione della chiamata in correità, la quale avrebbe assunto i caratteri della incontrovertibile inattendibilità, sicchè poteva ragionevolmente ritenersi scongiurato il pericolo di una insostenibile artificiosa immutazione del titolo di responsabilità (dal concorso materiale a quello morale).
Alla stregua delle considerazioni che precedono non può seriamente revocarsi in dubbio che l’imputato abbia tentato abilmente di precostituirsi un alibi, facendo leva su un dato anagrafico, in parte documentabile, costituito da una più o meno costante presenza all’estero, e deducendo di essere stato sottoposto ad un controllo di polizia “richiesto dall’Italia”, come gli sarebbe stato precisato a sua richiesta dai due agenti operanti(cfr. f.148, ud.21/7).
Quel che è certo è che di quel controllo non v’è traccia agli atti delle autorità di polizia dei Paesi interessati, neppure in quel telex (4/8/1983) di appena sei giorni dopo la strage. in cui sarebbe stato logico attendersi che ve ne fosse cenno se una richiesta, in ipotesi anche informale, fosse stata inoltrata dall’Italia su un dato così rilevante dal punto di vista investigativo, tanto più ove si consideri che secondo l’assunto difensivo del Madonia quel controllo si sarebbe protratto ancora per tre giorni in modo più “discreto”, avendo notato la presenza di autovettura della “polizei” nei pressi della sua abitazione, pur senza essere seguito.
Per mera esigenza di completezza espositiva va infine ricordato che un tema di prova sul quale la difesa del Madonia ha molto insistito, per incrinare l’attendibilità delle convergenti chiamate in correità nei confronti del predetto imputato, è costituito dalla possibile refluenza sulla genuinità del rispettivo patrimonio conoscitivo di resoconti giornalistici e comunque della conoscenza, ottenuta aliunde, del contenuto delle propalazioni rese in precedenza da altri collaboratori.
Nel rinviare alle considerazioni già svolte nella sede opportuna in ordine alla ritenuta irrilevanza di alcuni periodi di condetenzione e di altre occasioni di incontri per motivi processuali (per esempio, in aula nel corso dei dibattimenti), va qui preliminarmente ribadito, richiamando sul punto un costante orientamento della S.C., che non possono ritenersi aprioristicamente inattendibili le dichiarazioni di quei collaboratori di giustizia che, in relazione al tempo del loro contributo investigativo, possano già essere a conoscenza di quelle di altri collaboranti perchè rese pubbliche nel corso di dibattimenti e/o divulgate da organi di informazione. La Suprema Corte ha affermato il principio che la pubblicazione ufficiale di precedenti propalazioni accusatorie di altri soggetti non può, per ciò solo, inficiare l’attendibilità di quelle successive, soprattutto quando in queste ultime siano ravvisabili “elementi di novità e originalità” e, comunque, in assenza di “altri e comprovati elementi che depongano nel senso del recepimento manipolatorio” di quelle anteriori da parte di quelle posteriori.
Cio stante, neppure l’accertata conoscenza delle prime propalazioni è di ostacolo all’accredito dell’originalità di quelle successive, ancorchè di contenuto per lo più conforme, la cui autonoma provenienza dal bagaglio proprio del dichiarante può essere accertata – sul piano soggettivo come su quello oggettivo – in vario modo, non escluso il rilievo di ordine logico concernente “il radicamento dei due propalanti nella realtà criminale mafiosa, con la connessa possibilità di conoscenze di prima mano” (cfr. Cass. Sez. I n. 80/l992 cit. ), sicchè l’eventuale convergenza di dichiarazioni accusatorie rese in epoca diversa da parte di soggetti organicamente inseriti in sodalizi criminosi di stampo mafioso, soprattutto se con ruoli di un certo rilievo, non autorizza, per ciò solo, il sospetto della cosiddetta “contaminatio” e della non autonoma origine di quelle successive.
Nel merito va osservato che dall’esame dei quotidiani prodotti dalla difesa si rileva la pubblicazione solo di stralci delle dichiarazioni del Ganci, circostanza, questa, inidonea a compromettere l’autonomia del patrimonio conoscitivo dei collaboratori ed a far presumere fondatamente un recepimento manipolatorio per accusare falsamente gli altri imputati, tra i quali lo stesso Madonia, atteso che la già rilevata ricchezza dei contenuti descrittivi dei loro racconti, l’ampiezza della loro collaborazione e la straordinaria dovizia di particolari depongono univocamente per l’autonoma provenienza dal bagaglio proprio dei dichiaranti in quanto diretti protagonisti dei fatti narrati.
Ed invero, l’analitica disamina delle dichiarazioni rese dai collaboratori esaminati ed i riscontri acquisiti hanno consentito di fugare ogni dubbio sulla genuinità dei loro racconti, troppo vasti ed articolati per essere il frutto di invenzioni o di calunniose manipolazioni di informazioni acquisite aliunde.
Non può inoltre essere trascurato il dato significativo della assoluta mancanza di elementi che possano in qualche modo autorizzare il sospetto che le chiamate in correità nei confronti del Madonia siano state ispirate da intenti persecutori, per dar sfogo a sentimenti di astio e rancore, che né il Madonia né la difesa hanno prospettato, attesi gli ottimi rapporti intercorsi tra i soggetti in questione.
In particolare, dal contesto probatorio è emersa la sussistenza di una più che ventennale amicizia tra il Madonia ed il Brusca, notoriamente apprezzati dal Riina, non solo per gli stretti vincoli che lo legavano ai rispettivi genitori, ma anche per le loro indiscusse doti e capacità altamente criminali, che ne avevano comportato l’impiego operativo nelle imprese più eclatanti e rischiose della strategia criminosa di “cosa nostra”, con conseguente progressiva assunzione di un ruolo di prestigio sempre maggiore all’interno dell’organizzazione, con funzioni anche supplenti rispetto ai loro padri.
Né possono tacersi i costanti rapporti operativi, sempre mantenuti nel corso degli anni, tra i collaboratori Ganci Calogero ed Anzelmo Francesco Paolo e la comune partecipazione a numerosi delitti.
Per quanto riguarda, inoltre, il Ferrante ed il Ganci va rilevato che la difesa del Madonia, nel corso del controesame, ha insistito nel formulare domande volte ad accertare l’eventuale lettura da parte dei collaboratori di atti notificati al Madonia durante periodi di comune detenzione, chiedendo in particolare al primo se avesse redatto per conto di quest’ultimo reclamo avverso il decreto di sottopoiszione al regime di cui all’art.41 bis O.P.
Orbene, premesso che il Ferrante, pur negando di avere redatto motivi di reclamo, non ha escluso di avere letto quel provvedimento ministeriale (cfr.f.68,ud.26/3), ritiene la corte del tutto inifluente la circostanza che dal contenuto di quest’ultimo atto si rilevi l’attribuzione al Madonia  della condotta di attivazione della carica esplosiva mediante telecomando, non potendo inferirsene per ciò solo, che il predetto collaboratore abbia recepito la notizia costruendo artificiosamente la chiamata in correità nei confronrti del Madonia.
La surrettizia e maliziosa prospettazione difensiva non ha tuttavia colto nel segno, atteso che la scarna menzione nel decreto ministeriale delle dichiarazioni del Di Maggio – il quale, come si ricorderà, ha  riferito dello sfogo di Brusca Bernardo e del risentimento di costui nei confronti del Riina, rivendicando i “meriti” del figlio Giovanni che aveva portato “la macchina davanti la casa di Chinnici” mentre il Madonia aveva premuto il telecomando – appare del tutto inidonea a svalutare la conducenza probatoria della ben maggiore ricchezza descrittiva della ricostruzione del Ferrante in ordine a quel segmento della condotta esecutiva di cui fu un protagonista e diretto testimone unitamente al Madonia.
È appena il caso di ricordare il significativo particolare dell’insolito abbigliamento da muratore del Madonia, riferito dal Ferrante, di cui non fa menzione il decreto ministeriale, circostanza peraltro non riferita dal Ganci e quindi non pubblicata nel giugno 1996, sicchè ogni tentativo di insinuare una “contaminatio” della genuinità del racconto del Ferrante e l’artificiosità di una calunniosa costruzione accusatoria è destinato inevitabilmente all’insuccesso, atteso che l’argomento difensivo, del tutto disancorato dalle emergenze processuali, non si sottrae a censure, rivelando tutta la sua fragilità ed inconducenza probatoria.

 

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