Trovata la lettera del giornalista Morgante a Montante. Il Morgante finora aveva negato di averla scritta ed inviata. Nel 2012, l’attuale direttore della TV del Vaticano gli chiedeva, con successo, di raccomandarlo per diventare vicedirettore di RAI Sicilia. Montante per lui faceva molto di più… Ad ottobre scorso la Procura di Caltanissetta ha ufficialmente inviato tale lettera all’Ordine dei Giornalisti, che lo aveva censurato nel 2019. Ed inoltre un’inedita ricostruzione sugli intrecci tra giornalismo, giustizia e mafia

La lettera del giornalista Vincenzo Morgante, inviata nel 2012 ad Antonello Montante, con cui gli chiedeva di raccomandarlo per diventare vicedirettore della TGR Sicilia della RAI, da ottobre dello scorso anno è agli atti dell’Ordine dei Giornalisti. Ricordiamo che la qualcosa da Montante fu ritenuta un’inezia, un favore di poco conto, una bazzecola. Montante infatti già che c’era, fece molto, ma molto di più. Dall’alto del suo scranno di numero due di Confindustria nazionale e di deus ex machina del suo sistema di potere perverso, in cui sono rimasti coinvolti anche parecchie figure di vertice delle istituzioni, fece conferire al Morgante l’incarico di direttore di tutte quante le testate giornalistiche regionali della RAI. In tal modo Montante poteva disporre del Morgante, a suo piacimento, per condizionare qualsiasi informazione pubblica, in ogni singola porzione del territorio nazionale. E tutto ciò fu possibile grazie alla sua intercessione, che aveva praticamente consentito di far diventare Morgante, praticamente, il direttore della testata giornalistica, con i suoi circa 700 giornalisti, più grande d’Europa.

 

Oggi possiamo esclamare Eureka! Infatti abbiamo scoperto, grazie al giornalista Angelo Di Natale, che la lettera di raccomandazione di Morgante a Montante, è stata ufficialmente inviata, dalla Procura della Repubblica di Caltanissetta, il 5 ottobre dello scorso anno, dal pubblico ministero Maurizio Bonaccorso che sta sostenendo l’accusa, in uno dei tronconi del processo a carico di Antonello Montante e della sua lobby.

Nel 2019 il Morgante era stato già censurato, dall’Ordine dei Giornalisti di Sicilia, assieme ad altri suoi colleghi asserviti al ‘Sistema Montante’, per le sue frequentazioni con Antonello Montante che, per chi ancora non lo conoscesse, era un falso paladino dell’antimafia. Forse il più pericoloso tra i falsi professionisti dell’antimafia.  Attualmente risulta condannato in primo grado per associazione a delinquere, corruzione ed altro, a 14 anni di reclusione ed è ancora sotto inchiesta per mafia. Se oggi noi ci permettiamo di pubblicare questi atti ufficiali, che attestano il rapporto di asservimento del giornalista Morgante nei confronti di Montante è perché, in occasione delle sue audizioni, sia davanti alla Commissione Regionale Antimafia, presieduta da Claudio Fava, che al cospetto del Consiglio di disciplina dei giornalisti siciliani, il Morgante rispondeva di non ricordare di avere mai mandato a Montante questa famosa lettera di raccomandazione.

Quella che segue è l’audizione di Morgante davanti la Commissione Antimafia dell’ARS contenuta nella relazione conclusiva sul “sistema Montante”. A proposito “dell’email inviata in data 04.04.2012 dal MONTANTE alla GIARDINA avente ad oggetto “riservato”, nel cui corpo è contenuta mail della stessa data inviata da Vincenzo Morgante, giornalista RAI, al MONTANTE, per ottenere una sua segnalazione quale vicedirettore TGR Sicilia” MORGANTE” il Morgante rispondeva in questi testuali termini:

“io non ho memoria di avere inviato, né al cavaliere Montante né a chicchessia, email, lettere o quant’altro per chiedere segnalazioni di natura personale. Ho il dovere di dire anche che era noto in ambito aziendale ed extra aziendale un mio impegno affinché la redazione siciliana della RAI anche in Sicilia fosse assegnata per una volta una vice direzione, ma era un problema di assetto aziendale non un problema di natura personale.

FAVA, presidente della Commissione. Risulta dalle carte che sono state sequestrate a Montante di due incontri con lei successivi al 9 febbraio: il 19 febbraio 2015 ed il 13 maggio 2015. Il primo sarebbe un incontro al Bernini che è un luogo che il Montante usava spesso per i suo incontri insieme al signor Pitruzzella ed il secondo il 13 maggio una cena al Majestic con altre persone tra cui Lo Bello e Catanzaro.

MORGANTE. Confermo certamente il primo incontro perché avvenne, come lei ricordava, a pochi giorni dalla pubblicazione di un articolo che indicava il Montante come sotto inchiesta per mafia Fu un incontro da me sollecitato perché avevo il desidero di guardarlo negli occhi e gli chiesi espressamente: “che cosa c’è? Cosa sta succedendo?”

FAVA, presidente della Commissione. Ci aiuti a capire. Andare a chiedere spiegazioni va oltre il rapporto istituzionale tra il direttore del TGR e il presidente di Confindustria. Per quale ragione lei lo andò a cercare?

MORGANTE. Devo dirle, Presidente, che noi in quell’antimafia sociale abbiamo creduto molto.

FAVA, presidente della Commissione. Noi, chi?

MORGANTE. Noi della redazione regionale, noi del servizio pubblico radiotelevisivo. Quindi fu un imbarazzo notevole.”

Adesso noi, carte alla mano, gli stiamo semplicemente ricordando che quella lettera l’ha mandata. Eccome se l’ha mandata! Del resto con Montante erano culo e camicia. E ciò emerge da una miriade di prove e riscontri, contenuti nei fascicoli processuali di Caltanissetta. Probabilmente lui ricordava perfettamente di avere chiesto in quella, così come in tante altre occasioni, quella ormai famosa raccomandazione e tante altre cose. Cose non sempre corrette ma necessarie per la sua vertiginosa scalata dentro la RAI e per ottenere altri eventuali benefici.

Per tali ragioni il Morgante nel 2019 veniva censurato dal suo ordine professionale.

Non sappiamo se, ciò che abbiamo fin qui raccontato e documentato, sia sufficiente per capire come funzionava, ed in buona sostanza come funziona ancora oggi il ‘sistema Montante’ che continua ad esercitare il suo potere, avvalendosi di altri soggetti, formalmente al di sopra di ogni sospetto.

Oggi Morgante è stato defenestrato dalla RAI,  perché pienamente coinvolto nel ‘Sistema Montante’ e per le sue marachelle consumate all’ombra (e che ombra!),  del servizio pubblico televisivo.

A lui piacevano tantissimo, ad esempio, i rinomati panettoni di una famosa azienda di Castelbuono, un suggestivo paesino arroccato nelle Madonie. Castelbuono è il comune dove vive il giornalista pubblicista Ignazio Maiorana, un nostro carissimo amico, che dirige da oltre quarant’anni L’Obiettivo, che è davvero un bel

 

periodico. Di giornali liberi e fatti con stile davvero raffinato, come il suo, ce ne vorrebbero almeno uno ogni paese. Castelbuono è anche il paese d’origine di Lirio Abate, nuovo direttore del settimanale L’Espresso, dopo le polemiche dimissioni di Marco Damilano. Anche Lirio Abate è stato colpito di striscio dal ‘Sistema Montante’. Ha dato fiato, a livello giornalistico, ad una vicenda scandalistica, fatta di droga, sesso e mafia, del tutto inventata e montata ad arte da Montante, come era nel suo stile, in cui veniva coinvolto un avvocato che era ai vertici dell’AST, una società regionale di trasporto pubblico locale. L’AST è la più grossa azienda pubblica di trasporti siciliani. Anche questa società era stata saccheggiata da Montante. Dopo averle venduto, per oltre 15 anni, con la sua azienda, la MSA, in regime di esclusiva, decine di milioni di euro di ammortizzatori, ha poi escogitato un modo illecito, disdicevole e scabroso per papparsela tutta quanta, attraverso una scalata societaria del tutto illegale. Per portare a compimento questa, per certi versi vergognosa operazione, arrivò al punto di accusare l’allora vicepresidente dell’AST, l’avvocato Cusumano, oltre che di essere mafioso, metodo questo che usava con tutti i suoi nemici o concorrenti da abbattere, anche di organizzare feste a base di droga e sesso. Il che non era per niente vero. Ma il colmo è che questa storia pruriginosa per screditare, diffamare e calunniare l’avvocato Cusumano, venne data in pasto all’opinione pubblica, grazie all’inconsapevole apporto del giornalista Lirio Abate.

Anche Gioacchino Genchi è di Castelbuono. È amico di vecchia data del giornalista Morgante e forse anche del suo compianto padre, che è stato segretario della Corte dei Conti siciliana e che, ad un certo punto della sua carriera, forse ha avuto bisogno di lui. Oggi  Genchi è un valente avvocato. Ma ha alle spalle un glorioso passato di  superpoliziotto e di primo grande esperto d’informatica d’Italia, al servizio delle forze dell’ordine e degli uffici giudiziari. Ha tanta di quella roba, che esce all’occorrenza,  gelosamente conservata nei suoi archivi informatici, da far saltare in aria un intero sistema politico, economico e mediatico-giudiziario italiano. A cavallo degli anni Ottanta e Novanta, all’epoca delle stragi, Genchi lavorava assieme a Rutilius, al secolo il compianto Arnaldo La Barbera. In quel periodo La Barbera era capo della squadra mobile di Palermo. Poi si è scoperto che era anche un dirigente dei servizi segreti e che ha avuto un ruolo, determinante, nel depistaggio relativo alla strage di via D’Amelio, dove furono massacrati il giudice Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta.

Il  giornalista Morgante, proprio perché si faceva forte di questi suoi legami, non solo con Montante, ma anche con altri potenti personaggi, ha potuto, impunemente, sgomitare e prendere a spallate in RAI tutti quei colleghi che gli davano fastidio. Qualcuno, quale Angelo Di Natale, lo ha addirittura calunniato e lo ha fatto, ingiustamente, licenziare in tronco. Giova ricordare che Morgante è stato anche portaborse del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Quando è stato gentilmente accompagnato fuori dalla RAI, non ha avuto difficoltà a trovarsi una sua nuova collocazione degna del suo livello ‘professionale’.  È stato infatti nominato direttore di TV 2000, la televisione dei vescovi italiani. Si dice che il Vaticano è stato caldamente sollecitato da chi, in Italia, sta molto in alto, anche per garatirgli  uno stipendio annuo pari a quello che percepiva in RAI, ossia oltre 240 mila euro l’anno. Il precedente direttore di TV 2000 pare che percepisse meno di 50 mila euro l’anno. Un quinto di quanto guadagna Morgante, in una TV che, con tutto il nostro sacro rispetto per Monsignor Bassetti, il capo dei vescovi italiani che gli ha firmato il contratto, non ha nulla a che vedere con la RAI, riguardo agli indici di ascolto, alla sua diffusione ed al numero di telespettatori che la seguono. Qualcosa di simile succede, ad esempio, anche a Tele San Marino, altra TV a diffusione davvero limitata che pagava al suo direttore, grosso modo, quanto il Vaticano paga a Morgante. A San Marino hanno comunque fatto di peggio, considerato che quella cifra scandalosamente spropositata, veniva pagata con i soldi dei contribuenti italiani, costretti a versare allo Stato il canone RAI, attraverso le bollette dell’energia elettrica. Modalità di pagamento, peraltro, ritenuta del tutto incostituzionale.

In Vaticano il Morgante non è stato lasciato solo. A collaborare con lui c’è anche il cavaliere Paolo Borrometi, un altro giornalista siciliano che si è accreditato quale professionista dell’antimafia,  ottenendo anche l’incarico di vicedirettore dell’agenzia di stampa dell’ENI, per le sue prestazioni antimafiose. Proverbiali sono diventate le sue inchieste prima giornalistiche, poi diventate inchieste parlamentari e giudiziarie che hanno portato anche agli ingiusti scioglimenti per mafia dei Comuni di Scicli, Augusta, Pachino o Vittoria. Paesi dove ci sono in ballo grossissimi interessi, specie nel settore petrolchimico, in quello agroalimentare e dello smaltimento dei rifiuti. In modo assai sofisticato, in quei luoghi disgraziati, sono stati coinvolti anche soggetti appartenenti ad apparati deviati dello Stato, per favorire degli opachi interessi di alcune società che facevano capo all’ENI ed al ‘Sistema Montante’.

Altro siciliano che può scaldare il fianco a Morgante dentro il Vaticano è il nuovo presidente del Tribunale del Papa, l’ex Procuratore della Repubblica di Roma, Giuseppe Pignatone, amico suo e prima ancora di suo padre. Anche lui, Pignatone, quando se n’è andato in pensione, per raggiunti limiti d’etá, dismessa la toga italiana, ha indossato quella pontificia. Probabilmente avrà acquisito dei meriti particolari, all’inizio del suo ‘mandato’ di procuratore di Roma, tra il 2012 ed 2013, quando si è occupato dello ‘storico’ caso giudiziario, relativo alla scomparsa di Emanuela Orlandi, da lui immediatamente archiviato. Per evitare di sbagliare nel seguire le varie piste investigative, che portavano dritto dritto verso mafia, camorra, banda della Magliana, terrorismo, pedofilia e quant’altro, subito ha archiviato tutto. Non poteva portare sulle spalle anche questo pesantissimo macigno giudiziario, visto che già aveva iniziato ad occuparsi  della famosa inchiesta Mafia Capitale, finita per la verità in Cassazione a coda di sorcio, con la sola significativa condanna di Buzzi e Carminati. Per il resto è evaporato tutto quanto, mafia compresa. Il Pignatone in quanto ad inchieste di mafia, già nel 1991, aveva maturato una discreta esperienza. Stiamo parlando di quando a Palermo si è occupato di una corposa indagine su mafia ed appalti, un affaire di mille miliardi di vecchie lire, in cui c’erano coinvolti Siino, altrimenti conosciuto come Bronzon, ossia il ministro dei lavori pubblici di cosa nostra, ma anche Vito Ciancimino ed altri mafiosi di rango. In quell’occasione si è imbattuto anche sul nome di suo padre che, all’epoca dei fatti, era presidente di un ente economico regionale denominato ESPI, socio della SIRAP, ovvero la società condizionata dalla cupola siciliana di cosa nostra, che si stava occupando di quel mega appalto riguardante tutte le aree industriali siciliane. Nel 1992, l’anno delle stragi di Capaci e di via D’Amelio, quell’inchiesta gli fu tolta di mano. Qualche anno dopo venne indagato a Caltanissetta per fuga di notizie relative proprio al dossier mafia-appalti, in cui era coinvolto suo padre. La sua posizione e quella di un altro suo collega venne archiviata. A seguire quell’inchiesta su Pignatone fu il Procuratore Giovanni Tinebra. Una volta morto Tinebra, si è scoperto che, assieme ad Arnaldo La Barbera, anche lui nel frattempo deceduto, è stato proprio lui, uno dei principali artefici del depistaggio investigativo riguardante la strage di via D’Amelio. Depistaggio che come è noto si basava sulle rivelazioni del falso pentito Scarantino. Nel 2009 troviamo, sempre Pignatone, a Reggio Calabria dove, da procuratore della repubblica, collaborava con Antonello Montante, nel frattempo diventato responsabile nazionale per la legalità di Confindustria. Collaborava anche  con il capo della sicurezza, sempre di Confindustria, Diego Di Simone Perricone. Entrambi, il Di Simone Perricone e Montante, assieme ad altri componenti dell’associazione a delinquere di cui sono parte integrante, sono stati recentemente condannati per vari reati, nell’ambito del procedimento penale denominato ‘double face’. Sono ancora sotto processo a seguito di altri filoni d’indagine, compresa un’inchiesta per mafia. Si tratta, chiaramente di inchieste e processi, relativi al ‘sistema Montante’.

Forse stiamo continuando a sbagliare ed a pensar male quando leggiamo le carte contenute in quei fascicoli relativi ai processi in cui siamo costituiti parte civile.

Montante, Morgante, Pignatone e via via tutti gli altri imprenditori, giornalisti, magistrati ed esponenti delle forze dell’ordine amavano  frequentarsi, si scrivevano, si  scambiavano informazioni o idee, solo per amicizia!