Leader a Roma, per forza maggiore, impegnati sullo strappo del M5S. E il centrodestra siciliano prova a bruciare le tappe 

 

Ma ora che succede? Per capire i veri effetti della crisi di governo sulla politica siciliana bisogna andare ben oltre i virgolettati ufficiali e le interviste di circostanza.
Breve parentesi iniziale sul campo progressista. A una settimana esatta dalla celebrazione delle primarie, i leader regionali escludono conseguaenze dello strappo del M5S nel governo Draghi. Ma adesso c’è chi chiede esplicitamente di fermare la macchina. «Troviamo abbastanza sorprendente che in Sicilia si continui come nulla fosse a organizzare le primarie del centrosinistra per il candidato governatore mentre a Roma abbiamo un premier dimissionario e nessuna certezza politica. Il Pd è certo che tra una settimana sarà ancora alleato dei 5Stelle?». Il dubbio provocatorio è firmato da Maria Saeli e Chiara Guglielmino, rispettivamente tesoriera nazionale e portavoce regionale di +Europa. Nessuna reazione dai dem siciliani, ma la faccenda- sussurra qualcuno – comincia a farsi seria. Oggi la capogruppo del Pd alla Camera Serracchiani però frena: «Le primarie il 23 si faranno ma riguardano la Regione Sicilia. Poi bisognerà interrogarsi sulle elezioni politiche». In questo momento, spiega «stiamo cercando di ottenere l’obiettivo che interessa al Paese, far continuare questo governo. Stiamo cercando di convincere tutti a un responsabile sì alla fiducia mercoledì».

La crisi di governo ha un effetto (meno visibile, ma più pregnante) nel centrodestra siciliano. Costretto ad accelerare la scelta delle scelte: chi sarà il candidato governatore? La logica vorrebbe che, vista la doppia necessità di fare presto e di mantenere l’unità della coalizione, si puntasse su quello che Giorgia Meloni definisce «il candidato naturale»: Nello Musumeci. Una linea che la leader di Fratelli d’Italia ha deciso di tenere ferma nel più volte annunciato (ma finora mai organizzato) vertice con Matteo Salvini e Silvio Berlusconi. Un incontro che adesso, per cause di forza maggiore, nel pieno del caos romano, non si potrà tenere. E, se comunque ci fosse, cambierebbe il format: priorità alla linea sul dopo-Draghi (ed eventualmente sulle Politiche in autunno), con il dossier Sicilia non certo fra le priorità da affrontare.

E allora nell’Isola c’è chi prova a incidere sulle scelte nazionali della coalizione. I No-Nello, ad esempio, cambiano passo. Una modificazione genetica: da semplice (si fa per dire) fronte ostile alla ricandidatura del governatore uscente a «motore propulsivo e propositivo» degli eventi sulle Regionali.

L’autodefinizione è di uno dei big fra i più impegnati in queste ore in quella che viene descritta come «una necessaria accelerazione, condivisa da tutti». Che potrebbe portare, all’inizio della prossima settimana, a una precisa presa di posizione, magari dopo una riunione del tavolo siciliano: non più soltanto il rifiuto, motivato, del Musumeci-bis; ma anche la contestuale proposta del «nome alternativo di sintesi».
Nel primo (e finora unico) vertice regionale non c’era FdI. Stavolta dovrebbe esserci. Con la posizione che ieri Ignazio La Russa ha confermato ai suoi in alcuni incontri a Catania: «Il nostro candidato, in atto, è uno solo: Musumeci».

Qualcuno, nelle riunioni mattutine con i dirigenti catanesi e messinesi, smozzica perplessità. Alle quali il plenipotenziario meloniano risponde duro: «Si fa così e basta! E ora non parliamo più di candidato…». Ma lo stesso La Russa, nel pomeriggio, viene avvistato al Caffè Europa. Con lui l’assessore iper-musumeciano Manlio Messina, ma anche Raffaele Stancanelli (che piace molto ai No-Nello come candidato) e il deputato regionale Gaetano Galvagno. Lettura iconografica della granita al tavolo di un bar in cui non si va certo per nascondersi: FdI, comunque, resterà unita sulla linea da tenere in Sicilia. Qualsiasi, alla fine, dovesse essere. Stancanelli non si espone; mantiene il profilo di «uomo di partito», mentre a Palermo incassa uno dei tre assessori (Dario Falzone, legatissimo a lui) indicati a Roberto Lagalla.

Se l’eurodeputato gradito agli alleati fosse davvero diventato un “Calimero” per i vertici nazionali di FdI, questa scelta non sarebbe stata avallata. Chi vivrà vedrà. Magari proprio martedì 19, quando Meloni sarà a Palermo (dove ieri è saltata l’udienza del processo a Salvini) a un evento di partito per rivendicare con orgoglio la memoria di Paolo Borsellino.

A proposito di tutt’altra memoria: una bella rinfrescata-rimpatriata sugli anni ruggenti dell’autonomismo, sempre ieri a Catania, è il seminario sulla sanità organizzato da Innovazione per l’Italia, di cui è presidente onorario il magistrato Massimo Russo, ex assessore regionale più volte citato nel toto-candidati per Palazzo d’Orléans. Nel pomeriggio, nell’hotel alla Plaia, si materializza anche Raffaele Lombardo. Si siede, silenzioso, nelle retrovie di una platea colma di pezzi grossi (vecchie glorie e manager in carica) della sanità siciliana, poi lo costringono a mettersi in prima fila accanto allo stesso Russo. «Per me – rivela ai suoi l’ex governatore – il miglior candidato sarebbe il dottore Russo (i due continuano a darsi del lei, ndr), ma dobbiamo fare tutti uno sforzo: l’unità è un valore, serve una scelta quanto più condivisa e vincente».

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