Le stragi del 92 decise a Castelvetrano. Oltre ai mafiosi chi partecipò a quelle riunioni?

Sono tanti gli interrogativi ancora rimasti in “sospeso” sulla strategia stragista e non basta solo la requisitoria del pur bravo e attento Pm Gabriele Paci. Nel campo investigativo relativo alle barbare uccisioni di Falcone, della moglie , di Borsellino e di tutti i poliziotti rimasti uccisi , trovano spazio diverse piste ancora tutte da comprendere. In questo blog ( lo dico i diversi articoli pubblicati negli ultimi 3 anni) abbiamo più volte cercato di capirci qualcosa attraverso l’enorme materiale giudiziario generato da anni di indagini più o meno serie.

Un aspetto inquietante sta anche nel ruolo delle forze dell’Ordine che in quel periodo indagavano. Don Ciccio Messina Denaro era già un “latitante” nel periodo delle riunioni pre stragi. Era considerato mafioso di spicco eppure, si muoveva tranquillamente per le vie di Castelvetranoincontrando chi volevaCondannato a dieci anni dal Tribunale di Trapani nel 1989, si rese latitante per non finire in carcere. Nonostante la sentenza, indisturbato, faceva incontri con Riina e altri esponenti di mafia locale e quando era necessario, anche con politici e imprenditori locali. Furono anni d’oro per boss. Si permetteva il lusso di fare società nel settore olivicolo e anche nel grasso mercato dei mosti concentrati fatti con i vini ad “acqua e zuccaro” come eradi moda in quel tempo. E’ ovvio che Don Ciccio avesse un enorme potere in virtù del suo ampio spazio di relazioni. Relazioni in ogni ambito della società locale che diede in consegna al figlio Matteo e anche al genero Filippo Guttadauro

La verità trionfa da sola, la menzogna ha sempre bisogno di complici.” cit.

Non è facile “capire”, soprattutto senza essere il pappagallo di qualcuno. Occorre studiare molto. Leggere tantissimo e documentarsi. Spesso, trattare di questi argomenti in modo libero e autonomo, ti sottopone all’antipatia di qualche burattinaio con la cravatta e la faccia fredda come il marmo. Gente capace di far male anche in nome dello Stato . Gente che non sempre cerca la verità e preferisce depistare o limitare l’azione di altri che possono disturbarli.

Il focus del ragionamento sulle stragi, dopo le dichiarazioni del Pm Paci si sta spostando sempre più su Castelvetrano e sulla mafia locale. Oggi, la testata TP24, in un articolo ricco di particolari interessanti , parla del ruolo dei Messina Denaro e di Castelvetrano nella preparazione delle stragi. Appare ovvio che i Messina Denaro erano “protetti” da Riina e da altra gente. Perchè tutti si fidavano di loro? Chi li riteneva “affidabili” oltre ai corleonesi?

Il prezioso lavoro della Procura nissena fin qui svolto, è riuscito ricostruire importanti parti di quel periodo. Non tutto è chiaro e non tutto è stato definito nel gioco delle forze in campo. Come avviene nel poligono delle forze i vari vettori in gioco non vanno tutti nella stessa direzione.

La prima domanda è questa: perchè Riina scelse Castelvetrano per le riunioni stragiste? Con tutto lo spazio di territorio che aveva sotto controllo perchè scelse il comune dei Messina Denaro? Fu così forte il ruolo della famiglia Messina Denaro( allora gregari dei corleonesi) da far trasferire gli stati generali mafiosi nella loro città o Riina fu costretto da qualcuno in alto a scegliere Castelvetrano ? E ancora: se è vero come è vero che la mafia rispetta rigidamente le astruse regole della puncitina e altro, perchè diede spazio all’allora giovane Matteo Messina Denaro che, stante alle dichiarazioni dei pentiti, non solo non era ancora “punciutu” ma non era ancora neanche considerato il capo di nessuno per avere responsabilità nelle stragi? E’ evidente che, dal punto di vista del fare mafioso, qualcosa non torna. Riina , è evidente,sdoganò il figlioccio Matteo, tramite l’ok del padre Francesco e con criteri che non erano solo mafiosi. Don Francesco era molto stretto con certa borghesia locale .Conosceva molto misteri della potente mafia del dopo guerra di Castelvetrano : Don Ciccio era un punto di garanzia per certi ambienti. Appare chiaro che ci furono interventi esterni di gente non mafiosa . Intervento che riuscì a far saltare anche i soliti rituali di mafia spiegati molto bene da Tommaso Buscetta.

Castelvetrano, come nel caso della morte di Salvatore Giuliano con il finto omicidio ricostruito in via Mannone, sarebbe stata scelta per decisioni importanti nel campo delle strane collaborazioni che vedono pezzi dello Stato e mafia collaborare per delitti gravissimi.

Dunque, seguendo il ragionamento della Procura nissena, Castelvetrano, secondo le ultime intuizioni investigative, sarebbe stato il luogo dove ha visto la luce la “supercosa” che volle le stragi . Prima si parlò di fucili. Poi, stranamente di bombe . Nel regno dei Messina Denaro nacque quella strana “galassia” di potere occulto capace di far cambiare le regole interne ai mafiosi , di depistare indagini e che vide all’interno la presenza di gente che faceva affari di ogni sorta con la mafia del tempo dai palazzi di Stato.

Nel febbraio del 2019 pubblicammo un articolo sul punto :Castelvetrano e le stragi che vi riproponiamo.

Di sicuro, per dirla alla “Besozzi”, si può dire che, a Castelvetrano, alle riunioni stragiste non parteciparano solo mafiosi e che di quei fatti ne potrebbero parlare anche potenti uomini non punciuti mafiosi”

Dall’articolo del febbraio 2019

Castelvetrano le dichiarazioni parziali del pentito Geraci sui collegamenti dei Messina Denaro e la politica

Il processo sulla trattativa Stato Mafia ha riempito migliaia di pagine con decine di dichiarazioni. Sono stati scritti libri a go go, prodotte ore d’inchieste e poi, tutto è rimasto nella confusione e nel gioco dei depistaggi. E’stato fatto tutto il possibile per accertare i fatti accaduti?
Ancora una volta , Castelvetrano e Matteo Messina Denaro fanno parte della brutta partita che lo Stato sta cercando di vincere con chi cerca di nascondere la verità dei fatti , favorendo solo le chiacchiere strumentali e che servono solo a chi preferisce la logica del sospetto generalizzato.

Nel periodo pre stragi è preziosa la testimonianza di Ciccio Geraci detto “Testa grossa” che si pentì subito dopo l’arresto avvenuto oltre 20 anni fa.

Ciccio Geraci, che ha vissuto lontano da Castelvetrano, dopo aver goduto di varie protezioni di legge, è finito nuovamente in carcere qualche anno fa, per altri reati commessi
Geraci, anni fa di cose ne disse e anche di un certo peso. Con le sue dichiarazioni aprì un profondo squarcio nella vita dei Messina Denaro. Ma le sue dichiarazioni, sono state veramente tutte sfruttate dagli inquirenti?

Geraci disse che Totò Riina si fidava del giovane rampollo figlio di Don Ciccio e che il vecchio boss, lo raccomandò al corleonese in caso di prematura dipartita. Don Ciccio aveva un potere così forte su tutte le altre famiglie locali, da indicare già il suo successore senza spargimento di sangue?
Geraci indica chiaramente che i Messina Denaro sono stati protagonisti di quegli anni a tutto tondo .
Cosa è accaduto a Castelvetrano in quegli anni? Probabilmente parte tutto da quel periodo storico. Cosa sa Matteo Messina Denaro dei rapporti avvenuti in quegli anni tra lo Stato e i mafiosi?
Perchè Ciccio Geraci spiega molto, fa arrestare decine di affiliati e non parla delle conoscenze politiche e istituzionali dei Messina Denaro? Geraci sconfessa pure Vincenzo Calcara che a sua volta aveva fatto arrestare Antonino Vaccarino. La vicenda è il trionfo del dubbio . I Pm che indagano sulle stragi, conoscono tutti i verbali firmati da Geraci?

Eppure , le amicizie alto locate dei Messina Denaro non erano poi così nascoste. Queste amicizie trovano conferma anche nelle dichiarazioni di un altro pentito e che pentito:Angelo Siino il Ministro dei Lavori Pubblici di Riina.

Siino, ha affermato a chiari lettere, nei suoi interrogatori, che a Castelvetrano, incontrava tranquillamente Ciccio e Matteo Messina Denaro fino agli inizi degli anni 90. Addirittura, disse che don Ciccio, sapeva quando uscire per non incontrare poliziotti e metterli in imbarazzo. Sempre Siino che a Castelvetrano gestì il grande affare della Saiseb disse ai giudici che con la benedizione di Don Ciccio entrò in relazione con imprenditori e politici locali. E il punto non chiarito inizia con questa domanda: Geraci e Siino sapevano dei contatti politici e istituzionali dei Messina Denaro? I fatti dicono che potevano saperlo. Come mai, questi due pentiti credibili, non hanno mai parlato di queste relazioni? Oppure ne hanno parlato e nessuno sa niente?
Messina Denaro era esecutore di un comitato di potenti creato appositamente per le stragi? Una domanda che merita una risposta precisa. Una domanda che a qualcuno non piace
Dai verbali del Pm Tartaglia
Venne chiesto a Messina Denaro di procurare delle opere – spiega il pm Roberto Tartaglia – alcuni mafiosi fecero un incontro nella gioielleria di Francesco Geraci a Castelvetrano”. Opere d’arte che erano state rubate negli anni dai clan e poi nascosti.
A chi interessavano le opere d’arte?

Quante riunioni si tennero da Francesco Geraci?
Chi suggeriva queste opere? Vi erano anche reperti di Selinunte?
Scrive il pubblico ministero Roberto Tartaglia: “C’è stato un secondo piano di trattativa, che è passato alla storia, per semplificazione, come ‘Seconda trattativa’ o ‘trattativa delle opere d’arte’. E’ un canale di trattativa assolutamente sincronico, perfettamente coincidente con le tappe della trattativa principale”. E a Castelvetrano, di reperti e opere d’arte , di provenienza illecita la cosca, ne aveva a quintali.

“Quando la trattativa con Vito Ciancimino va avanti – dice Tartaglia – quella delle opere d’arte si ferma, mentre quando quella principale rallenta e Riina dice: ‘Ci vorrebbe un altro colpettino’, quella delle opera d’arte va avanti, fino alla conclusione che è sovrapponibile alla conclusione dell’altra”.

Un certo Bellini era in contatto con il boss Antonino Gioè. Oggetto della trattativa-scambio erano alcune opere d’arte in possesso di Cosa nostra, i mafiosi chiedevano in cambio un trattamento carcerario di favore per alcuni vecchi boss.

“Venne chiesto a Messina Denaro di procurare delle opere – spiega il pm Roberto Tartaglia – alcuni mafiosi fecero un incontro nella gioielleria di Francesco Geraci a Castelvetrano”. Opere d’arte che erano state rubate negli anni precedenti dai clan e poi nascosti.

Francesco Geraci, fedelissimo di Matteo Messina Denaro, prima di pentirsi, non era uno qualunque. Addirittura Totò Riina gli affidò il suo tesoro

I gioielli “di famiglia”, collier, orecchini, Cartier, crocifissi tempestati di brillanti, diamanti, sterline e lingotti d’ oro ed altri preziosi per un valore di oltre due miliardi di lire, Totò Riina, il capo di Cosa Nostra, li teneva nascosti sotto il classico mattone.Li teneva il gioielliere, Francesco Geraci, uomo d’ onore del Trapanese. Fu trovato con grande sorpresa degli inquirenti, sotto il pavimento di un’ anonima abitazione di Castelvetrano,. Un tesoro che il boss aveva affidato al gioielliere nel ‘ 92 dopo aver lasciato il covo di Castelvetrano per trasferirsi nella lussuosa villa di Palermo in via Bernini, nei pressi della quale il 15 gennaio del ‘ 93 fu arrestato.

Geraci disse: “Matteo Messina Denaro, Ciro Nuvoletta, figlio del boss napoletano, ed altri mafiosi, si diedero appuntamento a Fontana di Trevi, a Roma”

Geraci e Vincenzo Sinacori, altro boss attualmente in carcere, ebbero il compito di studiare i movimenti di Maurizio Costanzo. E per la trasferta a Roma, Geraci aveva comprato un guardaroba, oltre 12 milioni spesi in camicie, pantaloni ed altro “abbigliamento sportivo”. Del popolare presentatore i due mafiosi sapevano tutto: “Quando usciva dal Teatro Parioli dove registrava la trasmissione, il Maurizio Costanzo Show, noi non lo perdevamo di vista un attimo”. “Per i suoi spostamenti – ha detto il pentito – Costanzo usava una Mercedes ed era scortato da una Alfa 164. Le armi erano già state trasferite dalla Sicilia nella capitale. Poi però non se ne fece più niente e dopo 10-12 giorni facemmo rientro a Trapani”. Alcuni mesi dopo Matteo Messina Denaro, che con Bernardo Provenzano è il boss che più di tutti aveva contatti con Totò Riina e i suoi familiari, tornò alla carica: “Mi domandò nuovamente – ha affermato il pentito – cosa ne pensavo di attentati contro monumenti antichi, con il solito fine di destabilizzare lo Stato e costringerlo a scendere a compromessi, ma non mi spiegò come ciò doveva avvenire”. Poi, dopo l’ arresto di Totò Riina “Denaro mi disse che se si fossero compiute azioni terroristiche non solo nei confronti di persone ma anche contro dei monumenti, qualcuno sarebbe andato a trattare con Riina”.

Le indagini appureranno che le riunioni per le stragi si fecero a Castelvetrano nel 1991. Rimane ancora un mistero e forse volutamente, sapere quali politici e pezzi dello Stato furono presenti a quel tavolo di morte. Forse Geraci lo potrebbe ancora spiegare a qualche investigatore attento.Forse Siino potrebbe confermare i legami politici della cosca in quegli anni terribili e violenti. Forse tutto questo potrebbe aiutare anche la battaglia di verità condotta da Fiammetta Borsellino

continua

Fonte : repubblica, Palermoday