Schifani e il “thriller” della giunta, dall’allegra sfilata dei quasi-nominati all’ultima minaccia: «Lascio e si rivota»

Le meravigliose stanze di Palazzo d’Orléans sono il set di due film diversi. Girati nello stesso giorno. Il primo, in mattinata e nel primissimo pomeriggio, è una commedia – leggera e spensierata – in cui sfilano quasi tutti i quasi-assessori regionali fra lo studio di Renato Schifani e gli altri uffici della Presidenza. Si aspettano i decreti da un momento all’altro, forse già in serata. E dunque bisogna consegnare tutte le scartoffie necessarie per le nomine.

C’è, fra i primi ad arrivare, Marco Falcone, uomo di fiducia del governatore. Con lui anche Edy Tamajo, altro forzista molto ben voluto. E c’è pure Luca Sammartino, il vice in pectore, che s’incrocia più o meno per caso con l’altro assessore “last minute” della Lega: Mimmo Turano, che entra ed esce in punta di piedi. Magari perché consapevole di non essere la scelta più gradita al presidente (che stima molto Vincenzo Figuccia, l’alternativa sfumata) e dunque meglio non disturbare. Intercettata una dei due assessori cuffariani, la palermitana Nuccia Albano, e c’è chi giura di avere intravvisto anche il tenutario degli Autonomisti, Roberto Di Mauro.

Ma dei meloniani nessuna traccia. Qualcuno, magari forte della certezza di non uscire dalla rosa ballerina , fa sapere che «le carte sono tutte in regola». E annuncia: «Porto tutto appena finisce la riunione».

Qui comincia il secondo film. Il vertice dei 13 deputati regionali con i vertici siciliani e la nota democristianissima del partito erede del Msi: noi insistiamo sui due assessori esterni (come scriviamo da giorni Francesco Scarpinato ed Elena Pagana, pesantemente sponsorizzati dai vertici di FdI romani, ndr), ma decida Schifani. Sottinteso: adesso sono cavoli suoi.

 

 

Parte il thriller. Schifani s’aspettava un assist dai deputati regionali di FdI, sapeva che quasi tutti sono dalla sua parte. Ma la risposta granitica, seppur annacquata dal politichese e preceduta dalle urla nella stanza del gruppo, è la sfida finale. Il governatore si chiude con i suoi fedelissimi, gli unici aspiranti assessori a restare lì dentro, fino a ben oltre le 23, sono Falcone e Sammartino. La tensione è altissima. E il gabinetto di guerra si conclude senza una decisione.

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