La vera antimafia si fa mantenendosi autonomi dalla politica e dalle istituzioni e senza chiedere privilegi

Il caso Montante e le varie inchieste in corso colpiscono un sistema antimafioso di potere. Un sistema che avrebbe  usato più volte, almeno secondo le accuse,   metodi  cari alla mafia come:  il ricatto, la paura , la delegittimazione e l’uso del potere acquisito . Usare il potere istituzionale per “fottere” qualcuno è molto grave. Questo genere di antimafia non ha fatto bene anzi, ha pure favorito la mafia nella sua parte più pericolosa: la crescita del consenso popolare. Tuttavia è un  grosso errore fare di tutta un’erba un fascio. Ci sono tanti eroi silenziosi che combattono il fenomeno mafioso e la sua ricaduta sociale senza pretendere nulla e senza bisogno della stampa.  Molti insegnanti, intellettuali e gente comune lo fanno ogni giorno con i loro comportamenti e non hanno mai chiesto nulla. Ci sono anche tanti magistrati  e poliziotti che cercano la verità  con i riscontri e non vanno in cerca  nemici da abbattere per favorire qualche  partito politico.  Lo Stato deve essere credibile con le azioni dei suoi servitori.  Più forte del fare mafioso nei territori non solo con i poliziotti ma anche con la soluzione dei problemi. Lo Stato perde quando depista, nasconde la verità, perseguita innocenti o consente a qualcuno di abusare del proprio potere con l’uso anche dei media. Lo Stato perde ogni volta che, togliendo dei beni alla mafia li distrugge. Lo Stato perde quando vince il clientelismo e il diritto diventa favore.  Già, perche se non conosci qualcuno rischi sempre di rimanere indietro. Stranamente , l’antimafia di potere, ha parlato poco della Sanità siciliana.  la sanità pubblica e privata :Il più grande giro d’affari dell’Isola dove potere economico e potere politico hanno fatto festa .E la mafia? Di certo non ha guardato con le mani conserte. Troppo ghiotta la torta delle convenzioni

Molti antimafiosi alla Montante hanno fatto carriera e hanno avuto grossi ritorni economici

Da un profilo FB

La lotta al fenomeno  mafioso deve unire tutti coloro che intendono dare un vero futuro di libertà a ragazzi di questa terra. Il neologismo “mafiosismo” intende evidenziare tutti i comportamenti che hanno formato il fare mafioso e l’uso devastante di queste procedure. Chiunque mette l’arroganza, la violenza e la prepotenza nella gestione del suo potere o della sua azione professionale, cercando di schiavizzare gli altri per interessi politici , economici e di carriera è mafioso. Chi ruba la verità per proprio tornaconto e senza scrupoli è mafioso. Chi uccide le persone, anche senza usare pistole per interesse e per ambizioni personali è mafioso. Chi mistifica per nascondere la verità è mafioso perchè sa di “uccidere ” in qualsiasi maniera per diventare più forte

I ricordi di Leonardo Sciascia

Quando uscì l’articolo di Leonardo Sciascia dal titolo ‘I professionisti dell’antimafia’ sul Corriere della Sera era il 10 gennaio 1987 ed io avevo appena 11 anni. Ancora la mia adolescenza non era “distratta” dalla lettura dei quotidiani. Di quello che narrò lo scrittore siciliano de ‘Il giorno della civetta’ ne sentii parlare negli anni successivi anche per le differenti analisi e i più disparati utilizzi che ne fecero giornalisti e uomini politici.

In molti non capirono, o fecero finta di non capire, il senso di quell’articolo. Sciascia, che del fenomeno mafioso era profondo conoscitore quando scriveva di “professionisti dell’antimafia” intendeva riferirsi a coloro che usavano l’antimafia per costruirsi una carriera in politica o in magistratura. Ma poiché Sciascia in quell’articolo evocò l’assegnazione di Paolo Borsellino alla Procura di Marsala, superando nella graduatoria colleghi più anziani di lui ma che non si erano mai occupati di processi di mafia, fece un esempio che lo espose a molte critiche. C’è chi credette, erroneamente, ad un attacco personale al magistrato ucciso nell’agguato mafioso di Via D’Amelio qualche anno più tardi, e non glielo perdonò.

Ma la chiave di lettura dell’articolo di Sciascia, che non riguardava il caso di Borsellino, era un’altra e, nonostante siano trascorsi ben trent’anni, oggi è ancora attuale: c’è chi usa l’antimafia per fini esclusivamente personali, per cercare un consenso per sé nella logica di una assoluta autoreferenzialità.

 

 

Da un articolo di Davide Grassi