L’immorale cerchio magico

Senza entrare nel merito delle accuse rivoltegli dal presidente dell’Antimafia – ossia le frequentazioni con il “condannato” Marcello Dell’Utri – Nello Musumeci, nella sua invettiva contro Claudio Fava, ha risposto che “con me in Sicilia è tornata la moralità nelle istituzioni, rese impermeabili a padrini e padroni, di qualunque colore”. Un concetto rimarcato a più riprese dal governatore uscente, e utilizzato come scudo di fronte agli alleati che non vorrebbero ricandidarlo: “E’ innaturale mettere in discussione un presidente uscente se non ci sono fatti gravi – ha dichiarato -. Se non dimostreranno che sono socio di Matteo Messina Denaro o che, a differenza di quanto mi risulta, esistono candidati più competitivi di me, non ritirerò la mia candidatura”.

Essere una persona perbene e con la schiena dritta, non comporta la conferma automatica nei posti di comando. Questo Musumeci lo sa bene. Altro, invece, è tacciare gli avversari politici di “insulso perbenismo” senza aver prima passato al setaccio i fatti e le cronache di questi cinque anni, che hanno portato alla ribalta il suo governo. La linea di demarcazione fra responsabilità penale e condotta morale è robusta. Me è lungo questo crinale che bisogna stimolare un’analisi. Partiamo dal via: il presidente Nello Musumeci, sotto il profilo della responsabilità penale, è senza macchia. Nell’arco di questa legislatura non è stato scalfito da inchieste, anche se alcuni membri del suo governo, a più riprese, sono stati coinvolti in vicende poco edificanti. La più imponente riguarda Ruggero Razza: l’assessore alla Salute è stato rinviato a giudizio nell’ambito dell’indagine sollevata dalla Procura di Trapani, poi trasferita per competenza a Palermo, sui dati falsi Covid. Quella sui “morti spalmati”, per intenderci: un modo per consentire alla Regione di ritardare le restrizioni. Il tenore delle telefonate fra Razza e i membri del suo dipartimento, certo, non è incoraggiante. Così come il reintegro di Maria Letizia Di Liberti, vero fulcro dell’inchiesta, come dirigente generale del dipartimento alla Famiglia (dopo essere stata per un periodo ai domiciliari).

Ma torniamo a Razza. Musumeci, che inizialmente aveva preteso e accolto le dimissioni del suo delfino, lo aveva riammesso in giunta dopo un paio di mesi, con un processo da istruire e responsabilità da definire. Dopo l’atto di notifica di conclusione delle indagini, una cosa è apparsa chiara: l’assessore andrà sul banco degli imputati. Ma nel frattempo, e per gli ultimi sei mesi di questa legislatura, continuerà a esercitare il suo ruolo nell’esecutivo, dopo aver smaltito le tossine dell’assalto mediatico e i cazziatoni del presidente, che non gli ha mai lesinato critiche. Quasi mai. Sulle vicende dell’Oasi di Troina, in attesa di stabilire se ci sono responsabilità e da parte di chi, Musumeci non ha proferito verbo. Né sull’occupazione del suo partito, Diventerà Bellissima, dell’istituto di cura per disabili mentali; né sulle motivazioni che hanno costretto il Vaticano (attraverso il presidente dell’Irccs, padre Silvio Rotondo) a revocare “con effetto immediato” l’incarico di direttore generale a Claudio Volante, consigliere comunale di DB a Palermo, che – tra consulenze e incarichi vari – aveva trasformato l’Oasi nella sede distaccata del movimento. Esigere spiegazioni, forse, sarebbe servito a rafforzare l’immagine di Musumeci. Che invece se n’è rimasto con le mani in mano. L’unico atto partito dalla Regione, e precisamente dall’assessorato alla Salute, è una commissione ispettiva per indagare i motivi che hanno portato alla revoca di Volante.

In questi ultimi giorni, però, è tornata in auge un’altra questione poco chiara. In cui è sconveniente metterci la faccia. Quella sul Centro Direzionale. Che qualcuno abbia pasticciato oltremodo nel redigere il bando di progettazione è fuor di dubbio (lo sostiene l’Anac). Che nessuno, alla Regione, abbia analizzato la situazione immobiliare dell’ente, a quattro anni e mezzo dall’insediamento, invece è gravissimo. La Corte dei Conti, nell’ultimo giudizio di parifica, ha bocciato lo Stato patrimoniale dell’ente: “Non si può contare su una pronta visione complessiva della consistenza immobiliare e dello stato di utilizzazione e redditività dei beni, situazione che, peraltro, si perpetua da molto tempo ed alla quale sarebbe giunto il momento di porre finalmente rimedio”. Nessuno ha istituto una commissione d’indagine interna per stabilire i motivi che hanno portato alla “sparizione” di un censimento immobiliare costato fior di milioni (110 nel complesso). Nessuno ha esplorato i motivi per cui i server della Spi, dov’era rinchiuso, è rimasto a lungo sotto chiave, protetto da una password misteriosa. Una volta ritrovata, era troppo tardi: la mappatura era inservibile. Inutilizzabile. Capùt.

Non ci sarebbe niente di strano se dietro questa password non si nascondesse uno degli scandali più importanti della Regione siciliana, nonché l’ombra di un avventuriero venuto dal Nord, e piazzato a capo di una partecipata regionale (oggi in liquidazione), proprietario di un sistema di scatole cinesi con sede fiscale in paradisi offshore. Una storia da mettere i brividi. Oggi la Regione paga 40 milioni di affitti l’anno, di cui 24 a favore di un fondo immobiliare di cui, tuttavia, risulta partner al 30%. Lo stesso Fondo a cui il governo Musumeci ha stabilito, attraverso una norma inserita in Finanziaria, di versare una ventina di milioni (ulteriori) per l’acquisizione del complesso immobiliare di via La Malfa, a Palermo, dove sarà realizzato il Centro Direzionale. Ma sui rapporti e l’operato dell’assessore Armao, legato a doppio filo a Bigotti e alla storia del censimento, chi farà luce? Amen.

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