𝗟’𝟴 𝘀𝗲𝘁𝘁𝗲𝗺𝗯𝗿𝗲 𝗱𝗲𝗹 𝗰𝗲𝗻𝘁𝗿𝗼 𝘀𝗶𝗻𝗶𝘀𝘁𝗿𝗮

1944, una madre americana sta per ricevere la notizia della morte di tre dei suoi quattro figli al fronte. Il generale Marshall ordina che il quarto figlio sia subito salvato e rimpatriato. Il titolo del bellissimo film di Steven Spielberg – “Salvate il soldato Ryan”- mi è venuto in mente osservando quel che sta capitando a Enrico Letta.

Stando ai sondaggi sembra destinato a ripetere la sorte dei predecessori: Veltroni, Bersani, Renzi, tutti diversamente sconfitti, tutti dimessi, tutti diversamente separatisi dal PD.

Segretario da poco più di un anno Letta subentrò a Zingaretti che non aveva perso ma, come spiegò, non ne poteva più delle correnti interne. Una versione non proprio convincente – non lo sapeva anche prima che il PD è fatto di correnti? – perché non menzionava la vera novità politica di quel momento: la fine del secondo governo Conte e l’avvento di Mario Draghi alla guida di un governo di unità nazionale. In verità Zingaretti si era molto, troppo, speso a sostegno di Conte esaltato quale “punto di riferimento di tutti i progressisti” fino a sostenerlo anche quando aveva perso la maggioranza parlamentare. “O Conte o elezioni” hanno continuato a inveire i suoi seguaci nel PD si che, quando non c’è più stato né Conte e nemmeno le elezioni, Zingaretti politicamente sconfitto ha preferito mollare.

Nondimeno, il “campo largo”, ovvero l’illusione di un’alleanza strategica tra PD e 5 Stelle e persino a Renzi e Calenda, è rimasto il confuso contesto strategico in cui è nata anche la segreteria di Enrico Letta.

Ma tutto cambia vorticosamente. Renzi che per sbarrare la strada a Salvini era stato l’ostetrica del governo giallorosso, ne diventa il demolitore e apre la strada al governo Draghi. Nonostante le accuse di golpe (a chi? a Mattarella?) di Goffredo Bettini, nonostante i pianti e i rimpianti delle inconsolabili vedove democratiche per l’avvocato del popolo, Letta si schiera risolutamente per Draghi e pur confermando per il futuro l’alleanza coi 5 Stelle ne rivendica al PD la guida.

Quando poi #Conte non vota la fiducia a Draghi offrendo al centro destra l’occasione di elezioni anticipate, tra PD e 5 Stelle si scava un fossato e il fantomatico campo largo si dissolve. A quel punto Letta stringe l’accordo con il solo Calenda escludendo Renzi, i due sottoscrivono un patto sia sul programma sia sulla spartizione dei collegi. Renzi, però, non molla, annuncia che il terzo polo lo farà da solo e tanto basta a piegare Calenda che fa retromarcia, abbandona il PD e si allea con Renzi. Se si eccettua Emma Bonino che non ha seguito le contorsioni di Calenda, il PD affronta la campagna elettorale senza una vera coalizione e senza veri alleati.

Enrico Letta è solo, circondato e bersagliato dal tiro incrociato della destra, del terzo polo e dei 5 Stelle. I più accaniti nell’attaccarlo sono #Renzi e Calenda entrambi fuoriusciti dal PD dopo averlo guidato ed esserne stati leader e ministro. Il dissidio tra Renzi e Letta, frutto di un passato che non passa, si nutre di un rancore personale al quale solo di recente si sono appiccicate ragioni pseudo ideologiche.

Renzi che da segretario aveva condotto il PD nel partito socialista europeo si è riscoperto liberale e Calenda eletto nel PD lo ha seguito a ruota. Letta per ripicca accentua i tratti di sinistra del PD sino a voler seppellire con Renzi anche Tony Blair e il liberal laburismo (lib-lab) la conciliazione politica e di principi tra socialismo, popolarismo e liberal democrazia e ciò che significa centro-sinistra.

Strada sconnessa e avventurosa. La storia mostra che senza un ancoraggio al socialismo democratico la sinistra è destinata a sbandare verso l’estremismo e i liberali verso l’opportunismo. Non per caso quella conciliazione era lo scopo della fusione tra DS e Margherita e fondava l’identità originaria del partito democratico. Per non dire che essa segna più di un secolo di storia politica della socialdemocrazia e del socialismo liberale in Europa con i quali il PD ha dato vita a Bruxelles al gruppo e al partito dei socialisti e dei democratici.

Peccato che quando gli tocca di pronunciare la parola “socialismo” Letta venga preso da qualche sortilegio e “la lingua devèn tremando muta”. Diverso il caso di #Calenda: come quelli che comunisti a vent’anni, diventano liberali a quaranta e reazionari a cinquanta, Calenda prima si propone come liberal socialista e perciò chiama il suo partito “Azione”, poi cambia idea, raglia che il socialismo non esiste più infine si dichiara pronto a governare con #Salvini e #Meloni”.

Strano: in Europa la socialdemocrazia guida il governo della Germania, di tutti i paesi scandinavi, della Spagna, del Portogallo e di altre nazioni. Quanto all’Italia, qui i partiti storici sono tutti scomparsi, ma sebbene piccolo piccolo uno socialista vive ancora, tant’è che Calenda l’ha vanamente corteggiato, #Letta ci si è alleato e numerosi assai sono i gruppi socialisti sparpagliati in altri partiti e soprattutto nell’astensione.

Ora, la rottura tra #PD, #Terzopolo e #5Stelle fa presagire una strabordante vittoria della destra. Possibile che almeno nelle due settimane che ci separano dal voto l’incombere della comune ruina non li dissuada dal massacrarsi a vicenda?