‘Lobby & logge’ minano la Giustizia italiana: lo sostiene Palamara. È vero o non è vero?

La critica, specie sui social, è quella che l’ex presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati non è un santo.

Perché Palamara a distanza di anni parla di come la magistratura sia stata gestita da un Sistema che non ha nulla da invidiare a ben altro genere di organizzazioni?

Ancora una volta, il nostro sguardo si punta sul dito e non sulla luna.

Che Palamara abbia fatto parte di quel sistema, non v’è dubbio, ce lo racconta lui stesso.

Che oggi ne parli per ragioni di vendetta o altro, può essere un motivo valido per ignorare ciò che ha da dire?

Se pensiamo di dover bocciare quello che dichiara soltanto per ciò che era, allora dovremmo trovare il coraggio di strappare tutti i verbali redatti con le dichiarazioni dei pentiti, annullare tutti i processi e le condanne.

La domanda da porsi – così come si dovrebbe fare ogniqualvolta viene sentito un collaboratore di giustizia – è un’altra: Ciò di cui narra, è vero o non è vero?

Quello che racconta Luca Palamara nel nuovo libro “Lobby e Logge”, su quella che lui definisce “una guerra di cricche”, a mia memoria non ha precedenti.

Una guerra tutta interna alla magistratura, fatta di accordi sottobanco, raccomandazioni e congiure, finalizzata alla gestione di un potere che nulla ha a che vedere con la parola Giustizia, quella alla quale si affida un cittadino per vedere riconosciuto un diritto, o quella che dovrebbe applicare la legge per riparare a un torto.

Quel che è peggio, è che la magistratura della quale parla Palamara, è una magistratura che – a suo dire – pilota le indagini, le insabbia o le promuove per interessi personali o politici, per coprire le presunte malefatte di colleghi che fanno parte alla stessa “cricca” o che sono tanto potenti da non doversi neppure nominare.

E per far ciò, diventa necessario avere gli uomini giusti nei posti giusti.

Ecco come sistemo gli amici fidati nei punti strategici

Giuseppe Pignatone

Io dico – dichiara Palamara a Sallusti – che per conoscere cosa accade sul campo devi avere seminato bene, cioè piazzato nei punti strategici del sistema giudiziario persone amiche e fidate, in modo da creare una rete informale di comunicazione e avere così tutto sotto controllo: più sai più conti, più conti più hai potere. E uno che aveva tanto potere all’interno del Sistema era il procuratore della Repubblica di Roma Giuseppe Pignatone”.

Cosa significa avere persone fidate nei punti strategici del sistema giudiziario?

Io ero a capo del Sistema, e lui (Pignatone – ndr) per me è stato un riferimento, o almeno io lo consideravo tale, e anche sulle vicende di cui stiamo parlando non si limitò a fare da spettatore. Siamo nel 2017, i nervi scoperti del sistema giudiziario sono le procure di Caltanissetta, per via dell’inchiesta Montante, e di Messina, che a sua volta aveva aperto un filone di indagine su Amara e la sua banda che avevano combinato sconquassi, oltre che a Trani, soprattutto alla procura di Siracusa. Il tutto andava affrontato con grande cautela”.

Da Messina al caso Montante

Palamara racconta della nomina del nuovo procuratore di Messina, al quale sarebbe spettato il compito di indagare sui colleghi di Siracusa, e di come Pignatone avversò la nomina dell’allora  reggente, Vincenzo Barbaro, preferendogli Maurizio De Lucia, in quel momento in servizio all’antimafia, con il quale si conoscevano e avevano avuto modo di lavorare insieme.

Palamara si informa e scopre che “De Lucia era rimasto coinvolto nel caso Montante al punto che a Perugia, tribunale competente sui magistrati dell’antimafia, era arrivato un fascicolo che lo riguardava – cosa a cui non era stata data alcuna pubblicità, una vicenda finita poi archiviata”.

De Lucia era stato infatti segnalato dai colleghi di Caltanissetta che indagavano sul conto di Montante, per rivelazione di segreti di ufficio e favoreggiamento.

Antonello Montante

Un rapporto, quello con Montante, confermato da quest’ultimo e documentato dagli appunti dello stesso Montante che aveva annotato una ventina di incontri con il magistrato.

Dopo l’avviso di garanzia a Montante, per concorso in associazione mafiosa, De Lucia gli inviava un sms: «Con affetto sono con te, tieni duro che passerà».

E nessuno fa la minima obiezione nonostante il suo rapporto con Montante?” – chiede Sallusti a Palamara.

No, neppure io. So dei rapporti molto stretti con Pignatone e decido di non mettermi in mezzo. Al Csm la pratica la gestiscono la consigliera di sinistra Paola Balducci e quello vicino alla destra Massimo Forciniti. Tutto va per il verso desiderato e il 30 maggio 2017 Maurizio De Lucia diventa procuratore di Messina, che vuole dire mettere le mani sul filone della lobby Amara”.

Ancora una volta – secondo il narrato di Palamara – è sufficiente il rapporto con il potente di turno, perché non accada nulla.

In sintesi, non si muove foglia che Pignatone non voglia.

La “cortesia” di Palamara non viene ricambiata

Palamara è già  indagato da un anno dalla procura di Perugia, senza che sia successo nulla, fin quando non si appresta a cambiare i giochi per la nuova nomina alla procura di Roma “in  sostituzione di Giuseppe Pignatone che sta per arrivare a fine mandato. Ma intanto a Messina…

A Messina il neoprocuratore Maurizio De Lucia interroga il collega Giancarlo Longo che “dice a De Lucia – spontaneamente o su domanda non lo sappiamo – che ha sentito dire che io, Luca Palamara, avrei preso 40.000 euro per nominarlo procuratore di Gela”.

Palamara nel libro racconta di come quella nomina non avvenne e non sarebbe mai potuta avvenire, visto che Longo non è mai stato candidato alla procura di Gela.

Ma c’è di più, secondo quanto affermato da Palamara, il quale sostiene che “in realtà in quel verbale Longo parlerà anche di Pignatone, ma questa parte verrà omissata e a Perugia – cioè alla procura che deve indagare sui magistrati di Roma – verrà trasmessa solo la parte a me relativa, che riemergerà alla vigilia dell’elezione del nuovo procuratore di Roma”.

Scoppia il Palamaragate

Sulla nomina  del nuovo procuratore di Roma, l’ex presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati decide di non assecondare Pignatone che avrebbe voluto Francesco Lo Voi (attuale procuratore di Roma, all’epoca procuratore di Palermo) o Michele Prestipino a rivestire quella carica, mentre il “disobbediente” – per la prima volta – Palamara, punta alla nomina del procuratore generale di Firenze Marcello Viola, rompendo equilibri da tempo consolidati.

Marcello Viola

Viola bruciato (immeritatamente, lo sanciscono il Tar, il Consiglio di Stato e persino quello che risulta dalle indagini che indicano il pg di Firenze vittima di giochi dei quali era all’oscuro), Palamara accusato, messo alla gogna dalla stampa, radiato dalla magistratura.

Palamara ha motivo di cercare vendetta? Sicuramente sì! È un “pentito”? Classifichiamolo pure come vogliamo, la domanda rimane sempre la stessa: è vero o non è vero quello che dice?

È vero che c’era un sistema che mirava a salvaguardare la casta dei magistrati (non tutti e non sempre, Palamara docet!) anche quando il loro operato, seppur non violando il codice penale, era quantomeno assai disdicevole?

La risposta, purtroppo, non può darcela la bocca della verità…

La ragion di Stato

Secondo Palamara, per alcuni fatti, esiste una  ragion di Stato.

Ne parla nel caso di Scarpinato e altri magistrati, i cui rapporti – che definisce non limpidi – vengono fuori da una chiavetta rinvenuta a casa di Montante. Eppure, anche questa volta, non succede nulla.

Il timore – a dire di Palamara – era quello di “uno sputtanamento per il Gotha dell’antimafia siciliana, quello che per intenderci in quel momento aveva in mano le inchieste sui mandanti delle stragi Falcone e Borsellino”.

Tra tutti quelli degli altri magistrati – secondo l’ex presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati – a creare un problema enorme è il nome di Roberto Scarpinato.

Fra gli appunti di Montante ce ne è uno datato 3 maggio 2012, con la dicitura: «Scarpinato mi consegna composizione del Csm con i suoi iscritti per nuovo incarico, procura generale Palermo più Dna»”.

Una “cosa non bella – prosegue Palamara – ma la magistratura italiana, soprattutto quella di sinistra di cui lui fa parte, non può permettersi un simile scandalo. Quindi parte l’operazione «salviamo il soldato Scarpinato» e ovviamente, per logica conseguenza, tutti gli altri […] se un collega importante come Scarpinato o uno come Lari, tanto per essere chiari, dovesse apparire vicino a un imprenditore legato ad ambienti mafiosi, travolgerebbe tutto, e lo Stato non se lo può permettere. Quindi bisogna fare in modo che questo non accada, e bisogna fare in modo che al Csm non ci siano rompicoglioni che in qualche modo possano andare a fondo alla vicenda, e bisogna fare in modo che anche chi eventualmente in sede penale volesse riaprire quel fascicolo non crei troppo casino”.

È la ragione di Stato – per Palamara – per la quale la cosa finirà lì e nessun provvedimento verrà preso nei confronti di nessuno dei magistrati coinvolti nella vicenda Montante.

Prevenire è meglio che reprimere

Non è neppure questa la parte peggiore della storia – sempre che in tutto questo si possa parlare di una parte meno peggiore di un’altra – nell’ottica del «prevenire èmeglio che reprimere», mettendo l’uomo giusto al posto giusto per “evitare che qualcuno non gradito o non allineato potesse ficcare il naso in vicende scottanti – come spesso accade quando si pongono problemi di successione alla guida degli uffici di procura”.

È a questo punto che parla di nomine “funzionali a gestire un casino, quello dei colleghi coinvolti nel caso Montante, che evidentemente loro sapevano sarebbe scoppiato ben prima che diventasse noto non solo all’opinione pubblica, ma anche al Csm”.

Non più dunque un intervento occasionale volto a coprire altri magistrati, ma un disegno premeditato.

Senza abbracciare l’idea di un tale disegno, senza voler dare per veritiere le dichiarazioni di Palamara (vale però sempre la domanda se è vero o non è vero), sull’opportunità o meno di talune nomine, lo scorso anno era intervenuto Giuseppe Ciminnisi, coordinatore nazionale dei familiari delle vittime di mafia dell’Ass. “I Cittadini contro le mafie e la corruzione”, il quale rimarcava la necessità di voler evitare la nomina di magistrati provenienti da uffici giudiziari ricadenti in ambiti territoriali che, nell’ipotetico caso di indagini, dovessero essere di competenza della procura dei neonominati.

Una questione di buonsenso, per evitare l’imbarazzo di un magistrato che debba venire a trovarsi ad indagare su un collega con il quale fino al giorno prima lavorava gomito a gomito, magari conducendo insieme le stesse inchieste.

Una partita a scacchi

Ad oggi, seguendo la logica di Palamara, si potrebbe dire che sullo scacchiere giudiziario italiano, Pignatone – attuale presidente del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano ed ex procuratore di Roma – ha ben posizionato le proprie pedine, dando scacco matto a Palamara su Roma, dove il potente magistrato voleva incoronato uno dei sui due fedelissimi (Lo Voi e Prestipino) scalzando Viola.

Secondo Sabrina Pignedoli, attuale europarlamentare e giornalista antimafia che collabora con la Commissione Parlamentare Antimafia, Marcello Viola non poteva essere il procuratore di Roma perchè ha il vizio di fare indagini, e rifacendosi alle intercettazioni di Palamara  con Giovanni Legnini, sottolinea come l’ex magistrato, parlando del futuro procuratore capo di Roma, dice esplicitamente:

Hanno paura che se va un altro (che non sia un pignatoniano – ndr), mette le mani nelle carte e vede qualcosa che non va”.

Chiusa la partita romana, cosa accadrà in Sicilia? Il Sistema riuscirà a coprire anche la posizione su Palermo (Lo Voi, andando a Roma lascia libera la poltrona di procuratore capo) assicurando una prosecuzio dell’operato dei fedelissimi di Pignatone?

A chi spetterebbe indagare?

Aspetteremo un secondo Palamara perché venga a raccontarci – vero o non vero che sia – che anche altre nomine erano funzionali al Sistema?

Ci chiederemo nuovamente se sarà vero o non sarà vero quello che dirà il nuovo Palamara?

Intanto chiediamoci di questo Palamara, di Luca Palamara; è vero o non è vero quello che dice?

Gian J. Morici