Il capo di gabinetto di Lagalla: uno zio latitante, l’altro ucciso

Uno zio narcotrafficante e uno ucciso dai corleonesi perché considerato vicino al boss Puccio, rivale di Totò Riina. Il nuovo capo di gabinetto della città metropolitana di Palermo ha queste ingombranti parentele, ma sostiene di averle scoperte solo a 42 anni grazie al Fatto Quotidiano. La versione di Maurizio Lo Galbo è così: prendere o lasciare. A volte la verità in Sicilia è inafferrabile e quel che appare incredibile altrove qui diventa sostenibile e persino plausibile. Il Fatto riporta i fatti e la versione di Lo Galbo. I lettori si faranno da soli un’idea. Il neo-sindaco di Palermo, Roberto Lagalla, ha nominato capo di gabinetto della città metropolitana di Palermo (un ente da 1,2 milioni di abitanti in 82 Comuni) Maurizio Lo Galbo, classe 1980.

Membro della Commissione legalità dell’Anci, già presidente Anci Sicilia giovani, funzionario esterno dal 2019 nello staff dell’Assessore regionale Toto Cordaro che a giugno lo ha promosso capo segreteria particolare, già assessore allo spettacolo a Bagheria fino a maggio, laureato in Pedagogia, Lo Galbo è stato il 2° più votato di Forza Italia nel 2014 a Bagheria (foto a sinistra) con 398 voti e nel 2018 ha aderito a una lista civica.

Dopo le polemiche sull’appoggio di Marcello Dell’Utri e Salvatore Cuffaro alla sua candidatura a sindaco, Roberto Lagalla è sottoposto a uno scrutinio severo per ogni scelta. Al Fatto nei giorni scorsi arriva una lettera firmata che critica la sua nomina di Lo Galbo perché due zii del padre, deceduti, sarebbero stati protagonisti di vicende di cronaca lontane ma inquietanti. Il padre di Maurizio, Giuseppe Lo Galbo, classe 1942, aveva un fratello, Carmelo Lo Galbo classe 1936, imprenditore edile ucciso (e morto incensurato) nel maggio 1989 nell’ambito del cosiddetto ‘complotto Puccio’, dal nome del boss inviso a Totò Riina. Vincenzo Puccio è stato ucciso in cella l’11 maggio 1989 a colpi di bistecchiera mentre fuori dal carcere veniva ucciso anche suo fratello Pietro. Secondo la sentenza del 1993 della Corte d’Assise di Palermo che condanna Riina come mandante degli omicidi dei due fratelli Puccio, “prima dell’esecuzione attorno al Puccio era stata fatta terra bruciata con l’eliminazione di persone che in qualche modo si erano adoperate in suo favore (tale Lo Galbo ucciso per avergli dato tempo prima ospitalità…)”. Il ‘tale Lo Galbo’ è proprio Carmelo, lo zio di Maurizio ucciso a Bagheria sulla sua Golf con accanto il figlio di 13 anni, il 6 maggio 1989, cinque giorni prima del boss Puccio.

Un altro zio, Domenico Lo Galbo, classe 1939, è stato condannato a 18 anni per un traffico di droga del 1983 tra Italia e Usa. Il boss del network di narcotrafficanti era Filippo Ragusa, zio di Domenico, Carmelo e Giuseppe Lo Galbo per parte di madre, perché fratello della loro mamma Annamaria Ragusa. Filippo Ragusa, titolare di un panificio a New York, era legato al boss Tommaso Inzerillo e sarà poi condannato definitivamente a 16 anni nel processo istruito da Giovanni Falcone contro il clan Spatola-Gambino-Inzerillo.

Domenico Lo Galbo (lo zio del nuovo capo di gabinetto Maurizio) invece, dopo una latitanza di 22 anni, probabilmente in America, è tornato a Bagheria per morire. La sera dell’ultimo dell’anno del 2005 i figli del latitante chiamarono le forze dell’ordine per comunicare dove si trovava il padre: nel suo letto, in uno stabile di Bagheria dove ora sorge una pizzeria della sua famiglia.

Maurizio Lo Galbo al telefono però inizialmente nega i legami di sangue: “Non sono i fratelli di mio padre. Glielo ripeto: Carmelo e Domenico Lo Galbo non so chi siano. Mio padre che si chiama Giuseppe, è un geometra. Se vuole saperlo ha un cugino monsignore”. Felice di avere verificato la falsa notizia basata evidentemente su un’omonimia, alle 21 il cronista ignaro sta tornando a casa quando squilla il telefono. Stavolta Lo Galbo corregge: “Ho chiesto a mio padre ed effettivamente mi ha detto che Carmelo e Domenico erano suoi fratelli, ma io non lo sapevo”.

Il cronista pur abituato alle case all’insaputa dei ministri, stenta a credere agli ‘zii a insaputa’ del capo di gabinetto. A quel punto, Lo Galbo si offende: “Stia attento a quello che scrive, perché io questi zii non li ho mai visti in faccia. Sono nato nel 1980”. Effettivamente zio Domenico allora era residente negli Stati Uniti e diventa latitante quando Maurizio è appena nato. Zio Carmelo invece è morto nel maggio del 1989 quando Maurizio aveva quasi 9 anni. Il capo di gabinetto insiste: “Non li ho mai visti e non lo sapevo, perché mio padre ci ha tenuti lontano da tutto questo. Uno dei figli di questi fratelli, anni fa, si è presentato in un’altra lista contro di me”. Il cronista cerca di dare una logica al racconto degno di Ionesco. Come faceva Lo Galbo a sapere che il suo cugino rivale in politica era ‘figlio dello zio’ senza sapere che lo zio esistesse? Lui non si scompone: “Non sapevo il nome del padre, ma ora che lei me lo ha detto penso sia figlio di uno dei due. Comunque non abbiamo rapporti”. Eppure Carmelo prima di essere ucciso nell’89 era un imprenditore incensurato che partecipava a molte gare con la sua impresa. Anche il padre di Maurizio aveva una sua impresa edile. Come un terzo fratello imprenditore, Francesco, classe 1932. Tutti incensurati. Tutti imprenditori edili, tutti a Bagheria.

Facciamo notare a Maurizio Lo Galbo che la sua versione sembra incredibile: ha scoperto solo grazie al Fatto nel 2022 lo zio imprenditore ucciso nel 1989 a Bagheria e lo zio narcotrafficante morto latitante il 31 dicembre 2005, a Bagheria, lui che è consigliere comunale e poi assessore a Bagheria dal 2011? Lui replica: “Per una decina di anni abbiamo vissuto a Palermo. Mio padre ha sposato la figlia del comandante della Guardia di Finanza di Bagheria, il capitano Cosimo Pintabona, che viveva con noi. Anche per questo abbiamo fatto una vita lontana dai suoi fratelli”. Quando zio Domenico muore a Bagheria, Lo Galbo aveva 25 anni e la stampa dà ampio risalto alla notizia che ancora si trova sul sito di Repubblica. Eppure lui giura di aver scoperto lo zio solo dopo la telefonata del Fatto: “Io non mi interessavo di queste cose e mio padre mi ha sempre tenuto all’oscuro”. Negli articoli del gennaio 2006 si ricorda che lo zio Domenico era stato condannato negli anni 80 insieme allo zio: il latitante Filippo Ragusa. Quando chiediamo a Maurizio Lo Galbo di questo Ragusa (fratello di sua nonna) lui sbotta: “Ora basta. Chiudiamola qui. Io non ne so nulla, sono fatti vecchissimi. I miei genitori sono persone oneste e incensurate. Mio padre non ha mai fatto nulla nel lavoro con i fratelli. Io ho fatto iniziative per la legalità. Lo scriva. Scriva che sono nipote del Capitano Pintabona e che mio padre è cugino di monsignor Gino Lo Galbo”. Secondo il sito Kikapressdon Gino è cugino del regista di Nuovo cinema paradiso e Baarìa, Giuseppe Tornatore. Lo Galbo conferma: “mio padre è cugino della mamma di Tornatore, scriva pure questo”. Accontentato, anche perché questa storia sembra un film.

fonte:https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/08/27/il-capo-di-gabinetto-di-lagalla-uno-zio-latitante-laltro-ucciso/6775916/