NO BOLZONI, SUL DOSSIER “MAFIA-APPALTI” NON HAI RAGIONE

ieri 18 agosto è uscito sul quotidiano “Il Domani” a firma di Attilio Bolzoni, un articolo dal titolo “Quel dossier su mafia appalti che non dà risposte sulle stragi”. Stupisce, ma fino a un certo punto, la presa di posizione del giornalista relativamente a questa tematica. Si tratta di un giornalista che, nel 2009, ha ricevuto il premio “È giornalismo” perché, dicono le motivazioni, “da più di trent’anni racconta la Sicilia e la mafia” e che, dal 1979 al 2004, ha vissuto a Palermo, scrivendo per “L’ORA” prima e per “la Repubblica” poi.

«Si fa un gran parlare del dossier “Mafia e appalti” – scrive Bolzoni – un’inchiesta che per qualcuno sarebbe la vera causa dell’uccisione di Paolo Borsellino. Ipotesi molto azzardata e, negli ultimi tempi, anche molto di moda». In realtà parlare del dossier “mafia-appalti” non è mai stato di moda e lo dimostra il fatto che i giornalisti che hanno, nel tempo, continuato a parlarne si contano nelle dita di una mano e, forse, quel “di moda” andrebbe sostituito con “fastidioso”.

«Ma ormai sulle stragi – continua Bolzoni – si può dire tutto e il contrario di tutto, tanto oltre la mafia non si scopre mai niente. Ci si muove al buio, a volte si abbocca al primo amo che viene calato. O, come nel caso del dossier “Mafia e appalti“, ricalato nel grande magma investigativo intorno alle bombe del 1992. È vecchio di trenta e passa anni, quasi mille pagine dove gli interessi dei boss si confondevano con quelli dei colossi italiani dell’edilizia, nomi sapientemente divulgati e nomi accuratamente occultati. “Un rapporto indiziario intorno al quale si può cominciare a lavorare”, confidò a noi giornalisti il giudice Giovanni Falcone che lo considerava “un buon punto di partenza”. Di partenza, non di arrivo». E sulla citazione delle parole di Giovanni Falcone dobbiamo convenire ricordando però che il «punto di partenza» fu invalidato e che, cosa che Bolzoni omette, il 13 luglio 1992, sei giorni prima della strage di via d’Amelio, nonostante il forte e acclarato interesse di Paolo Borsellino per lo sviluppo delle indagini, fu presentata dai sostituti procuratori della Repubblica Guido Lo Forte e Roberto Scarpinato, titolari del fascicolo, con il visto dell’allora Procuratore della Repubblica Pietro Giammanco, un’argomentata richiesta di archiviazione, richiesta di archiviazione che sarà accolta dal Gip il 14 agosto.

Non possiamo pensare che a un giornalista capace, informato e attento come Bolzoni questo avvenimento sia sfuggito anche perché, ripetiamo, in quegli anni era a Palermo e sicuramente non può dimenticare che la stampa accusò la Procura di voler insabbiare questa indagine ma, forse, lui non era tra i giornalisti che sollevarono il problema e, forse, non era nemmeno tra i giornalisti che ricevettero, sembra dalla Procura stessa, una copia del dossier del quale citarono i c.d. virgolettati nei loro articoli.

E quando Bolzoni scrive che «se la pista dei soldi, più di altre, è quella da seguire per capire chi voleva i massacri del 1992 non ci si può certo fermare al dossier del Ros. Innanzitutto perché Falcone e Borsellino non erano tanto concentrati sulla spartizione dei lavori pubblici in Sicilia (con il patto fra le cosche e le grandi aziende del Nord, comprese le coop rosse emiliano romagnole), quanto all’infiltrazione dei capitali di Cosa nostra nell’economia italiana. Il dossier “Mafia e appalti” era solo uno dei passaggi, i due giudici guardavano oltre: avevano capito che Totò Riina – attraverso i fratelli Buscemi della famiglia mafiosa palermitana di Boccadifalco – era socio nella Calcestruzzi spa con Raul Gardini, uno dei più famosi capitani d’industria italiani» dimentica, forse perché non l’ha letto con attenzione o forse perché così ha deciso, che proprio a pagina 67 del dossier “mafia-appalti” si legge che «Buscemi Antonino, nato a Palermo il 28.07.1946, indiziato “M”, è inoltre inserito a vario titolo nelle seguenti società:
 LA.SER. s.r.l. (titolare);
 CALCESTRUZZI PALERMO s.p.a. (amm.unico); FINSAVI s.r.l. (socio fondatore e azionista).

Particolarmente interessante risultava il fatto che metà del capitale sociale della FINSAVI s.r.l. era sottoscritto dal colosso imprenditoriale rappresentato dalla CALCESTRUZZI s.p.a. di Ravenna, la presidenza della quale e` ricoperta da un personaggio di portata nazionale quale Raoul Gardini.
Il rappresentante in Sicilia di quest’ultima società edilizia risulta essere tale ing. BINI Giovanni, lo stesso che piuttosto frequentemente intrattiene con il Siino rapporti telefonici.
E` importante sottolineare che, alla data del 20.12.1982, la Calcestruzzi s.p.a. controllava 36.380 azioni della C.I.S.A. di Udine. Con verbale di assemblea del 26 gennaio 1987, veniva deliberato di fondere la società nella C.I.S.A. Internazionale s.p.a. con sede in Udine, capitale sociale di lire 2.580.000.000 interamente versato. La fusione si effettuava con il concambio di 264.600 azioni della socia “Calcestruzzi s.p.a.” da nominali L.10.000 della CISA Internazionale s.p.a., che ha aveva già adottato la relativa delibera per il conseguente aumento del capitale sociale per L.813.590.000. Il coefficiente di concambio veniva determinato in riferimento alle azioni della socia “Calcestruzzi s.p.a.”, pari al 44,10% del capitale sociale in quanto le restanti erano già possedute dalla incorporante, e calcolato sulla base dei patrimoni netti contabili delle due società. In relazione all’avvenuta fusione le azioni della società incorporata si intendevano annullate ed alla “Calcestruzzi s.p.a.” con sede in Ravenna, veniva attribuito l’intero aumento del capitale sociale di L.813.590.000, oltre le 264.600 azioni da lire L.5000 cadauna pari a L.l.323.000.000 del capitale sociale complessivo di L.3.393.590.000.
Non è un caso che dopo pochi mesi da questi cambiamenti societari, la C.I.S.A.- Udine si associ con la Farinella Cataldo per la realizzazione di alcuni appalti in Sicilia. Farinella Cataldo è parte della stessa organizzazione a cui fanno riferimento Siino Angelo e Buscemi Antonino» e che, quindi, proprio il dossier “mafia-appalti” è stato il “la” investigativo per Falcone e Borsellino e che, quando scrive che non furono «gli appalti e i sub appalti delle dighe e delle strade, dei viadotti e delle opere “chiavi in mano” che mafiosi e ditte del nord si dividevano in Sicilia» parte del quadro investigativo di Falcone sembra sposare la tesi di uno dei magistrati che lo archiviarono che ha definito il dossier, anche di recente, “robetta”, “cosa da quattro colletti bianchi siciliani” o ancora una “minestra risciacquata” e dimentica che proprio Falcone lo conosceva così bene che, durante un convegno pubblico, lanciò un appello esclamando che «la mafia è entrata in Borsa», per dire che società quotate in Borsa erano state attratte nell’alveo delle relazioni con “Cosa nostra” e si riferiva, senza dubbio, alla quotazione in Borsa del gruppo Ferruzzi-Gardini avvenuta da poco tempo. A riprova che Falcone era non solo fortemente interessato al dossier ma che lo stava collegando con le indagini milanesi che sfociarono nella c.d. Tangentopoli. Il riscontro si ha attraverso la testimonianza che Antonio Di Pietro, uno dei pm di “Mani Pulite” rese al processo “Borsellino ter” in cui disse che durante le indagini sulle imprese si rese conto che cominciavano ad emergere nomi che rientravano anche nell’informativa dei Ros. Di Pietro durante il processo nominò ad esempio la Ferruzzi Spa, ossia quella di Gardini e la Rizzani-De Eccher, tutte imprese del nord indicate nel dossier “mafia-appalti”. Non solo. Di Pietro dichiarò di averne parlato con Giovanni Falcone e disse che «quella era l’essenza della mia inchiesta, cioè la scoperta che le imprese nazionali, dovunque andavano, si associavano con imprese locali, si realizzavano questi appalti e producevano delle dazioni di denaro al sistema dei partiti e ai pubblici ufficiali. Ne parlai dapprima con Falcone e poi anche con Borsellino» e, dato importante, «anche quando Falcone era ancora vivo».

In chiusura Bolzoni scrive che «a Caltanissetta hanno ripescato tutto. I carabinieri del Ros, ormai non più “traditori“ in quanto assolti nel processo d’appello, andranno a riproporre le loro argomentazioni. Sempre le stesse dal 1991. Vedremo cosa faranno i magistrati delle stragi. Quelli che hanno già avuto fra i piedi il falso pentito Vincenzo Scarantino, quelli che sono stati costretti a indagare per mesi e mesi su quel pagliaccio di testimone che era Massimo Ciancimino. Dopo trent’anni, speriamo che non si perda altro tempo» ma dimentica di sottolineare che, per fortuna, i magistrati che all’epoca avvalorarono le parole di Scarantino traformandole in arringa conclusiva, ossia Tinebra, Di Matteo, Palma e Petralia, non sono più applicati alla procura di Caltanissetta e che il vento della verità, iniziato con il dottor Lari e proseguito con la dottoressa Sava pm rispettivamente del “Borsellino ter” e del Borsellino quater”, non ha ancora smesso di soffiare e ci auguriamo, proprio per il raggiungimento della verità, non smetta.

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