Nicola Morra, presidente dell’Antimafia Nazionale, a Roccamena, paese che ha dato ospitalità ai Messina Denaro. Oltre che su cosa nostra fioccano anche le inchieste per corruzione: coinvolti un ex sindaco e la moglie di un maresciallo dei Carabinieri

In questi giorni il Presidente della Commissione Nazionale Antimafia Nicola Morra si è recato a Roccamena, il paese di cui recentemente si è occupato Marco Bova in due pagine del suo libro ‘Latitante di Stato’, ed in cui spiega le ragioni della mancata cattura di Matteo Messina Denaro. Sia il padre, Francesco (Ciccio), noto per essere stato anche il compiere dell’ex senatore di Forza Italia D’Alì, già condannato per reati di mafia, che il figlio Matteo, a Roccamena erano praticamente di casa. Il motivo di questa visita di Morra è riconducibile, comunque, non solo ad alcune storie del passato, ma anche a cose ben più recenti.
Nell’ottobre 2021, giova ricordarlo, la DDA di Palermo cerca Messina Denaro a Roccamena e scrive sul registro degli indagati i nomi di alcuni personaggi a lui riconducibili.
Roccamena è inoltre il paese del capomafia Bartolomeo Cascio, uomo vicinissimo a Leoluca Bagarella, per il quale il questore Longo in occasione della sua morte ne ha vietato i funerali. È il paese dove è stata rinvenuta una foiba, trasformata in un cimitero di mafia. Storia questa di cui si è occupato il giornalista Pino Finocchiaro in un reportage di Rainews24. Siamo in piena terra di mafia, in quel disgraziato entroterra siciliano, ad un tiro di schioppo, o di lupara se preferite, dai paesi di provenienza dei principali uomini-simbolo della mafia. È situato infatti a 20 chilometri da Corleone ed a 15 da San Cipirello. Ai corleonesi  Totò Riina e Bernardo Provenzano ed al Sancipirrese Giovanni Brusca, ad esempio, veniva estremamente facile darsi appuntamento da quelle parti, affacciarsi sulla diga Garcia e dirigerne i lavori; per poi sbarazzarsi di persone indiscrete, come il giornalista Mario Francese ed il magistrato Cesare Terranova. La loro ‘nobile’ o, per meglio dire,  ignobile e sanguinaria missione era quella di trasformare quei luoghi in quella che gli inquirenti definirono una specie di loro personale Svizzera.

Negli anni Settanta è stato proprio il magistrato  Terranova, prima di essere ucciso, a rendersi conto della centralità di Roccamena in molte dinamiche mafiose. La sua preziosa testimonianza venne allora raccolta dal giornalista Joe Marrazzo, nel corso di un’intervista che si può ancora vedere ed ascoltare su RAI play, dal titolo “Ficuzza 77 “ in cui  affermava che Roccamena, malgrado non godesse della stessa famigerata fama di Corleone, era il paese in cui la mafia era molto viva e molto virulenta.
Andando invece ad analizzare qualche altra storia un pò più amena, capitata a Roccamena (chiedo venia per la rima baciata),  basta evocare qualche recente episodio di ‘ordinaria’ corruzione. Ci riferiamo a ciò che è avvenuto con la gestione del cosiddetto Sprar, il locale centro di accoglienza per i richiedenti asilo,  “Le mani di Francesco”, da parte di Monica Torregrossa, recentemente arrestata. È la moglie del Maresciallo dei carabinieri Fabio Caravello, trasferito a Camporeale e poi ad Alcamo, dopo 10 anni di permanenza a Roccamena.

Si tratta, per usare un eufemismo, di una questione la cui opacità è stata evidenziata dal senatore Morra, unitamente ad uno strano intreccio politico-affaristico, relativo ad un ex sindaco, oggi presidente del consiglio comunale, sempre di Roccamena, finito al centro di un’inchiesta per istigazione alla corruzione e concussione. Morra ha inoltre voluto fortemente prendere un impegno, quello di ripresentarsi a settembre a Roccamena, in occasione dell’apertura dell’anno scolastico, per presentare il libro di Marco Bova “Latitante di stato”. Per parlare di mafia, e combatterla, a partire proprio da quei luoghi ‘dove la mafia si vive e si respira’.

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