Concorso esterno, il reato esterno che non esiste

Concorso esterno, il reato fantasioso che non esiste: i casi Longo, Stilo e Pittelli

Che cosa avrà mai in comune la vicenda dell’oggi di una direttrice di carcere con quella di due avvocati calabresi, e con quelle di ieri che riguardavano un ex alto dirigente della polizia, un altrettanto famoso giudice di cassazione, oltre a un ministro democristiano e a un dirigente di Publitalia poi entrato in politica, tutti siciliani? La laurea in giurisprudenza? Il fatto che – lo possiamo dire persino sulla base di atti processuali – nessuno di loro abbia mai partecipato ad alcuna associazione criminale di tipo mafioso? No, sono accomunati dal fatto di aver commesso il reato che non c’è. Il concorso esterno in associazione mafiosa. Inesistente nel codice penale.

Di loro sappiamo per certo che hanno svolto o svolgono (o svolgerebbero, se non fossero in carcere) ruoli e professioni di una certa delicatezza. Come la dottoressa Maria Carmela Longo, illuminata e stimatissima direttrice della sezione femminile di Rebibbia, a lungo con lo stesso ruolo nell’istituto di pena di Reggio Calabria, portata a esempio in convegni e trasmissioni tv per la sua visione di un carcere moderno in cui sia applicabile il principio costituzionale del reinserimento del detenuto. Una dirigente la cui cultura giuridica e riformistica non poteva che apparire sospetta al nuovo corso del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, all’interno del quale è nata non a caso l’inchiesta che l’ha portata agli arresti domiciliari.

Un orientamento di stretta sulle carceri, proprio nel momento in cui il mondo medico e scientifico sta mettendo in guardia per il rischio di nuovi contagi da Covid-19, e che pare persino un messaggio nei confronti del ministro Alfonso Bonafede e del suo decreto “Cura Italia” che aveva sollecitato a svuotare le prigioni e a ricorrere alle misure alternative. L’arresto della dottoressa Longo, accusata di eccessiva benevolenza e confidenza con i detenuti calabresi, in particolare con quelli indagati o condannati per i reati più gravi, manda come prima indicazione il fatto che con il nuovo corso del Dap sono più importanti i lucchetti e le porte sprangate che non la Costituzione, la presunzione di non colpevolezza e la funzione rieducativa della pena.

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Del resto il trattamento riservato all’avvocato Giancarlo Pittelli, sbattuto in un angolo della Sardegna e privato del diritto a essere interrogato dal “suo” pm, quello che ha sollecitato e ottenuto il suo arresto, è perfettamente in linea con la nuova filosofia Dap del dottor Petralia. E non parliamo dell’altro avvocato calabrese, pure messo in ceppi nell’inchiesta Rinascita-Scott, fiore all’occhiello del procuratore Gratteri, cioè Francesco Stilo, che ancora non riesce a vedere il proprio difensore. Prima lo hanno messo in isolamento nel carcere di Opera dopo che il suo compagno di cella era risultato positivo al test sierologico, poi, benché il suo tampone sia negativo, hanno fatto sapere ai suoi difensori che risiedono in Calabria che, se pure si metteranno in viaggio, sapranno solo sulla soglia del carcere se potranno vedere o meno il proprio assistito.

Ma perché abbiamo accomunato due avvocati e una direttrice di carcere calabresi con i siciliani Bruno Contrada, Corrado Carnevale, Marcello dell’Utri e Calogero Mannino? Perché identico è lo strumento usato nei loro confronti che è servito per colpire, per arrestare, per processare, per annientare. Non è un reato, è un po’ come l’isola che non c’è, quella che non può esistere se non nella nostra fantasia o nelle nostre speranze. Analogamente, il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, dal 1994 prodotto di fantasia e di giurisprudenza, non fa sognare, come nella canzone di Bennato, un’oasi senza guerre e senza violenza, ma al contrario, un mondo dove si possa qualificare come mafioso chi mafioso non è, ma lo è un pochettino, perché i suoi comportamenti comunque aiutano le organizzazioni criminali.

Oddio, nel codice esisterebbe già il reato di favoreggiamento, ma è troppo poco. Vuoi mettere con un bel reato associativo, che ti consente di intercettare, arrestare e sputtanare il poliziotto che rischia di fare ombra alla tua carriera, o il giudice garantista che fa le pulci a svarioni e superficialità dei propri colleghi, o il co-fondatore di un partito che ha scompaginato il mondo politico, o un bel democristianone del potere che fu? Sono soddisfazioni. Del resto, mentre nel mondo giuridico, dopo la prima clamorosa sentenza Demitry, che nel 1994 per la prima volta distinse l’associato alla criminalità dal concorrente esterno, scoppiavano critiche e contestazioni, e una successiva sentenza Villecco sostenne il contrario, fu la Cassazione a sezioni riunite a dare con la propria giurisprudenza il sigillo di autenticità al reato che non c’è. Quasi per un capriccio della storia, la prima di queste sentenze riguardava il caso Carnevale e la seconda quello di Mannino. E agli effetti del risultato dottrinale, poco rileva il fatto che poi ambedue siano stati poi assolti dal reato di concorso esterno in associazione mafiosa.

A poco è valso, finora, se non per il condannato, il fatto che la Corte Europea dei diritti dell’uomo abbia aperto la strada all’annullamento della sentenza nei confronti di Bruno Contrada, in quanto condannato per reati degli anni precedenti alla famosa sentenza del 1994. La Cassazione a sezioni riunite non ha ritenuto applicabile a Marcello Dell’Utri né a nessun altro dei “fratelli minori” di Contrada quel provvedimento il quale “non costituisce sentenza pilota e neppure può ritenersi espressivo di un orientamento consolidato della giurisprudenza europea”. Tombale.

Una bella mitraglietta nelle mani di pubblici ministeri e giudici. Soprattutto perché, senza bisogno di sporcarsi le mani con la ricerca di fatti specifici che si configurino come reati concreti, si può arrestare con facilità senza dover dimostrare che la persona indagata abbia dato all’organizzazione criminale un contributo concreto, specifico, consapevole e volontario.

Basta invece il fatto che “oggettivamente”, come nei processi staliniani, l’abbia sostenuta dall’esterno. Il reato non c’è. Ma le manette, che scattano ogni giorno nei confronti di persone che, proprio come Mannino e Carnevale, poi verranno assolte, oppure, come nel caso di Contrada e Dell’Utri, condannate senza fondamento, quelle ci sono e sono molto concrete. E oggi riguardano gli avvocati Pittelli e Stilo e la direttrice Longo.