Il 19 luglio e la vedova Borsellino

In occasione del trentesimo anniversario della strage di Via D’Amelio, riaffiorano le dichiarazioni rese dalla moglie di Paolo Borsellino dopo l’attentato.

La moglie di Paolo Borsellino è stata Agnese Piraino Leto, morta nel 2013. Subito dopo i funerali del marito, il ministro degli Interni, Mancino, le rese a disposizione le forze dello Stato. E lei – probabilmente alludendo all’isolamento di Borsellino – rispose: “L’uccisione di mio marito è una dichiarazione di guerra contro la mia città. Se è guerra, guerra sia: inviate i militari per presidiare il territorio e difendere gli obiettivi a rischio”. E poi, ancora in riferimento all’essere stato Paolo Borsellino isolato dopo la strage di Capaci, Agnese ha affermato: “Falcone rappresentava per lui come uno scudo, senza il quale la sua esposizione è aumentata. Da qui probabilmente nasce l’esigenza di mio marito, in quei 57 giorni tra le due stragi, di annotare scrupolosamente spunti di indagine, valutazioni, memorie personali, di cui si riprometteva di parlare con i magistrati allora in servizio alla Procura di Caltanissetta, titolari dell’inchiesta su Capaci. Nessuno però in quei lunghi 57 giorni lo chiamò mai”. E poi, in riferimento all’agenda rossa, Agnese Piraino Leto ha affermato: “E’ possibile che nelle pagine dell’agenda rossa, usata per i progetti di lavoro e per annotare i fatti più significativi, avesse scritto cose che non voleva confidare a noi familiari. Quell’agenda è stata recuperata sul luogo della strage ma, come si sa, è scomparsa. Se esistesse ancora e se fosse nelle mani di qualcuno potrebbe essere usata come un formidabile strumento di ricatto”. E poi la vedova Borsellino ricorda gli ultimi giorni prima della strage del 19 luglio: “Mio marito era perfettamente consapevole che il suo destino era segnato, tanto da avermi riferito in più circostanze che il suo tempo stava per scadere. Prova ne sia che, pochi giorni prima di essere ucciso, si confessò e fece la comunione. Ricordo perfettamente che il sabato 18 luglio 1992 andai a fare una passeggiata con mio marito sul lungomare di Carini, senza essere seguiti dalla scorta. Paolo mi disse che non sarebbe stata la mafia a ucciderlo, della quale non aveva paura, ma sarebbero stati i suoi colleghi e altri a permettere che ciò potesse accadere. In quel momento era certo di quello che mi stava dicendo”. E poi, più nel dettaglio, Agnese ha affermato: “Posso dire, per esserne stata testimone oculare, che mio marito si adirò molto quando apprese per caso dall’allora ministro Salvo Andò, incontrato all’aeroporto, che un pentito aveva rivelato: è arrivato il tritolo per Borsellino. Il procuratore Pietro Giammanco, acquisita la notizia, non lo aveva informato sostenendo che il suo dovere era solo quello di trasmettere per competenza gli atti a Caltanissetta. Quella volta mio marito ebbe la percezione di un isolamento pesante e pericoloso. Non escludo che proprio da quel momento si sia convinto che Cosa Nostra l’avrebbe ucciso solo dopo che altri glielo avessero consentito. Paolo mi disse: ‘materialmente mi ucciderà la mafia, ma saranno altri che mi faranno uccidere. La mafia mi ucciderà quando altri lo consentiranno”. E poi, ancora, la vedova Borsellino ha dichiarato all’ex Procuratore di Caltanissetta Sergio Lari: “Nella sua ultima intervista al ‘Corriere della Sera’ aveva affermato che ci furono due trattative Stato-mafia. E mio marito fu ucciso per la seconda. Quella che doveva cambiare la scena politica italiana. Dopo la strage di Capaci mio marito disse che c’era un dialogo in corso già da molto tempo tra mafia e pezzi deviati dello Stato. Paolo, intorno alla metà di giugno del ’92, mi disse testualmente che c’era un colloquio tra la mafia e parti infedeli dello Stato”. E poi, ancora sull’agenda rossa, la vedova del giudice ha affermato: “Nell’agenda rossa, che gli fu regalata dai Carabinieri nel Natale ’91, mio marito annotava gli spostamenti, le persone che doveva incontrare e, comunque, tutto ciò che atteneva al suo lavoro. Paolo in quel periodo prima della strage pensava di avere poco tempo a disposizione per approfondire le piste investigative che stava seguendo e, pertanto, annotava tutto nell’agenda rossa per evitare, non soltanto che potessero sfuggirgli elementi utili al suo lavoro, ma anche per annotare quelle riflessioni o notizie che temeva di non poter comunicare ad altri ed in particolare alla Procura di Caltanissetta prima di essere ucciso” – ha concluso Agnese Piraino Leto. La Procura di Caltanissetta non ascoltò Paolo Borsellino su ciò che avrebbe scoperto dopo la strage di Capaci. E l’ex procuratore generale di Palermo, Roberto Scarpinato, ascoltato in Commissione antimafia, ha dichiarato: “Se Borsellino fosse andato a Caltanissetta con l’agenda rossa sarebbe scoppiata la bomba. Non bastava uccidere Borsellino, si doveva fare sparire l’agenda rossa perché se fosse stata trovata sarebbe finito tutto”.

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