Muore in ospedale di broncopolmonite mentre gli stavano curando una leucemia. È capitato all’ex prefetto di Palermo Giuseppe Caruso. Era questore quando venne arrestato Provenzano. Fu defenestrato da direttore dell’Agenzia per la gestione dei beni confiscati dopo avere accusato l’ex magistrato Saguto e l’ex ministro Alfano

Anche questa la si deve considerare una morte sospetta?

Certo che alcuni piedi importanti il compianto prefetto Caruso li aveva pestati. Davanti la Commissione Nazionale Antimafia aveva denunciato l’ex magistrato Silvana Saguto, ex presidente della sezione per le misure di prevenzione del Tribunale di Palermo. Questo avveniva quando la Saguto era ancora in auge ed era, come è  noto, un’icona intoccabile di quella che poi si è scoperto essere una ben collaudata  e strana lotta alla mafia che, ancora oggi, è  funzionale a fare affari illeciti dentro molti tribunali, con la gestione dei beni confiscati e non solo. Caruso ha avuto la colpa di essere stato il primo, dall’interno del ‘sistema’, a svelare cosa succede dentro i Palazzi di Giustizia, allorquando il braccio armato dello Stato si accanisce contro quegli imprenditori accusati, ingiustamente, di mafia, per spogliarli vivi, sottraendo interamente i loro patrimoni, oltre alla dignità, ovviamente. Il prefetto Caruso non mancò anche di indicare, nelle sedi opportune, un ex ministro della Repubblica, tale Angelino Alfano, nonché il suo entourage familiare, quali probabili profittatori del business dei beni confiscati. Oltre alla Saguto, ed al suo cerchio magico, chiaramente erano e sono ancora  in molti, in giro per l’Italia, ad approfittare,  non sempre in modo lecito, della gestione dei beni confiscati. Allora si gridò allo scandalo! In molti corsero in difesa della Saguto, ad esempio. Poi, quando il vaso di pandora è stato scoperto, i fatti hanno dato ragione al compianto prefetto Caruso, che è stato sentito anche nel processo a carico della Saguto. Chissà quante cose aveva ancora da dire il Caruso, a proposito delle confische dei beni, spesso illegalmente gestiti dai tribunali di mezz’Italia. Purtroppo, e per alcuni forse per fortuna, Caruso non potrà più parlare. Si dice che è morto di broncopolmonite, mentre gli curavano una leucemia.

Caruso era entrato in polizia nel 1974, ricoprendo durante la sua lunga carriera tantissimi incarichi di prestigio. E’ stato tra l’altro in prima linea durante gli anni di piombo contro i terroristi. Nel 1992, da vicequestore aggiunto, era stato trasferito da Bergamo alla questura di Reggio Calabria, dove si era occupato di criminalità organizzata, catturando anche latitanti della ‘Ndrangheta. Fece poi tappa a Milano, dove si occupò anche di lotta al terrorismo interno ed internazionale. Successivamente il ritorno in Calabria, per dirigere la questura di Crotone. Poi a Vicenza, Padova e infine l’approdo a Palermo, prima da questore e – dopo una tappa a Roma – da prefetto. Sono gli anni in cui Cosa nostra è stata piegata sotto i colpi sferrati dallo Stato, culminati nella cattura, dopo anni di latitanza, del boss Bernardo Provenzano.

Nel 2010 la nomina a prefetto di Palermo e subito dopo anche quella di direttore dell’Agenzia per i beni confiscati. Caruso fu tra i primi a mettere in discussione la gestione dei patrimoni tolti ai boss, parlando di “conflittualità” e “incompatibilità” e ricevette all’epoca molte critiche. Qualche tempo dopo, però, nel 2015, finì sotto inchiesta l’allora presidente della sezione Misure di prevenzione del tribunale, Silvana Saguto (poi radiata dalla magistratura e condannata in primo grado a Caltanissetta) e scoppiò lo scandalo.

Per rinfrescarci la memoria riproponiamo il corto circuito dell’Antimafia in materia di gestione di beni confiscati, quando il compianto Caruso veniva considerato, ingiustamente, un untore, un eretico, un rinnegato…

Chiamato dagli avvocati della Saguto, come teste a carico, Claudio Fava si è presentato a Caltanissetta e, rispondendo alle domande sulla gestione dei beni sequestrati ha ricordato che nel marzo 2014 la Commissione Antimafia, di cui lui era vicepresidente e Rosy Bindi Presidente, scese a Palermo per un’audizione che venne letta dagli addetti ai lavori come l’espressione di solidarietà alla Saguto, che allora cominciava ad essere fatta oggetto di violente critiche, specialmente da Telejato. In quella occasione venne ascoltato il prefetto Giuseppe Caruso, responsabile dell’Agenzia Nazionale dei Beni sequestrati e confiscati alla criminalità mafiosa, e costui espresse una serie di critiche e di accuse. Interpellato sull’audizione, Fava si è limitato a dire che Caruso non aveva espresso l’esistenza di criticità nella gestione palermitana dei beni sequestrati, ma lamentato solo «un atteggiamento un po’ burocratico».

La cosa ha provocato una piccata replica dell’ex prefetto, il quale ha precisato:

«In effetti non ho parlato di criticità ma di forti e numerose criticità. E, responsabilmente, ho anche formulato le proposte per superarle. Alcune delle quali, anche a detta della presidente nazionale Bindi, successivamente, sono state recepite dalla Commissione e proposte per emendare la legge. Se non avessi espresso forti critiche – prosegue Caruso – perché la Commissione antimafia ritenne di venire a Palermo per manifestare piena solidarietà a Saguto, attribuendo a me il disegno di ‘delegittimare la magistratura’? Per verificare quanto dico è sufficiente leggere il resoconto delle mie audizioni in Antimafia e possibilmente ascoltare anche il tono di voce dei miei interlocutori in quella sede».

L’esistenza di “criticità” era stata fatta rilevare da Caruso sin dal 18 gennaio 2012, quando, davanti alla Commissione Antimafia aveva testualmente detto:

«Altre criticità riguardano la gestione degli amministratori giudiziari, per come si è svolta fino ad ora[…] l’amministratore giudiziario tende, almeno fino ad ora, a una gestione conservativa del bene. Dal momento del sequestro  fino alla confisca definitiva – parliamo di diversi anni, anche dieci – l’azienda è decotta. Siccome compito dell’Agenzia è avere una gestione non solo conservativa, ma anche produttiva dell’azienda, abbiamo una difficoltà di gestione e una difficoltà relativa a professionalità e managerialità che, dal momento del sequestro, posso individuare e affiancare all’amministratore giudiziario designato dal giudice. In tal modo, quando dal sequestro si passerà alla confisca di primo grado, sarà possibile ottenere reddito da quella azienda[…] Facendo una battuta, io ho detto che, fino ad ora, i beni confiscati sono serviti, in via quasi esclusiva, ad assicurare gli stipendi e gli emolumenti agli amministratori giudiziari, perché allo Stato è arrivato poco o niente. Ometto di dire quanto succede in terre di mafia quando l’azienda viene sequestrata, con clienti che revocano le commesse e con i costi di gestione che aumentano in maniera esponenziale. Ricollocare l’azienda in un circuito legale, infatti, significa spendere tanti soldi, perché il mafioso sicuramente effettuava pagamenti in nero e, per avere servizi o commesse, usava metodi oltremodo sbrigativi, sicuramente non legali, e aveva la possibilità di fare cose che in una economia legale difficilmente si possono fare. Siamo in attesa dell’attuazione dell’albo degli amministratori giudiziari, nella speranza di avere finalmente persone qualificate professionalmente alle quali poter rivolgersi e di avere delle gestioni non più conservative ma produttive dell’azienda».

Il 17, 18 e 19 febbraio 2014, dopo l’intervista fatta un mese prima da Giuseppe Caruso al quotidiano La Repubblica, la Commissione Antimafia arrivò a Palermo. Probabilmente non erano piaciute al suo Presidente Rosy Bindi e a qualche altro parlamentare siciliano legato al PD le sue dichiarazioni che, secondo Sonia Alfano, parlamentare europeo, avevano messo in cattiva luce l’operato dei magistrati che si occupano di Antimafia. Anche L’ANM, la potente associazione dei magistrati, si schierò allora contro Caruso sostenendo che, invece di rilasciare dichiarazioni sull’operato dei magistrati delle misure di prevenzione, avrebbe dovuto rivolgersi ai magistrati stessi, i quali così avrebbero potuto e dovuto giudicare se stessi. Questo “fare muro” attorno ai magistrati palermitani, anche quelli che gestiscono e hanno gestito i loro uffici come una personale bottega, con scelte e preferenze opinabili, sin da allora finiva con l’avallare la cattiva gestione del settore, coperto da protezioni che stanno molto in alto. Qualche “illuminato” politico ripeté la solita boutade che viene fuori ogni volta che un magistrato finisce nei guai, ovvero che «parlare male dei magistrati significa fare un favore alla mafia». Caruso in quella occasione sostenne di non avere a disposizione né uomini, né mezzi, né strumenti legali per affrontare con successo l’intero argomento dei beni sequestrati e confiscati. Conclusione: Caruso è andato o è stato messo in pensione, la Bindi ha dichiarato  che «l’Agenzia ai beni confiscati dovrà subire alcuni interventi» e tutto finì lì.

Le “criticità” espresse da Causo venivano riprese anche da Don Ciotti che il 15 settembre 2015, a Palermo, nel corso dell’inaugurazione dell’anno scolastico al Liceo Cassarà, oggetto di raid vandalici, diceva:

«Il prefetto Caruso ha denunciato un sistema che non funzionava, parcelle sproporzionate che finivano agli amministratori giudiziari e ritardi. È stato umiliato da tanti, ma è stato una persona perfetta, pulita e trasparente e con un grande naso da bravo poliziotto qual è».

Ma già, qualche mese dopo, (10 ottobre 2015) la redazione di Telejato inoltrava a Claudio Fava questa lettera:

Caro Claudio, credevamo di non avere capito bene quando hai dichiarato: “C’è un punto di cui nessuno ci ha mai parlato: ovvero che il marito della presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, Silvana Saguto, avesse una preziosa consulenza con lo studio del commercialista che si occupava della maggior parte dei beni sequestrati”. A parte il fatto che Cappellano Seminara non è un commercialista, ma un avvocato, non  è  giusto né corretto che tu faccia questa affermazione. Già un anno fa, quando è esploso il problema, ti sei schierato a fianco della Bindi, per “tutelare” l’immagine di un settore della procura di Palermo di cui da tempo avevamo denunciato le malefatte e lo strano modo di procedere. Le denunce del prefetto Caruso sono state pressoché ignorate e tutto è stato lasciato al suo posto. Anche quando sei venuto a farci visita nei nostri studi ti abbiamo informato su quello che c’era sotto: hai abbassato il capo, dicendoci che bisognava intervenire, ma forse eri distratto. Invece di lasciarsi prendere dalla paura di una destabilizzazione della magistratura, cosa peraltro ripetuta in questi giorni dal giudice Morosini, e, davanti a te, dalla Saguto, sarebbe stato più utile, anche per la storia che ti porti appresso, e alla quale hai fatto onore, chiedere di far pulizia all’interno di essa, anche perché la fiducia del cittadino non si conquista facendo credere che tutto è a posto, anche se tutto va male, ma intervenendo per mettere davvero tutto a posto quando bisogna eliminare lo sporco in casa. Sono cose che sai benissimo. Bastava andare a Villa Teresa, dove la scandalosa amministrazione del pupillo di Cappellano Seminara, Dara, ha prodotto danni economici e gestionali incalcolabili, per renderti conto che la sig.ra Saguto Silvana, il sig. Caramma Elio, suo figlio, e il sig. Caramma Lorenzo, suo marito, hanno effettuato radiografie, risonanze magnetiche, cervicale, dorsale, spalla, ginocchio senza che il loro nome risulti nella lista dei pagamenti. Bastava chiedere alla sig.ra Saguto una motivazione sul perché tanti incarichi nelle mani di poche persone e sul perché si sono emessi decreti di confisca quando la magistratura penale aveva escluso la provenienza mafiosa del bene. Bastava. E invece non sì è fatto  niente. È facile dire che non sapevamo… È difficile crederci. Con l’affetto di sempre.

La redazione di Telejato, 10 0ttobre 2015

Difficile trovare una spiegazione a questo “endorcement” che Claudio Fava ha fatto nei confronti della Saguto, nei confronti della quale, anche a seguito delle numerose denunce fatte da Telejato, sono intervenuti i giudici di Caltanissetta, che hanno messo sotto processo sia lei che tutta la sua “corte” di magistrati, loro parenti, amministratori giudiziari e consulenti vari. Ed è quello che vorremmo chiedere a Claudio, in considerazione della serietà con cui egli ha rivestito e continua a rivestire delicati incarichi nel campo dell’antimafia.