Piera Aiello lascia il M5S

Chi è Piera Aiello, la deputata senza volto che ha lasciato il M5s

 

La deputata senza volto se ne va. E se ne va sbattendo la porta. La testimone di giustizia Piera Aiello, cognata di Rita Atria e dal 2018 alla Camera con il Movimento 5 Stelle, lascia i grillini in polemica con la formazione politica che l’ha portata in Parlamento e in particolare con un suo conterraneo, il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede: “In commissione Giustizia – dice Aiello – i deputati sono incaricati di proporre emendamenti o modifiche su qualsiasi proposta di legge avallata o scritta dal Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede e dal suo ufficio legislativo. Ma dopo mesi di sedicenti confronti, di tutto il lavoro parlamentare non rimane nulla. È sempre il ministro a decidere tutto e sicuramente non in autonomia, poiché il 90 per cento degli emendamenti portati in commissione e poi in aula vengono bocciati e spesso senza alcuna motivazione valida”.

Per Aiello, dunque, è il momento di andare via: “Mi dimetto dal Movimento 5 Stelle, che non mi rappresenta più – scrive – continuando la mia attività di parlamentare. Non nascondo l’amarezza per tutto il lavoro che ho fatto, non solo in questi due anni da deputato ma anche negli anni quale semplice testimone di giustizia, lavoro vanificato da persone che non solo non si sono mai occupate di antimafia con la formazione adeguata”.
Negli anni Ottanta Aiello fu costretta a soli 18 anni a sposare Nicola Atria, figlio del mafioso di Partanna Vito. Il suocero fu ucciso poco dopo il matrimonio, il marito il 24 giugno 1991, in presenza della donna e della figlia. Dopo questo omicidio Aiello e la cognata decisero di ribellarsi e di collaborare con Paolo Borsellino: una settimana dopo la strage di via D’Amelio, però, Rita Atria, sfiduciata, si suicidò. Aiello, fino alle elezioni, ha vissuto con un’altra identità, non mostrandosi in pubblico. La Bbc l’ha inserita l’anno scorso fra le 100 donne più influenti del mondo.

Adesso Aiello si infuria proprio a partire dal suo passato di lotta alla mafia. Polemizzando con Bonafede a partire dalla decisione che “manda agli arresti domiciliari ergastolani del 41bis tramite una semplice circolare concordata con gli organi del Dap e il ministro”. Aiello cita il caso di Totò Riina: “Non nego il diritto sacrosanto alla salute – scrive – ma così come è stata applicata la legge riguardo a Riina, curato fino all’ultimo giorno in carcere, così doveva e deve avvenire per tutti gli altri boss mafiosi, altrimenti dov’è il diritto dell’essere uguali di fronte alla legge che tanto viene evidenziato nelle aule dei tribunali? Come può un cittadino fidarsi dello Stato se viene messa in pericolo in primis la propria sicurezza? I testimoni e i collaboratori che hanno contribuito al loro arresto come possono avere certezze di sicurezza? E chi vuole iniziare questo percorso di legalità come può davvero affidarsi allo Stato, se quest’ultimo non dimostra stabilità rendendo effettiva la pena di persone che hanno ancora le mani sporche di sangue?”.

Fonte: Repubblica