Un popolo, diventa povero e servo quando gli rubano la lingua ricevuta dai padri: è perso per sempre!

Le tradizioni: un patrimonio a difesa della democrazia

Un populu/ diventa poviru e servu/ quannu ci arrobbanu a lingua/ adduttata di patri:/ è persu pi sempri.

Un popolo, diventa povero e servo quando gli rubano la lingua ricevuta dai padri: è perso per sempre!

Questa poesia, tra le più note di Ignazio Buttitta, è un inno alla libertà, tende ad affermare il valore della libertà linguistica come valore identitario di un popolo. È un invito a lottare contro chi tende ad uniformare la lingua facendo scomparire i dialetti, la lingua antica di ogni popolo, la lingua dei padri. Lingua che in questo caso va intesa come quell’insieme di tradizioni e consuetudini di un popolo, che gli permettono di esprimersi e comunicare. Il dialetto, come le tradizioni, sono le armi culturali con cui poter contrastare qualsiasi omologazione culturale, non permettendo al potere di annullare e togliere l’identità che la storia ha assegnato ad ogni comunità. Sembra apparentemente una scelta conservatrice, ma in realtà è una scelta rivoluzionaria, un’arma contro un potere anonimo e sempre opprimente!

Perché parlare di Buttitta oggi, in questi giorni di spensierate vacanze estive? A Racalmuto, la seconda domenica di luglio, si è soliti festeggiare la Madonna del Monte. Una ricorrenza che è religiosa e pagana, un collante identitario ed indelebile per la comunità di questo paese dell’agrigentino adagiato sulle colline dell’altopiano Sicano. Due i momenti salienti della festa: la presa del “cilio” e la salita dei cavalli sulla scalinata del Santuario. Il cilio è un cero votivo: una torretta lignea che veniva scalata ogni anno, per prendere la bandiera, da un rappresentante dei “burgisi”, proprietari di terreni, non braccianti, che dalla terra riuscivano a ricavarne sostentamento per una vita dignitosa. Il simbolo del cero votivo è stato da sempre un simbolo di libertà, un Carroccio nostrano. L’affermazione della capacità di lotta dei giovani disposti anche allo scontro fisico pur di prendere la bandiera dalla sommità del cilio.

Alla presa del cilio si è da sempre, in saecula saeculorum, affiancata la tradizionale salita a cavallo sulla scalinata del Santuario del Monte. Erano ex voto, “li prummisioni” che venivano fatte a piedi o a cavallo. Salivano su cavalli bardati a festa, uomini, donne e bambini ed entravano fin dentro la chiesa con grande osanna ed applausi del popolo presente.

Quest’anno tutto questo non s’ha da fare. Il Manzoni qualcosa a proposito ce l’ha insegnato!

Si sono rincorse voci, prima sussurrate, su lettere e rapporti, che hanno viaggiato da un Ufficio all’altro, poi il vocio è diventato sempre più concreto, fintanto che si è giunti a vere e proprie determinazioni legislative.

La festa si può fare, ma in tutta sicurezza: così decise la Corte, così avrebbe detto il cantautore Fabrizio De Andrè.

Leonardo Sciascia, da racalmutese conosceva bene questa festa, ogni anno vi partecipava assistendo alla presa del cilio. Conosceva bene anche il paese: “Racalmuto è davvero un paese straordinario… tutti sono come personaggi in cerca di autore”. Il problema oggi non sono i personaggi, da tutti bene o male conosciuti, ma gli autori. Gli autori di chi ha recato una così grave offesa al paese mutilando le tradizioni. Il paese mormora, la realtà incalza. La festa, appena iniziata è già finita, è stata ipso facto decapitata. Non si può sottostare alle disposizioni del potere quando queste limitano la tradizione, la libera e secolare espressione di tutto un popolo, ce lo hanno insegnato perfino a scuola, ricordate Antigone? L’eterno dilemma tra legge morale e legge umana? Oggi la legge umana impone delle rigide regole che offendono la tradizione. La cultura popolare conosce ed esprime il valore dell’esistenza, la legge ed i regolamenti, se non ponderati con saggezza, esprimono lo spettro di un falso progresso, si palesano come arbitraria ingiustizia provocata dal potere. Succede allora che le ordinanze vengono percepite come ingiuste imposizioni. Come ha scritto Buttitta nella poesia “U Rancuri”: a me che interessa, io il poeta faccio! Potrei dire: che volete che mi interessi della festa? Il Rancore, una poesia che esprime ironicamente ma realmente l’abuso del potere: il discorso è rivolto ai feudatari, ai ricchi proprietari terrieri che in Sicilia hanno comandato. Una poesia che invito a rileggere non fosse altro per il giudizio che ne ebbe a dare Leonardo Sciascia: una poesia come questa Pablo Neruda non l’ha scritta!

Non so di chi siano le responsabilità che hanno determinato questi eventi. Non so chi sono gli organi preposti a fare rispettare le leggi, a fare ordinanze e regolamenti, una cosa so con certezza che si è consumato un danno irreparabile alla tradizione locale, e quindi al popolo racalmutese. Il cilio fermo al quadrivio della piazza, senza bandiere, spoglio del suo regale addobbo, è stata una civile e ferma dimostrazione di protesta. All’unisono un grido di dolore si è levato dalla folla, un dolore che è stato provocato da chi doveva invece permettere il tradizionale svolgimento della festa.

Non solo Sciascia, ma anche Pasolini aveva un’alta considerazione della poesia di Buttitta, che recensì più volte, con partecipazione, con vera com-passione. Pasolini avrebbe detto in questa occasione:” Io so. Io so i nomi dei responsabili… Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi”.

So però che la politica anche in questa occasione ha perso qualsiasi funzione: se il potere viene delegato solo ai burocrati, non c’è democrazia. E capisco perché la gente non va più a votare, nelle ultime amministrative nazionali, nella maggior parte dei comuni interessati ha votato meno della metà degli aventi diritto, molti sindaci sono espressione di una maggioranza della minoranza! Ancora una volta il microcosmo del Paese diventa una cartina di tornasole per capire la realtà nazionale.

Su più provvedimenti governativi (erano gli anni dell’austerità) Pasolini sostenne fossero dei provvedimenti anticostituzionali. Beh! Che dire allora dei provvedimenti presi da questo governo sull’invio di armi in altri Stati per fini bellici? Cosa dice a proposito la nostra così tanto bistrattata Costituzione? E la volontà popolare? La maggioranza dei cittadini, nonostante il martellante lavaggio dei cervelli, si è espressa e continua ad esprimersi contro la decisione del Governo!

Mortificare una grande tradizione si inserisce evidentemente in questo oscuro disegno. La menomazione della tradizione è la menomazione della volontà popolare. Cosa avrebbe detto il nostro etnologo Giuseppe Pitré e tutti gli studiosi del folclore siciliano di fronte ad una decisione come quella presa in merito a questa festa?

Carmelo Sciascia

Foto P. Tulumello