Il Cavaliere di Gran Croce Alfano, il caso Regeni e l’incarico legale assieme al vice del presidente egiziano Al Sisi

A scriverne è il sito Italyflash, ripercorrendo la trama di un noir all’italiana nel contesto di una presunta spy-story che vede protagonisti Giulio Regeni, Anne Alexander e Maha Abdelrahman – le due relatrici (supervisors) di Regeni – i servizi segreti egiziani, il figlio del presidente al-Sisi, e gli interessi italiani nel coltivare i rapporti con l’Egitto, che secondo alcuni starebbero alla base della mancata giustizia per l’omicidio del ricercatore italiano.

L’arco temporale è quello che va dal 25 gennaio 2016 – quando Regeni venne prima rapito e poi ucciso – al 1º giugno 2018, quando Angelino Alfano, allora Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, già Ministro della giustizia, Ministro dell’Interno, nonché Presidente dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, decide di abbandonare la carriera politica per dedicarsi ad altro.

“A settembre 2018 – riporta Italyflash – il neo Cavaliere di Gran Croce, l’ex ministro della Giustizia, dell’Interno e degli Esteri, Angelino Alfano, diviene consulente dello studio legale Bonelli Erede Pappalardo (Belex) di Milano, nella sezione Africa, in squadra con l’ex politico egiziano Ziad Bahaa-Eldin vicepremier con al-Sisi e a capo dell’authority finanziaria egiziana durante la presidenza di Mubarak per la cui ‘nipote’ (così è scritto in un documento da lui votato in Parlamento e approvato grazie al voto compatto dell’armata berlusconiana) ‘si spese’ Silvio Berlusconi.

Smessi i panni di ministro Angelino Alfano, recentemente insignito dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella della più alta onorificenza della Repubblica, quella di Cavaliere di Gran Croce, che fa?

Accetta l’incarico di collaborare con uno studio legale metà italiano e metà egiziano, la cui metà egiziana è riconducibile al vice di Al-Sisi. Ed Alfano accetta di lavorare assieme al vice di Al-Sisi malgrado gli ultimi due dicasteri da lui retti dal 2013 al 2018, Interni ed Esteri, erano stati messi a conoscenza, dalla magistratura e dai servizi segreti italiani, del fatto che proprio il figlio del presidente egiziano al-Sisi, nella sua qualità di capo dei servizi segreti egiziani, era ritenuto, sin dai primi mesi del 2016, uno, se non il principale responsabile dell’uccisione del giovane ricercatore italiano Giulio Regeni …”

Già nel marzo 2016 – periodo in cui Alfano occupa la carica di Ministro dell’interno – a far trapelare l’ipotesi che dietro l’omicidio Regeni ci fosse lo zampino dei servizi segreti egiziani, era stato l’ex ministro degli esteri, Franco Frattini, il quale attribuisce la morte del ricercatore a una guerra interna ai servizi egiziani, non menzionando, però che proprio a capo dei servizi c’è il figlio del presidente, Mahmoud al-Sisi, il quale, secondo quanto riportato dal sito babilonmagazine, nella vicenda Regeni c’entra, eccome se c’entra…

Ma Frattini, quel lontano marzo 2016, dice anche qualcos’altro:

“Credo che l’Egitto sia il principale interessato a darci tutta la verità sull’assassinio di Giulio Regeni. Per tre motivi.

Primo perché l’Italia è un Paese amico che, tra l’altro, sotto il profilo economico sarà portatore di una iniziativa che darà all’Egitto un enorme profitto, perché i giacimenti off shore li ha scoperti l’Eni. Abbiamo una posizione che sta portando e porterà enormi vantaggi economici; inoltre, siamo il principale partner e non abbiamo mai abbandonato l’Egitto anche nei momenti più difficili — ricordiamoci che Renzi è volato da al-Sisi quando gli americani neanche ci parlavano — e queste cose al-Sisi non le può dimenticare”.

Una notizia comparsa sulla stampa e dunque a conoscenza di tutti, ministri compresi.

“Tra i passi falsi compiuti dal primogenito del presidente – si legge nell’articolo di Italyflash -, il più grave ricondurrebbe all’omicidio del ricercatore italiano Giulio Regeni, avvenuto a inizio 2016, sul quale il governo egiziano si ostina a fare ostruzionismo. Nel luglio dello stesso anno L’Espresso, citando delle segnalazioni arrivate alla sua rete protetta RegeniLeaks, ha collegato Mahmoud al-Sisi all’uccisione di Regeni in quanto, per il ruolo che ricopriva al Gis, non poteva non sapere della sua ‘scomparsa’ ”.

Secondo altre fonti già a partire dal febbraio 2016 le notizie sul coinvolgimento del Gis – diretto Mahmoud al-Sisi -, che ha sede a El Kobry Kobba, circolavano già in Italia.

Anche a voler prescindere da questo, il 6 aprile 2016 il quotidiano Repubblica dà notizia di una fonte anonima egiziana che svela alcuni retroscena della morte di Regeni, coinvolgendo gli apparati di sicurezza egiziani, civili e militari, della polizia di Giza, del Ministero dell’Interno, della Presidenza.

Secondo la fonte anonima –  che indicherà particolari che solo poche persone potevano conoscere – l’ordine di sequestrare Giulio Regeni era stato impartito dal generale Khaled Shalabi, capo della Polizia criminale e del Dipartimento investigativo di Giza, il distretto in cui Giulio scompare il 25 gennaio.

“Il ministro dell’Interno decide (dopo tre giorni di torture – ndr) di investire della questione “il consigliere del Presidente, il generale Ahmad Jamal ad-Din, che, informato al-Sisi, dispone l’ordine di trasferimento dello studente in una sede dei Servizi segreti militari, anche questa a Nasr city, perché venga interrogato da loro. È una decisione che segna la sorte di Giulio. Perché i Servizi militari vogliono dimostrare al Presidente che sono più forti e duri della Sicurezza Nazionale”.

Secondo la fonte anonima di Repubblica, gli ufficiali del Servizio militare continuarono a torturarlo e picchiarlo fin quando Regeni non morì.

Nessun riferimento alla persona che dirigeva l’interrogatorio/tortura, ovvero, quello che stando a quanto abbiamo già citato riportandolo da altri organi stampa, altri non era che Mahmoud al-Sisi, il figlio del Presidente.

Particolare curioso, secondo quanto riportato da Repubblica su indicazione della fonte anonima, dopo la sua morte “Giulio viene messo in una cella frigorifera dell’ospedale militare di Kobri al Qubba, sotto stretta sorveglianza e in attesa che si decida che farne”.

Kobri al Qubba, ovvero El Kobry Kobba (in arabo) dove secondo le indicazioni date da altra fonte già nel febbraio 2016, operava il Gis di Mahmoud al-Sisi.

“Inoltre – riporta Italyflsh -, come sottolinea sempre Jeune Afrique, i 5 sospettati identificati nel 2018 dagli inquirenti italiani sono tutti membri del controspionaggio egiziano e, dunque, sotto la sua direzione (di Mahmoud al-Sisi – ndr). Questa pista è stata confermata a Nigrizia da una fonte egiziana, un ricercatore costretto da anni a vivere all’estero e che per motivi di sicurezza chiede di rimanere anonimo: «La linea di difesa nei confronti degli accusati dell’omicidio Regeni da parte del governo egiziano è ormai chiara. Io credo che ci sia una relazione diretta di Mahmoud al-Sisi con l’assassinio di Giulio». ”

Un noir tutto all’italiana che avrebbe dovuto indurre l’ex ministro – visti i ruoli ricoperti e in considerazione del fatto che sarebbe impensabile non leggesse neppure le notizie sulla stampa – a non assumere, per ragioni di opportunità, incarichi che lo avrebbero portato a far squadra con  uomini di al-Sisi…

In queste afose giornate di giugno, mi martellano in mente le parole di Frattini pronunciate subito dopo a morte di Regeni: “l’Italia è un Paese amico che, tra l’altro, sotto il profilo economico sarà portatore di una iniziativa che darà all’Egitto un enorme profitto, perché i giacimenti off shore li ha scoperti l’Eni. Abbiamo una posizione che sta portando e porterà enormi vantaggi economici; inoltre, siamo il principale partner e non abbiamo mai abbandonato l’Egitto anche nei momenti più difficili…”

Gian J. Morici