Quel misterioso patto tra il presidente massone Roosevelt, la mafia e logge siciliane del 43

La storia viene quasi sempre scritta da chi vince narrando solo i contesti che servono a creare eroi e miti. Nessun vincitore scriverà la verità ufficiale sui libri di scuola. Solo chi ha sete di verità cercherà la luce nelle tenebre

Il presidente americano Roosevelt venne a Castelvetrano il giorno dell’immacolata del 1943. Una visita che ha incuriosito molti storici. Di sicuro non venne soo per dare medaglie e riconoscimenti. Secondo alcune fonti storiche, il presidente americano massone aveva già collegamenti operativi con i massoni siciliani che dovevano appoggiare lo sbarco in Sicilia e favorire le truppe americane. Non fu solo questa la ragione del patto tra mafia, massoni e americani. In giro c’erano anche i sovietici e la Sicilia faceva gola a Stalin. A Castelvetrano quel giorno si presero accordi? Chi faceva gli interessi degli americani , dialogando anche con la massoneria e la mafia? Leggendo bene la storia si apre un potente riflettore su come politica americana e mafia già negli 30 avevano già inventato un metodo perverso e quanto mai spregiudicato di gestire il potere. Prendere la Sicilia e toglierla ai tedeschi e soprattutto ai sovietici mise a dura prova il sistema già collaudato negli Usa. Non fu semplice. Senza l’aiuto dei massoni siciliani e dei mafiosi all’ordine di Lucky Luciano , probabilmente i sovietici avrebbero conquistato il potere in Sicilia

Il patto tra massoni e mafiosi americani come potente linea d’intelligence: l’accordo con Lucky Luciano e la scelta dell’ambasciata parallela a Palermo nel famoso Hotel di Via Roma

Il massone Franklin Delano Roosevelt, colui che non seppe portare fuori gli Stati Uniti d’America dalla Grande crisi del 1929 e il cui tanto strombazzato New Deal fu uno spettacolare fallimento; colui che si fece rieleggere presidente per la terza volta, nel 1941, giurando ai suoi concittadini che mai li avrebbe portati in guerra, quando già aveva deciso di fare esattamente il contrario (e lo aveva lasciato capire, se non promesso esplicitamente, a Churchill); ebbene, costui, nel 1932, aveva potuto presentarsi in posizione vincente davanti al suo partito, il Partito Democratico, e, poi, davanti agli elettori dell’intero Paese, anche grazie ad un accordo con la mafia italo-americana capeggiata dal tristemente celebre bandito Lucky Luciano.

Nel 1932 Lucky Luciano, insieme ai suoi fedelissimi Frank Costello e Meyer Lansky, controllava la mafia italo-siciliana e gran parte della malavita organizzata di New York e degli Stati Uniti, avendo eliminato, l’anno prima, il potentissimo boss Salvatore Maranzano (il quale, a sua volta, aveva cercato di farlo assassinare), e avendo imposto una gestione di tipo manageriale, efficientissima e quasi scientifica, di Cosa Nostra e dei suoi affari, puntando in gran parte sul reinvestimento del denaro “sporco” in attività perfettamente legali, il tutto con un’amplissima rete di connivenze e di complicità con vasti settori del mondo degli affari, del sindacato, dell’amministrazione pubblica e della stessa politica.

In particolare, gli uomini di fiducia di Lucky Luciano esercitavano un controllo discreto, ma saldo, sulla Tammany Hall, la potente organizzazione collegata con il Partito Democratico che, a sua volta, e da moltissimo tempo, esercitava una sorta di controllo sulle politiche sociali della città di New York, e poteva muovere sia grosse somme di denaro, sia funzionari di partito e dell’amministrazione cittadina. La corruzione derivante da tale stato di cose era ormai talmente diffusa e così nota, che i giornali stavano conducendo una serrata campagna di stampa per denunciare l’inefficienza, l’inaffidabilità, o peggio, mostrate dall’amministrazione del sindaco Walker, seguendo, in particolare, le mosse di un giudice
«Durante la primavera del 1932, gli agenti di Roosevelt si recarono ovunque nel paese tentando di schierare delegati per la sua candidatura alla presidenza. Man mano che la convenzione stava avvicinandosi, Roosevelt si stava assicurando una netta maggioranza. Ma questo non bastava. In base ai regolamenti allora in vigore, avrebbe dovuto avere i voti dei due terzi dei delegati per ottenere la nomina a Chicago, e assicurarseli non sarebbe stato facile. Per persuadere i contrari di essere un candidato davvero sicuro e vincente, gli sarebbe occorso l’appoggio compatto del suo Stato, New York, e non soltanto quello delle regioni interne dello Stato, già schierate a suo favore, ma anche quello della città di New York, dove era la Tammany Hall a fare il belo e il cattivo tempo e dove i sostenitori di Al Smith sembravano compatti”Roosevelt non aveva alcuna probabilità di ottenere i voti dei delegato della città senza accordarsi con la Tammany e nel 1932 gli uomini che dirigevano la Tammany erano manovrati da me e da Frank Costello. Aspettavamo proprio questo, perché ero dominato da una strana sensazione per quanto concerneva Roosevelt. Certo, Smith mi piaceva, ed era l’uomo che volevo, ma non sapeva esprimersi meglio di me, e, in un certo qual modo, mi dispiaceva che alla casa Bianca venisse a trovarsi qualcuno che parlava come un figlio del Lower East Side. Sentivo che forse, al momento deciso, Roosevelt avrebbe finito con il prevalere. lo rispettavo perché apparteneva a quel gruppo di uomini dell’alta società che mi era stato possibile conoscere a fondo a Palm beach e a Saratoga, ed erano persone cole. Eppure, qualcosa nelle ossa mi diceva di non fidarmi di Roosevelt. Ne parlai con Costello e con Lansky e risero di me. Costello disse: “Charlie, tu non sai di che diavolo stai parlando. Sono quotidianamente in contatto con questi politicanti, molto più di te. E posso dirti sin d’ora che Mr. Roosevelt ci tiene a tal punto a diventare Presidente da essere disposto a tutto, compreso baciarti il culo in una vetrina di Macy, se questo potesse giovargli”.

Erano sicuri, per conseguenza, che Roosevelt sarebbero stato costretto, in ultimo, ad accordarsi con la Tammany, e pertanto con loro. Quando avesse fatto questo, sapevano esattamente che genere di condizioni gli avrebbero imposto. La corruzione dilagata nella città di New York era arrivata a un punto tale, durante l’amministrazione del sindaco James J. Walker, che non si poteva più ignorarla. Il giudice Samuel Seabury, un illustre democratico, risultato perdente alcuni anni prima, quando aveva posto la propria candidatura alla nomina governatoriale da parte del suo partito, perché la Tammany gli si era schierata contro, aveva avuto l’incarico di indagare sulla corruzione civica e le sue rivelazioni venivano rese note dai giornali c titoli a caratteri cubitali.

Lucky Luciano disse del presidente americano : «Naturalmente, Roosevelt era sempre stato un farabutto, ma devo riconoscergli un merito… sapeva essere davvero mellifluo. […] Roosevelt fece esattamente quello che avrei fatto io al suo posto; tutto sommato, non era diverso da me. Io avevo fatto eliminare Masseria e Maranzano per arrivare alla vetta. La mia attività era illegale: violavo la legge. Roosevelt mandò in carcere o schiacciò noi e altri uomini come Hines e Walker. E le sue azioni furono legali. Ma la sostanza rimaneva identica: eravamo entrambi farabutti doppiogiochisti, comunque si possano prospettare le cose 

La mafia americana genera un metodo operativo: entra nella gestione dei voti e in politica

I mafiosi, comunque, non erano gente abituata a fidarsi ad occhi chiusi di chicchessia: rimasero guardinghi sino alla fine, e decisero di appoggiare un proprio candidato solo all’ultimo momento, quando la conta dei voti delle primarie si sarebbe rivelata decisiva. Così, quando si tenne la convention di Chicago, Luciano e Costello vi si recarono entrambi, accompagnati da alcuni dei loro, e presero alloggio nello stesso albergo, occupando alcune camere di lusso: l’uno si presentò insieme al suo vecchio amico, Al Marinelli, capo della Tammany e sostenitore di Smith; l’altro con un suo vecchio amico, Jimmy Hines, sostenitore di Roosevelt. Il loro scopo era di sorvegliare da vicino il comportamento dei delegati democratici e, all’ultimo momento, scegliere il loro candidato e impartire i relativi ordini di scuderia. Sarebbe stato un buon soggetto per una commedia degli equivoci di Shakespeare.

Oltre che di politica, in quell’albergo si parlò moltissimo anche di affari. Fra gigantesche bevute di superalcolici offerti dalla malavita (nonostante vigesse ancora, in teoria, il proibizionismo), e più precisamente dagli uomini di Al Capone, che, in quel momento, si trovava in carcere, vi fu una specie di conferenza ad alto livello delle organizzazioni malavitose per la spartizione delle zone, delle città e dei rispettivi settori di competenza (prostituzione, case da gioco, slot-machines), specie per quanto riguardava la Louisiana e la città di New Orleans, che offrivano un mercato particolarmente promettente.

Fonte: Accademia Nuova Italia