La mancata cattura di Messina Denaro tra depistaggi , archivi segreti e strane sviste

Nell’autunno del 1991 Matteo Messina Denaro era già delegato di Riina con poteri speciali. Tale affidamento è stato ampiamente dimostrato da sentenze e pentiti credibili. Oltre alla spaventosa cantonata presa dagli inquirenti nel 1992 con il “pentito” smentito, Calcara, come è possibile che il figlio di un boss latitante del calibro di don Ciccio Messina Denaro, riuscisse a circolare e ad incontrare gente di ogni specie? Nessuno lo controllava. Intanto “lu siccu” frequentava i circoli cittadini, giocava a carte con borghesi e professionisti e frequentava i migliori ristoranti. Amava tagliarsi i capelli in un noto barbiere del centro. Salone molto frequentato anche da politici e professionisti in auge in quegli anni. Era tutto normale. Almeno fino al giugno del 1993 quando scatta l’ordine di cattura. Troppo tardi. Il boss aveva avuto il tempo di “sistemare” tutto. Forse già sapeva di dover scappare, quando hanno cercato di notificargli l’atto di arresto. La tela delle relazioni era già stata imbastita. Avendo amici altolocati , ha sicuramente chiesto come poter gestire soldi e fuga. Stranamente, su quel periodo, si è indagato poco e male. Messina Denaro si avvaleva di contatti importanti . Conosceva gente dei salotti buoni cittadini .

Tra gli anni 80 e 90 a Castelvetrano  faceva quello che voleva. Lo sapevano anche le forze dell’Ordine

Gli “scazzacane” gli servivano per l’ordinaria amministrazione. Eppure, la magistratura, ha perso anni di tempo dietro agli “scazzacani” e poco ha indagato sulle relazioni salottiere  e politiche del boss. Chi frequentava  in quegli anni dentro  i palazzi dei notabili? Ad horas rimane un mistero. Qualche pentito ha detto ma tanto altro rimane nel mistero. Una cosa è certa: non puoi entrare A GIOCARE  a carte nei circoli o a prendere un caffè se non sei gradito a qualcuno dei soci. Non si può entrare senza permesso. Oppure , altra ipotesi, sei un socio anche se non risulti ufficialmente. A Castelvetrano, lo sapevano tutti che Matteo amava il gioco, le belle donne , lo champagne e i soldi. Elementi che uniscono persone con i soldi e con tanto potere. Anche di queste faccende in diversi  libri del marketing antimafia stranamente non si parla. La formazione è stata fatta ad alti livelli. Messina Denaro sapeva che la migliore arma per ricattare è conoscere i segreti degli altri. Oltre alle stragi, è probabile che il maledetto boss conosca tanti altri segreti cittadini inconfessabili. Fatti che coinvolgono gente ancora in vita. Tutto questo è più forte della bomba atomica

Il boss ragazzino e il comando

Messina Denaro diventa  capo mafia della provincia di Trapani, in sostituzione del padre Francesco, malato.

E’ il pentito Vincenzo Sinacori a dichiararlo: “C’era anche Matteo alla riunione di fine settembre di quell’anno, tenuta a Castelvetrano, in cui Salvatore Riina comunicò l’avvio della strategia stragista”. Per questo, la procura di Caltanissetta ha fatto condannare Messina Denaro, imprendibile dal 1993.  La richiesta di rinvio a giudizio gli fu  consegnata dagli ufficiali della Dia nissena ,alla madre del boss, a Castelvetrano, nell’ultimo domicilio noto del super latitante, via Alberto Mario numero 51.
Dal  gennaio  2016, Matteo Messina Denaro è ricercato anche per le bombe del 1992, che uccisero Giovanni Falcone, la moglie, Paolo Borsellino, e i poliziotti delle scorte. Per le stragi del 1993, quelle di Roma, Milano e Firenze, il padrino trapanese ha già un ergastolo ( corte d’assise di Firenze ) condanna confermata in Cassazione.

Questo nuovo processo sul boss ha portato  alla luce i collegamenti tra mafia, servizi segreti e istituzioni corrotte. Cosa sa veramente di pericoloso Messina Denaro?  Che ruolo ha avuto nelle complicate relazioni tra Stato e Mafia? E se tutta questa pressione da parte dello Stato, avvenuta solo negli ultimi anni , si basasse su una sorta di ricatto tra il super latitante e pezzi dello Stato?

Potrebbe Messina  Denaro custodire segreti in grado di  scardinare equilibri di Stato?  Come mai per almeno 15 anni si è fatto “finta” di cercarlo , fino al punto che “lu siccu” si  è sentito più forte dello stesso Stato?

Il dubbio su questo braccio di ferro tra gli uomini “scuri” dentro i gangli del potere e Messina Denaro rimane. Potrebbero esistere anche “pizzini” che dimostrano contatti tra il boss  di Castelvetrano e uomini delle istituzioni. 

Dopo anni di azione  delle forze dell’ordine a “bruciare la terra” attorno a Lui, si  è distrutto tutto, tranne il suo vero sistema segreto di relazioni con il potere detto: “legale” e che all’interno ha diverse sfaccettature.

Se questa ipotesi  avesse una sua valenza, potrebbe anche significare che ci sia, in atto,  una trattativa di resa in corso tra il boss e chi lo ha protetto. una sorta di guerra al latitante per costringerlo ad ingoiare quel che sa.

Tutto questo potrebbe sembrare fantascienza ma la storia italiana è farcita di tanti misteri difficili da capire. I depistaggi fioccano

Certo è che i Messina Denaro “boss” fin’ora, l’hanno sempre fatta franca. Lui e suo padre non hanno fatto un giorno di galera. eppure si sono macchiati di orribili reati

Da punto di vista storico una cosa è certa: negli anni 80/90 nel trapanese si è concentrato un “pentolone” di intrighi di ogni sorta: da Gladio alla mafia, allo spaccio di droga agli appalti del Belice. Tutti interessi che avevano un comune denominatore: il controllo del territorio a qualsiasi costo. Da Trapani doveva passare tutto: soldi, armi, droga, documenti segreti  e forse anche rifiuti nucleari. Cosa sa di quel tormentato periodo Messina Denaro? Cosa custodisce tra le sue mani?

L’indagine della Procura di Caltanissetta, diretta da Amedeo Bertone, consegnava un nuovo ritratto importante di quel trentenne divenuto capo. Come nasce un boss?

Su Repubblica di Palermo, un ritratto di Salvo Palazzolo, come delineato dai magistrati.

 

La verità  di Geraci. Il pentito ha detto tutto?

Si “spartianu lu sonnu di la notti”. Erano sempre insieme Cicco e Matteo. Quando andavano nei circoli si muovevano insieme. Geraci sapeva tutto delle relazioni castelvetranesi del boss: dai politici agli imprenditori, per finire a gente delle istituzioni. Geraci potrebbe dire molto sulle trame con la borghesia del tempo

Fu Matteo che mi portò Riina in gioielleria, ha raccontato Francesco Geraci, anche lui collaboratore di giustizia agli ex  procuratori aggiunti Gabriele Paci, Lia Sava e al sostituto Stefano Luciani. “C’erano anche la moglie e le due figlie di Riina. Mi affidarono una borsa con gioielli di famiglia, perché li custodissi. Erano orecchini, monili e altro, che io ho occultato in un nascondiglio segreto della mia abitazione, unitamente ai dei lingotti d’oro che in un’altra occasione Matteo mi aveva portato dicendomi che erano di Riina”.

Riina aveva già dato l’ordine di uccidere Giovanni Falcone. Matteo era sempre accanto a Riina. Racconta Geraci: “In due occasioni, feci fare insieme a Matteo delle gite in barca a tutti e quattro i figli di Riina. C’erano anche le figlie di Pietro Giambalvo e di tale Vartuliddu di Corleone, entrambi all’epoca dimoranti a Triscina”. Giambalvo era l’intestatario della tenuta di campagna di Riina a Castelvetrano, dove si tenne la riunione per le stragi. “A quella riunione – ricordano adesso i pm di Caltanissetta – c’erano anche i boss di Brancaccio, Filippo e Giuseppe Graviano”.
In quei giorni – si ricostruisce su Repubblica – a Matteo Messina Denaro sembrava interessare solo una cosa: compiacere il gotha di Cosa nostra. “Matteo regalò un Rolex Daytona, in oro e acciaio, a Gianni Riina, uno dei figli del capo di Cosa nostra – ha aggiunto Geraci – e anch’io volli fare un regalo identico, all’altro figlio del padrino, Salvatore”. Messina Denaro alle spalle aveva già decine di omicidi. E a lui Riina affidò la missione di fare fuori Falcone, a Roma. Sinacori ricorda Messina Denaro che carica una macchina “con mitra, kalashnikov e alcuni revolver. Aveva pure due 357 cromate nuove. Procurò anche dell’esplosivo nella zona di Menfi- Sciacca”. La missione a Roma era di morte ma Matteo aveva in programma di approfittarne per fare bella vita: “Mi disse di portare degli abiti adeguati – racconta Geraci – a Roma avremmo frequentato dei locali alla moda”. Nella Capitale, Matteo cercò casa nell’elegante quartiere Parioli.
Totò Riina con accanto il giovane Messina Denaro, quasi una foto costante di quel tempo. Tutti i giorni, anche a Natale. Inseparabili.
Lo stesso Riina, intercettato nel carcere di Opera, diceva: “Ora, se ci fosse suo padre… questo figlio lo ha dato a me per farne quello che dovevo fare, è stato qualche quattro o cinque anni con me, impara bene… “. Messina Denaro sapeva come tenere le relazioni all’interno di Cosa Nostra. Alle fine del 1991, regalò un girocollo di 50 milioni a Giuseppe Graviano, per la fidanzata. E Giuseppe Graviano è tra i boss che firmarono l’estate delle stragi.

Fonte :Globalist