“Il mio errore pagato ad altissimo prezzo”

L’avvocato Angela Porcello racconta del suo rapporto con Giancarlo Buggea: “Me ne dovevo accorgere. Non l’ho fatto: un errore pagato ad altissimo prezzo”.

Tra i verbali firmati innanzi ai magistrati della Procura di Palermo dall’avvocato di Canicattì, Angela Porcello, punta del compasso nell’ambito dell’inchiesta antimafia “Kydi”, uno è interamente riferito al rapporto prima professionale e poi personale e sentimentale tra lei e Giancarlo Buggea, presunto mafioso di Canicattì, anche lui, come lei, arrestato lo scorso 2 febbraio. L’avvocatessa conclude riflettendo su tale rapporto, e le sue parole sono: “Ho pagato un prezzo altissimo”. E spiega: “E’ stato un errore. Non è per cattiveria che l’ho fatto. Io ho dimenticato un principio: il 416 bis è un reato, e fare parte di un’associazione mafiosa è un reato che non finisce, da cui non si esce, e da cui si esce o morti o perché posati. E ciò lo avevo studiato e applicato, l’avevo fatto mio. Con Buggea non l’ho considerato questo fatto. Io ero convinta che fosse un episodio isolato, che il reato da lui commesso lo poteva non commettere più, cambiando vita. Lui ha fatto da gancio perché mi ha preso dal mio mondo, che le posso assicurare che nulla aveva a che fare con questo tipo né di persone, né di fatti, né di circostanze, né personalmente, né come famiglia, né come persone che io frequentavo. Lui fa da gancio e io, convinta dì non potere lasciare degli spazi aperti nel nostro rapporto, mi inserisco nella sua vita a 360 gradi. Perché me ne dovevo accorgere! E sa da che cosa me ne dovevo accorgere? Quando sono venute al mio studio la madre e la sorella di Giuseppe Falsone: sono venute senza avere un appuntamento. Quindi lui, Buggea, si era visto con queste persone, che non sapevano niente di me e dove era il mio studio”. E poi, ancora riferendosi a Giancarlo Buggea, l’avvocato Porcello ha raccontato: “A lui lo chiamano con un epiteto, ‘Giulio’, perché non è vero che lo chiamano ‘il lungo’, come voi magistrati scrivete nell’ordinanza. Il suo nome all’interno dell’associazione era ‘Giulio’. E lui, a mia domanda ‘perché Giulio’, mi ha risposto: ‘da Giulio Andreotti’. Perché era uno che sbrigava tutte cose, insomma il tipo che si muoveva. Anche perché parliamo di soggetti scarsissimi mentalmente, e quindi lui, per quanto scarso era, rispetto agli altri navigava su un piano superiore. Lui subito mi disse, ma da subito, che nel covo di Bernardo Provenzano, quando lo hanno arrestato, trovarono un elenco di soggetti che erano indicati con un numero, e lui non ricordo se mi disse che aveva il numero 54 o 45. Ecco, io lì dovevo già da subito…non l’ho fatto…ho commesso un errore, lo sto pagando ora… ad altissimo prezzo”.