“Depistaggio Borsellino”, la difesa di Mario Bo

Il poliziotto Mario Bo, imputato al processo sul depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio, ha reso dichiarazioni spontanee in aula. I dettagli.

Al processo in corso innanzi al Tribunale di Caltanissetta, sul presunto depistaggio delle indagini dopo la strage di Via D’Amelio contro il giudice Paolo Borsellino, la Procura ha già chiesto la condanna dei tre poliziotti imputati di calunnia aggravata dall’avere favorito la mafia allorchè avrebbero imbeccato il falso pentito Vincenzo Scarantino: 11 anni e 10 mesi di reclusione a carico di Mario Bo, e 9 anni e mezzo di detenzione ciascuno per Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo.

Mario Bo

Ebbene, Mario Bo, a propria difesa, ha appena reso dichiarazioni spontanee in aula. E ha affermato: “Nel dicembre del 1993 mi recai nel carcere di Pianosa per un colloquio investigativo che Vincenzo Scarantino aveva chiesto di effettuare con il pubblico ministero. Ricevetti una telefonata dal dottor Arnaldo La Barbera, il capo del nostro gruppo d’indagine ‘Falcone e Borsellino’, che mi ordinava di recarmi in quel carcere perché Scarantino aveva chiesto di parlare, per urgenti comunicazioni, con il magistrato Ilda Boccassini la quale, però, al momento risultava indisponibile. Scarantino si dichiarò estraneo ai fatti contestatigli.

Arnaldo La Barbera

Scarantino, senza fornirmi alcuna spiegazione, continuò nella sua linea di difesa aggiungendo che non riusciva a reggere le condizioni carcerarie e la lontananza dalla propria famiglia. E che, come elemento di buona volontà, quasi a dimostrare, a suo avviso, l’intenzione di collaborare solo in ordine a fatti di sua effettiva conoscenza, mi fornì utili indicazioni per la cattura del latitante Giuseppe Calascibetta”. E poi Mario Bo ha aggiunto: “La volta successiva in cui ho incontrato Scarantino fu in occasione di un secondo e ultimo colloquio investigativo effettuato nel carcere di Termini Imerese, in occasione della traduzione di Scarantino per presenziare ad un processo a Palermo per traffico di droga. In questa occasione, come ebbi modo di attestare nella mia relazione di servizio che è agli atti del processo, Scarantino continuò a dichiararsi estraneo alla strage di via D’Amelio, mantenendo la stessa linea che aveva adottato nel precedente colloquio del mese di dicembre. E mi congedò con una frase sibillina affermando che avrebbe meditato circa una sua eventuale collaborazione se fosse venuto a conoscenza di ‘tradimenti’ da parte di sua moglie. E’ singolare che Scarantino nel corso del processo abbia affermato di escludere categoricamente di avermi incontrato a Termini Imerese, fatto che, invece, è provato documentalmente, a differenza di altri presunti e asseriti incontri con me, che non hanno avuto riscontro probatorio alcuno poiché, in effetti, non sono mai avvenuti. Questi due sono gli unici colloqui investigativi che io ho effettuato con il detenuto prima della sua collaborazione. In entrambe le occasioni Scarantino non ha manifestato la volontà di collaborare. Peraltro, sommando il tempo trascorso con lui durante i due colloqui, durati più o meno un’ora ciascuno, è evidentemente impossibile avergli fornito le copiose informazioni poi dallo stesso Scarantino rese nel famoso interrogatorio del 24 giugno 1994, durante il quale ‘sembrava un torrente in piena’, come lo hanno definito i soggetti presenti. Ho successivamente rivisto Scarantino molto tempo dopo il suo pentimento, solo in presenza dei pubblici ministeri, in occasione di altrettanti interrogatori in occasione dei quali effettuavo le trasferte insieme ai magistrati. Rividi Scarantino il 26 luglio 1995 a San Bartolomeo al Mare, la sua località protetta, al mattino, per informarlo che nel pomeriggio ci saremmo recati insieme a Genova dove ci attendeva il magistrato Carmelo Petralia per un interrogatorio, così come mi aveva anticipato lo stesso Petralia il giorno precedente. Dopo l’aggressione che subii nel pomeriggio del 26 luglio 1995, chiesi e ottenni, dalla Procura di Caltanissetta e dal Servizio centrale di protezione, di estromettere il nostro gruppo d’indagine ‘Falcone Borsellino’ dai servizi di assistenza nei suoi confronti e del suo nucleo familiare: da allora non l’ho più rivisto” – ha concluso Mario Bo. Perché Scarantino ha aggredito Mario Bo? Lo ha raccontato anche un altro poliziotto, Salvatore Coltraro, ex capo della Squadra Mobile di Imperia, che ha dichiarato: “Vincenzo Scarantino si lanciò contro il poliziotto Mario Bo che ha cercato di divincolarsi e ha ordinato agli altri due poliziotti presenti di mettergli le manette. A quel punto gli ha dato uno schiaffo. L’alterco era iniziato perché Scarantino aveva trovato sua moglie che parlava con Mario Bo. Scarantino era molto geloso”.

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