Caso Mattei: Verzotto interrogato dal procuratore Calia risulta estraneo ai fatti 

 

Il fatto – a cura di Concetto Alota –

Sul caso Mattei, nell’intervista di Andrea Purgatori sulla vicenda del disastro aereo di Bescapè avvenuto nel 1962 all’ex magistrato Vincenzo Calia, andata in onda su La7 il 26 ottobre scorso, alla domanda se Graziano Verzotto fosse coinvolto o meno nel caso, il magistrato risponde: “Escludo la partecipazione di Verzotto”.

Sono passati 60anni da quel 27 ottobre 1962, quando l’aereo su cui viaggiava Enrico Mattei precipitò nella campagna pavese. Anni di omissioni, menzogne, depistaggi di Stato che hanno visto anche gran parte della stampa schierata a confondere fatti e prove anziché contribuire a cercare la verità. Qualcuno insiste ancora oggi che Verzotto chiamò Mattei per comunicagli che dopo la sua partenza dalla Sicilia, tra la popolazione di Gagliano, dove si doveva costruita l’impianto per l’estrazione del metano, si sarebbero creati delle lamentele tra i residenti, ma lui ha sempre negato, come si legge negli atti ufficiali di seguito riportati.

Tante le inchieste, tanti i libri e tante menzogne su una vicenda che si espande oltre ogni limite della verità per finire nella babele della politica e dei servizi segreti di mezzo mondo.

Il procuratore Vincenzo Calia è stato l’ultimo magistrato che indagò sulla morte di Enrico Mattei: “Fu certamente omicidio”. Così conferma la sua tesi. Le ipotesi sui mandanti vanno dalle lobby del petrolio, ai suoi collaboratori fino ai servizi segreti francesi, ma non si trovarono spazi per le tante verità che avevano creato un alone di mistero oltre la verità mai confermata del tutto.

Graziano Verzotto, al tempo segretario della Diccì siciliana e presidente dell’Ems, tirato in ballo da più parti viene interrogato dal procuratore Vincenzo Calia. Verzotto è considerato, a torto o ragione, uno dei testimoni chiave delle vicende su Mattei e De Mauro, e in quanto tale è stato interrogato più volte dall’autorità giudiziaria; ha inoltre rilasciato numerose interviste. Le ultime dichiarazioni da lui rese sono del 4 settembre 1998.

È necessario riportare integralmente tali dichiarazioni che seguono, poiché costituiscono una ricostruzione completa della vicenda, perfettamente coerente con i risultati delle varie investigazioni.

Dichiara Verzotto: “Sono venuto a conoscenza della morte di Enrico Mattei la sera del 27 ottobre 1962, a Siracusa. Già dall’inizio io ho pensato, come del resto tutti nel mio ambiente, che Mattei era stato vittima di un attentato. Successivamente, dopo la chiusura dell’inchiesta ministeriale condotta dall’Aeronautica militare, ho avuto modo di visionare, per una sola notte, il testo della relazione conclusiva e mi ero persuaso che Mattei avrebbe potuto effettivamente essere stato vittima di un incidente. Successivamente mi sono via via convinto, invece, che non era da escludere con certezza l’ipotesi di un attentato, divenuto per me una certezza dal 1970. Comunque, dando in coscienza credito all’ipotesi dell’attentato, ritenni che per cercare di comprendere la morte di Enrico Mattei, era necessario capire l’operazione Anic-Gela, ovvero la nascita di tale stabilimento petrolchimico; ideata e avviata da Cefis e Guarrasi nel periodo del Governo regionale di Silvio Milazzo: Cefis quale vicedirettore generale dell’Eni e Guarrasi quale responsabile del piano di sviluppo regionale sostenuto dal governo Milazzo. Per quanto mi è dato sapere Mattei aderì e sostenne il progetto Anic-Gela. Per spiegare la morte di Mattei è inoltre utile chiedersi a chi essa abbia portato giovamento. Ritengo che le piste “sette sorelle” e Oas siano da scartare perché Mattei, già da alcuni mesi prima della sua morte, aveva positivamente avviato trattative di accordo con le società petrolifere; così come gli accordi di Evian, avevano già risolto la questione Oas: l’Algeria, infatti, al momento della morte di Mattei, aveva già ottenuto l’indipendenza. Eugenio Cefis e Vito Guarrasi – e il loro entourage – si erano sicuramente avvantaggiati della morte di Mattei: entrambi, infatti, erano stati poco prima della sua morte allontanati dagli incarichi che ricoprivano prima. Quanto all’ultimo viaggio di Mattei in Sicilia, posso dire di aver telefonato io stesso a Enrico Mattei, convincendolo della opportunità di scendere in Sicilia, dietro vive pressioni dell’on. Giuseppe D’Angelo, all’epoca presidente della Regione Sicilia e deputato della zona di Gagliano Castelferrato. Escludo invece che Mattei sia venuto in Sicilia per tranquillizzare la popolazione di Gagliano. Tale popolazione non era infatti in rivolta ma, tutt’al più, nutriva dei dubbi che l’accordo tra Eni e Regione (intervenuto la settimana precedente a Palermo) per la realizzazione di uno stabilimento industriale a Gagliano, sarebbe stato effettivamente rispettato. La popolazione di Gagliano temeva, in sostanza, che l’accordo avesse avuto solo motivazioni politico-elettorali. Per venire al “caso De Mauro”, ritengo che il sequestro del giornalista sia intimamente connesso al progetto per la costruzione di un metanodotto tra l’Africa e la Sicilia. Tale progetto fu voluto e portato avanti – tra mille difficoltà – da me e dall’Ente minerario siciliano del quale ero presidente dal 1967. Il progetto era nato e aveva preso corpo verso la fine degli anni sessanta. Per la sua realizzazione era nata la Sonems, al cui capitale inizialmente partecipavano alla pari la algerina Sonatrach e l’Ente minerario siciliano. Solo successivamente, la composizione della Sonems, per l’intervento di forze politiche nazionali e regionali, mutò nel modo che segue: Sonatrach 50%, Ems 26%, il Banco di Sicilia (4%) e l’Eni (20%). Tale nuova composizione avrebbe permesso all’Eni di controllare direttamente e di ritardare quello che noi facevamo per giungere alla realizzazione del progetto: progettazione degli impianti e determinazione del prezzo del metano. L’Eni e il suo presidente (prima Cefis e poi Girotti) erano infatti decisamente contrari a tale progetto e, come ho già detto, al fine di impedirne o quanto meno di ritardarne la realizzazione, avevano appunto ottenuto dal Governo di partecipare alla Sonems. Era quindi nata una accesa disputa, tra l’Ems e l’Eni, sulla fattibilità e sulla convenienza del controverso metanodotto. Io, l’intero Consiglio di Amministrazione dell’Ems, Nino Rovelli, nonché quasi tutte le personalità politiche siciliane eravamo convinti che l’opposizione dell’Eni era dettata dalla necessità di ammortizzare il costo delle metaniere costruite per trasportare il gas dall’Africa all’Italia, attraverso due impianti: di liquefazione, in Africa e di rigassificazione a Panigaglia (SP). Voglio anche aggiungere che l’Eni, allo scopo di mantenere in piedi le metaniere e di stroncare ogni velleità di costruire il metanodotto, aveva anche proposto – prima di rilevare l’intero pacchetto azionario dell’Ems nella Sonems – la costruzione di un secondo impianto di rigassificazione a Gela. Ricordo che “l’Ora” di Palermo, dopo il 1970, aveva dato notizia di questa intenzione dell’Eni con un articolo, titolato a caratteri cubitali Il cane a sei zampe divora Verzotto. Si trattava, evidentemente, di un affare enorme e all’epoca si diceva, e io ne ero intimamente convinto, che la società armatrice delle metaniere, oltre al petroliere Angelo Moratti, avesse anche, come soci occulti, lo stesso Cefis e il presidente della Esso Italia Vincenzo Cazzaniga. Non ricordo se tale informazione mi venne fornita da Nino Rovelli o dal professor Rocca, presidente della Sonems. Solo dieci anni dopo l’Eni aveva realizzato in proprio il discusso metanodotto. Ciò conferma la pretestuosità della precedente vivace opposizione dell’Ente petrolifero nazionale. La vicenda De Mauro si sviluppa in tale contesto. L’ufficio stampa dell’Ems mi aveva informato che era in corso una campagna di opposizione alla presidenza Eni: erano infatti già scaduti i vertici dell’Eni e si era in attesa della loro riconferma o sostituzione. Era inoltre stata avviata la scalata dell’ENI alla Montedison. Molti ambienti politici ed economici miravano alla presidenza dell’Eni: il controllo di tale ente determinava, in sostanza, del maggior flusso di aiuto ai partiti nazionali e, quindi, la possibilità di controllare le decisioni politiche del Paese. In tale campagna si inserivano il libro di Bellini e Previdi L’assassinio di Enrico Mattei e il film di Francesco Rosi, Il caso Mattei. Io avevo ritenuto che era mio dovere, quale aderente a una corrente Dc (Gullotti) che si opponeva alla corrente “fanfaniana” (cui faceva riferimento Eugenio Cefis), nonché quale presidente dell’Ems (come tale direttamente interessato alla realizzazione del metanodotto), dare un fattivo contributo per contrastare chi si opponeva al più volte citato progetto di realizzazione del metanodotto. Non va dimenticato che l’Eni si opponeva alla realizzazione del nostro metanodotto anche allo scopo di non perdere il monopolio sul metano. Il metano, definito come la Zecca dell’Eni, era infatti un’imponente strumento di autofinanziamento per l’ente petrolifero nazionale e, quindi, di raccolta di risorse per il finanziamento della politica. Tra gli oppositori al progetto di metanodotto si stagliava, naturalmente, il presidente dell’ENI. La mia posizione era pienamente accettata e politicamente sostenuta dall’on. Gullotti e dalla stessa Regione Sicilia. È evidente quindi che un’eventuale alternanza alla presidenza dell’Eni avrebbe eliminato il più fiero e potente oppositore al progetto del metanodotto. L’appoggio di Gullotti venne meno, con un vero e proprio voltafaccia, quando Cefis promise, allo stesso Gullotti, la presidenza del Consiglio o, in alternativa, del gruppo parlamentare Dc alla camera, in cambio della quota Ems nella Sonems. Tale vicenda mi venne raccontata dal segretario particolare del ministro Gullotti, dott. Luigi Cheli (che attualmente vive in America) al quale io avevo chiesto spiegazioni del voltafaccia. Quasi tutta la stampa nazionale era allineata sulle posizioni dell’Eni, perché direttamente o indirettamente finanziata dall’ente: Eugenio Cefis era infatti definito come “il grande elemosiniere”. Lo definiva così in particolare Nino Rovelli il quale, politicamente sostenuto da Giulio Andreotti, Guido Carli e Giovanni Leone, ambiva a rimpiazzare Cefis nel controllo dei finanziamenti ai partiti. Rovelli e i politici che lo sostenevano ritenevano infatti Cefis troppo potente in quanto controllava direttamente la Montedison e gestiva l’Eni tramite Girotti. Le avvisaglie di questo eccesso di potere da parte di Cefis già si manifestavano ben prima della scomparsa di De Mauro, quando iniziava la scalata dell’ENni a Montedison. Il nostro progetto e la nostra posizione politica erano sostenuti dall’agenzia “Roma Informazioni” di Matteo Tocco, non so se collegata a “Milano Informazioni”. Tale agenzia era la sola che in quel momento non riceveva “sussidi” dall’Eni, essendo invece finanziata dall’Ems. Diversi mesi prima del sequestro De Mauro, il quotidiano “l’Ora”, aveva pubblicato un servizio giornalistico sui problemi economici dell’Isola. Il giornalista Marcello Cimino mi aveva intervistato appunto sul metanodotto. L’intervista si era svolta a casa di Mauro De Mauro. Dopo la pubblicazione di tale intervista, il quotidiano palermitano non si era più occupato dell’argomento metanodotto. C’era stata come una caduta di interesse. Il colloquio e l’intervista con Marcello Cimino mi furono procurati proprio da Mauro De Mauro. Si pensò di far condurre l’intervista a Marcello Cimino, sia perché questi era il giornalista più quotato per servizi del genere, sia perché Mauro De Mauro si occupava di cronaca e non di economia. Ritengo che la “caduta di interesse” da parte de “l’Ora” per il metanodotto sia stata la conseguenza di pressioni economiche sul quotidiano da parte dell’ente petrolifero di Stato. Le mie informazioni dell’epoca mi indussero a ritenere che il mutamento di condotta sul metanodotto da parte de “l’Ora” fosse stato direttamente ispirato da “Botteghe Oscure”, cui faceva comodo l’esclusivo rapporto centralizzato con i finanziamenti dell’Eni, escludendo eventuali finanziamenti periferici difficilmente controllabili dalla direzione del partito. Ricordo inoltre che erano venuti da me i direttori del “Giornale di Sicilia” e de “l’Ora” lamentandosi che l’Ems – diversamente dall’Eni – non li sosteneva economicamente nelle loro battaglie politiche a favore degli interessi siciliani. Ritengo che per comprendere il “mistero Mauro De Mauro” sia necessario chiarire perché Mauro – apparentemente senza ragione – sia stato spostato dalla cronaca allo sport, pochi mesi prima della sua scomparsa. Tale trasferimento aveva amareggiato Mauro De Mauro, che serbava del rancore verso il direttore Nisticò che, a suo dire, aveva aderito alle pressioni di chi aveva voluto esautorarlo. Mauro era convinto che tali pressioni provenivano dal vertice dell’Eni – che era tra i finanziatori del quotidiano comunista di Palermo – e che intendeva neutralizzare gli attacchi che provenivano da quella direzione (De Mauro, Verzotto, Ems). De Mauro e l’Ems erano infatti le uniche voci critiche nei confronti del vertice dell’Eni. Tra me e De Mauro c’era una intesa consolidatasi nel tempo. Da ultimo, io gli avevo chiesto di darmi una mano nel sostenere il progetto del metanodotto e nel contrastare chi vi si opponeva. Era inteso che tale aiuto – che De Mauro mi offriva di buon grado – doveva risolversi in articoli e servizi contro l’Eni e il suo vertice e a favore del metanodotto. Nei giorni che precedettero il sequestro, De Mauro, oltre a esprimere i suoi fondati sospetti circa le vere ragioni del suo allontanamento dalla cronaca, mi aveva più volte ribadito che gli spiaceva di non poter utilizzare il suo giornale per sostenermi nella mia battaglia a favore del metanodotto e, quindi, contro il vertice dell’Eni. Mauro De Mauro mi aveva peraltro prospettato la possibilità di scrivere qualcosa su di un settimanale, che mi pare si chiamasse “Abc”, al quale egli collaborava con uno pseudonimo. Tale proposito non si è poi concretato per effetto della sua scomparsa. Era tra noi inteso che tale collaborazione sarebbe stata retribuita dall’Ems. Ci si era regolati così anche in altre precedenti occasioni. La giustificazione formale dell’esborso da parte dell’Ems (o di una sua società collegata) a favore di De Mauro, sarebbe stato un incarico per una ricerca sociologica affidata ufficialmente al giornalista. Successivamente De Mauro aveva ricevuto incarico da Rosi di raccogliere del materiale riguardante le ultime due giornate di Mattei in Sicilia, da utilizzare nella sceneggiatura del film ‘Il caso Mattei’. Io ero consapevole che tale film poteva essere uno strumento per sostenere e alimentare la campagna che l’ente da me presieduto intendeva portare avanti contro la presidenza dell’Eni e contro coloro che si opponevano alla realizzazione del metanodotto. Avevo pertanto avuto diversi contatti con De Mauro per aiutarlo a ricostruire i due giorni di permanenza di Mattei in Sicilia e per indirizzare utilmente – in chiave di contrasto all’allora presidente dell’Eni (Cefis) – il suo lavoro per Rosi. Ci proponemmo, quindi, di verificare l’attendibilità dell’ipotesi di sabotaggio e di ricercarne i mandanti. A tale fine rilevammo che Eugenio Cefis appena insediato all’Eni, dopo la morte di Mattei, aveva ribaltato la politica petrolifera da quest’ultimo impostata prima di Bascapè. Io avevo effettivamente consigliato a De Mauro di recarsi da Vito Guarrasi e ciò sia in funzione dell’incarico avuto da Rosi sia in funzione dell’incarico che io stesso gli avevo dato: infatti, per quanto mi risultava all’epoca, Guarrasi aveva incontrato Mattei il 26 ottobre 1962 a Gela, in occasione del consiglio di amministrazione dell’Anic-Gela. Di Guarrasi si è scritto e si è detto tanto; egli venne introdotto all’Eni proprio da Eugenio Cefis, per quanto mi risulta. Il sodalizio tra Cefis e Guarrasi era iniziato con l’operazione Anic-Gela e si era consolidato nel corso delle trattative per realizzare tale imponente progetto. L’avv. Vito Guarrasi era quindi divenuto il braccio destro di Cefis in Sicilia, anche Mattei vivente. Ho già accennato nella precedente deposizione che De Mauro, prima di scomparire, mi aveva riferito di aver raggiunto un suo convincimento circa la morte di Enrico Mattei. Egli era giunto alla conclusione che il sabotaggio del Morane Saulnier si spiegava con una pista esclusivamente italiana. Tale pista, secondo Mauro De Mauro, portava direttamente ad Eugenio Cefis e a Vito Guarrasi. Guarrasi in posizione subordinata rispetto a Cefis. Voglio ribadire che la comunanza di interessi tra me e De Mauro era implicita nel senso che ambedue eravamo consapevoli che si stava lavorando per contrastare chi si opponeva al progetto del metanodotto. In occasione dell’ultimo incontro che ho avuto con De Mauro, il 14 settembre 1970, ricordo di avere avuto modo di rilevare che il mio amico giornalista aveva sostanzialmente concluso il lavoro commissionatogli da Rosi. Egli infatti aveva con sé le cartelle dattiloscritte che ricostruivano, in forma dialogata, le ultime due giornate siciliane di Enrico Mattei. Ho già riferito di avere incontrato Mauro De Mauro, nella sua abitazione, anche qualche giorno prima dell’ultimo incontro del 14 settembre. In quell’occasione ci intrattenemmo nel suo studio e io ebbi occasione di vedere e di leggere per la prima volta la sceneggiatura che De Mauro aveva preparato per Francesco Rosi. Ricordo perfettamente che tale sceneggiatura ricostruiva, in chiave di sabotaggio, la fine di Enrico Mattei e – come ho appena detto – indicava quali responsabili – non ricordo se in maniera assolutamente esplicita o indiretta – Eugenio Cefis e Vito Guarrasi. Vito Guarrasi, quale consulente dell’Ems, era venuto a conoscenza dell’incarico che io avevo affidato a De Mauro a tutela del progetto del metanodotto. Io stesso gliene avevo parlato in una delle sue frequenti (ogni due o tre giorni) visite nella sede dell’Ems. Il direttore amministrativo dell’Ems, Antonino Renna, era persona legata a Vito Guarrasi, tanto che io e alcuni miei collaboratori avevamo sospettato un suo ruolo nel fare esplodere lo scandalo dei fondi neri dell’Ente. Fondi creati dallo stesso Renna, per i quali io ero fuggito all’estero e il Renna era stato arrestato. Dopo la sua scarcerazione Antonino Renna era stato assunto personalmente da Guarrasi e mi pare che ancora adesso svolga un’attivitˆ procuratagli da Guarrasi. Di ciò sono assolutamente certo. Tanto ho detto perché ritengo che Guarrasi era informato di tutto quello che avveniva all’interno dell’Ems. Sia per le informazioni che io stesso gli davo, che per quanto egli poteva constatare di persona in occasione delle sue visite e, infine, grazie alle informazioni che riceveva da Antonino Renna. Ritengo, pertanto, che l’avvocato Guarrasi sapeva perfettamente che De Mauro, prima del suo rapimento, stava lavorando per far luce sulla morte di Enrico Mattei e che tale lavoro era praticamente concluso. Ho appreso la notizia della scomparsa di Mauro De Mauro il giorno successivo, dal mio addetto stampa Tonino Zito che a sua volta l’aveva saputo dal giornalista Lucio Galluzzo. In quel momento io ero a Peschiera o Salò. Nel comunicare la notizia a Zito, Galluzzo gli aveva pure accennato che De Mauro gli aveva confidato di aver fatto una ‘grossa scoperta’ sulla morte di Mattei e che tale scoperta gli avrebbe procurato una laurea honoris causa. Profondamente colpito e scosso, io avevo anticipato il mio rientro in Sicilia. Ho immediatamente ritenuto che De Mauro fosse stato sequestrato proprio a causa dell’incarico che io gli avevo affidato e, soprattutto, in relazione alla indagine che egli stava svolgendo sulle responsabilità nella morte di Enrico Mattei. Ebbi anche l’impressione che De Mauro fosse stato sequestrato anche per spaventarmi e per convincermi ad abbandonare il progetto del metanodotto. Ricordo che il 23/24 ottobre 1970 apparve su “l’Ora” una mia seconda intervista rilasciata a Marcello Cimino. In quella occasione dissi – tra l’altro – che l’Eni ed Esso non ostacolavano più il progetto del metanodotto. Tale circostanza non corrispondeva a verità; feci tale dichiarazione per far capire a chi mi aveva minacciato sequestrando De Mauro, che avevo capito. Ho anche detto in un’altra occasione che De Mauro era stato sequestrato perché aveva molestato la mafia che trafficava in droga. Ammetto di avere depistato. Tale depistaggio mi venne suggerito dai Carabinieri e io, anche in ragione dei buoni rapporti che avevo con l’Arma e per ridurre la pressione di chi mi minacciava, decisi di seguire il suggerimento. Voglio infine dirle che, pur non avendo mai avuto le prove certe, sono sempre stato convinto che dietro il tentativo di sequestrarmi da parte di Andreola e dietro lo scandalo dei fondi neri dell’Ems – per il quale ho dovuto darmi alla latitanza per ben sedici anni – vi fosse stata la medesima regia e, cioè, quella parte di potere politico-economico che aveva avversato il progetto del metanodotto».

Nel marzo del 2003 il pubblico ministero Vincenzo Calia chiede che l’inchiesta venga archiviata.

Cefis e Verzotto 19 – Estratto dalla Richiesta di archiviazione del pubblico ministero Vincenzo Calia sulla morte di Enrico Mattei (Pavia, 2003, nota 1290, pp. 414-15) –  Fonte: Ventu’s Blog – Cefis e Verzotto – documenti.

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