Accursio Miraglia, un delitto oscuro

Quella di Accursio Miraglia è la storia di un uomo e di un sognatore che fu sindacalista e politico, ma anche molto altro. Fu lui a creare e a dirigere la prima Camera del Lavoro siciliana, nonché a contribuire al risveglio dei contadini nella lotta al latifondo. Suo figlio, Nicolò Miraglia, aveva solo tre anni quando, nel 1947, venne ucciso per mano mafiosa. Per tutta la vita l’uomo si è fatto testimone della lotta e degli ideali del padre, battendosi in prima persona per una verità che, ancora oggi, non è arrivata.
Mio padre nacque a Sciacca, in Sicilia, dov’è cresciuto con quattro fratelli, un padre impiegato al comune che morì molto giovane e una madre che, seppur tra difficoltà economiche, tirò avanti la famiglia. Accursio aveva un’intelligenza fuori da normale, tant’è che si diplomò in ragioneria col massimo dei voti. Immediatamente il Credito Italiano di Catania lo volle nella banca e dopo solo un anno lo mandò direttamente a Milano, per dirigere la sezione economica. Fu vivendo a Milano che mio padre divenne anarchico e prese la tessera, perché in quella città cominciò a vedere tutte le difficoltà in cui viveva la povera gente. Frequentando Porta Ticinese, si dedicò all’organizzazione dei primi scioperi, sia in banca che fuori. Naturalmente venne cacciato per incompatibilità di vedute e, una volta tornato a Sciacca, creò un’industria di pesce salato, perché qui abbiamo la seconda flotta peschereccia d’Italia. Era il periodo fascista e mio padre una volta a settimana finiva in gattabuia, perché comunista. Malgrado questo però, continuava a stare vicino ai poveri e agli operai. Negli anni ‘30 l’industria andava benissimo e fu così che aprì una rappresentanza di ferro e metalli, una gioielleria, divenne l’amministratore del teatro di Sciacca e infine fu anche presidente dell’ospedale. Finiti tutti i suoi lavori, la sera andava alla Camera del Lavoro dove insegnava a leggere e a scrivere a tutti gli analfabeti di Sciacca, in modo particolare ai contadini. A loro spiegava il Codice Civile, convinto che si potessero fare tutte le battaglie del mondo, ma nei limiti della legge. Mio padre veniva definito “cattocomunista”, perché era molto cattolico e numerose sono le lettere in cui si rivolge direttamente a Gesù. Era benvoluto da tutti e lo è ancora, a 73 anni dalla sua morte. Con tutte queste attività, per i soldi che aveva, oggi mio padre sarebbe un miliardario. Lui diceva sempre “io lavoro perché mi servono i soldi per darli agli altri.” Amava il prossimo più di sé stesso, “io ho i miei proventi, ho la mia intelligenza e la mia cultura e la devo mettere a disposizione degli ultimi, che non hanno potuto studiare” e così ha fatto per la popolazione di Sciacca. Nel 1944, ha creato la cooperativa “Madre Terra” che esiste ancora oggi. Allora c’era la legge Gullo-Segni che prevedeva che i contadini, per ottenere un lotto di terreno incolto, avrebbero dovuto unirsi in cooperative. I sindacalisti, da tutti gli angoli della Sicilia, hanno cercato di fondare queste cooperative per dare finalmente la terra ai contadini. Purtroppo, sono stati molto pochi i lotti ottenuti rispetto a quelli disponibili, perché tra mafia, latifondo e gli americani era difficile che la terra andasse ai contadini, tant’è che furono 50 i sindacalisti uccisi in quel periodo. Mio padre fu sindacalista e comunista, certo, ma fu anche molto altro. Era un benefattore nel vero senso della parola: sosteneva l’orfanotrofio di Sciacca, aiutava le donne che non avevano la dote così che potessero sposarsi senza fuggire. Era tutto il contrario della mafia: la mafia toglie, lui invece dava a tutti e senza chiedere nulla in cambio. A volere la sua morte però non è stata la mafia. La mafia ha sparato, ma l’omicidio di mio padre è gemellato con la strage di Portella della Ginestra, gli imputati furono gli stessi. Molti documenti riportano il fatto che, da parte dell’America, ci fu il tentativo di silenziare la strategia comunista. Il tutto nasce con il patto di Yalta e la divisione del mondo in Oriente e Occidente, da un lato la Russia e dall’altro l’America. L’Italia, terra degli americani, stava di fronte a Grecia e Albania, ad un passo dal blocco orientale. Il confine era l’Adriatico e il luogo ideale per piazzare gli armamenti americani era proprio la Sicilia, che al tempo però era comunista e quindi rappresentava un pericolo. Il problema andava risolto e la mafia, durante quegli anni, è stata manovalanza utile per controllare il territorio, infatti finita la guerra tutti i capimafia divennero sindaco del paese. A Sciacca le cose andavano meglio perché c’era Accursio Miraglia, la mafia stava almeno a 30 km da qui, ma comunque anche lui era destinato a morire.
Venne ucciso la sera del 4 gennaio del 1947. La polizia accorse subito poiché, a sua insaputa, era tenuto sempre sotto osservazione. Dopo solo tre ore, gli assassini erano già stati incarcerati e quindi si sarebbe potuto procedere contro di loro. A Sciacca c’è il Tribunale e quindi la cosa più sensata sarebbe stata iniziare la fase istruttoria e fare il processo, ma questo non avvenne. Il processo venne bloccato. Un suo fraterno amico, sottosegretario alla Giustizia, ottenne dal Governo la riapertura del processo e fu così che si creò il primissimo pool antimafia, formato da poliziotti e carabinieri da tutta la Sicilia, che riprese le indagini e arrestò nuovamente gli stessi uomini. C’erano tutte le prove, finanche una confessione scritta da uno e confermata dall’altro. Venne chiamato anche un medico a certificare che, prima e dopo la confessione, gli imputati si trovassero nello stesso stato di salute. Tuttavia, la Procura generale di Palermo mise nuovamente i bastoni tra le ruote al processo, dichiarando che quelle confessioni erano state ottenute con la tortura. Una volta scarcerati i delinquenti, furono i poliziotti a dover subire un processo per il supposto reato di tortura. Ovviamente poi vennero assolti, il fatto non sussisteva. Il tutto fu organizzato perché gli assassini di mio padre non dovevano andare in galera, dopodiché è stato apposto il segreto di Stato e non se n’è saputo più niente. A Sciacca venne anche il capo dei Servizi Segreti, che dichiarò che il tutto era stato fatto per insabbiare le prove e di certo non per fare giustizia. Noi abbiamo inoltre richiesto di avere i documenti di queste istruttorie, ma l’avvocato si è rifiutato di rilasciare i documenti in quanto era possibile la riapertura del processo.
Malgrado la verità sul suo omicidio sia ancora taciuta, la memoria e il ricordo di mio padre sono vivi a Sciacca da più di 70 anni. I suoi funerali si tennero dopo una settimana, perché le suore dell’ospedale vegliarono e pregarono davanti al suo cadavere per tre giorni, in segno di riconoscenza per il bene che aveva fatto all’ospedale di Sciacca. Poi, per altri tre giorni, lo tennero alla Camera del Lavoro della città e da tutta l’Italia vennero gli uomini dei principali partiti, da tutta Italia. Al tempo Sciacca contava 20.000 abitanti, i giornali dissero che ai suoi funerali c’erano 40.000 persone. Mio padre andò ai funerali con la bara scoperta: tutta Sciacca volle dare l’ultimo saluto ad Accursio. In sua memoria le industrie d’Italia si fermarono per 5 minuti, in Sicilia per 10 minuti, così come anche in treni. A quei tempi la domanda più frequente ai figli e alle figlie dei tanti sindacalisti uccisi era “Ma a tuo padre chi gliel’ha fatto fare? Se l’è andata a cercare!”. Mio padre però, venne inondato di affetto sia da vivo, sia dopo la sua morte. Oltre ad essere pittore, musicista e filosofo, era legato a tutti gli uomini più importanti, non solo d’Italia, ma di Europa. Malgrado il tempo trascorso infatti, la sua eredità continua. Qualche anno fa avevo organizzato un convegno con la fondazione intestata a mio padre, invitando personaggi importanti di tutta Italia. Oltre al convegno, c’è stato anche un pranzo e volevo che in tavola ci fossero anche i pesci di Sciacca e i prodotti dei terreni confiscati: 25 casse di pesce, per 200 persone. L’indomani mi sono recato alla marina per saldare il mio debito e i pescatori hanno risposto “Per Miraglia il pesce sarà sempre gratis”.
A Sciacca c’è anche un monumento dedicato a mio padre: all’inizio furono gli uomini di partito a chiedermi di costruire un grande memoriale dedicato a mio padre, io risposi di no, perché Accursio Miraglia non era solo un sindacalista e un comunista. Oggi, il monumento che c’è a Sciacca, è stato voluto dai lavoratori della città ed è stato finanziato con le loro 50 lire, non con un grande finanziamento politico. Nel monumento ho voluto che ci fosse la frase di una lettera di mio padre “Io non impreco e non chiedo a nessun dio nessuna punizione, io che ho tanto amato la vita chiedo ad essa quello che qualche volta mi ha dato, la soddisfazione di vedere pentiti coloro che ci hanno fatto del male”. Lui non conosceva la parola odio, non portava odio a nessuno. Miraglia non era il fanatico politico con sogni di rivoluzione armata, ma era un uomo che ha sempre messo il bene degli altri di fronte al suo. Il suo motto “Meglio morire in piedi che vivere in ginocchio”, tratto da un’opera di Hemingway, fu utilizzato anche da Che Guevara anni dopo e oggi, Papa Francesco dice cose che avrebbe detto anche mio padre. Questo non perché siano ispirati direttamente da lui, ma perché il bene parla una sola lingua.
Purtroppo, per cinquant’anni, ho visto passeggiare l’assassino di mio padre in giro per Sciacca. La nostra è un’Italia dove la verità non viene mai resa nota e quindi io sono sempre in prima fila per raccontarla e per raccontare Accursio Miraglia, la sua storia, i suoi sogni e la sua lotta. Ho una grande responsabilità, ma che porto con molto orgoglio. Mi faccio testimone della storia di mio padre, di un uomo che ha dedicato la sua vita agli altri. Il suo ultimo comizio si concluse con questa frase: “Non è colpa nostra se qualcuno non lo arriva a capire, non arrivi a capire cioè che ci sia, ogni tanto, qualcuno disposto anche a morire per gli altri per la libertà, per la giustizia”. Sapeva che lo avrebbero ammazzato. Quando mia madre gli diceva “Ma Accursio tu hai tre figli” lui le rispondeva “Sì, hai ragione, ma oltre a tre figli ho tutti i poveri della Sicilia, devo pensare anche loro” e al suo “Sì ma ti uccideranno”, Accursio rispondeva “Sì, uccideranno me, ma non la mia storia”. Infatti, tutt’ora esiste la cooperativa Madre Terra, una scuola porta il suo nome, così come molte strade e tanti sono i modi in cui viene ricordato. Nella zona alta di Sciacca, dove vivono i vecchi contadini, alla domanda “chi era Accursio Miraglia?” loro rispondono piangendo. In loro e in tutta la città, infatti, il ricordo di mio padre è ancora indelebile, perché come Miraglia oggi è ancora un simbolo, come previsto da lui stesso nel suo comizio finale “attento però a questo qualcuno che da sprovveduto e morto non diventi un simbolo molto ma molto più grande e pericoloso”.

 

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