Crollano i bluff di Armao

Crollano i bluff di Armao

di Paolo Mandarà 

03/12/2022

Un disastro dietro l’angolo. Le Sezioni riunite della Corte dei Conti, al termine dell’udienza andata in scena presso l’Aula magna della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Palermo, hanno sospeso il giudizio di parifica del rendiconto 2020, evidenziando alcune enormi pecche risalenti alla passata gestione, quella di Gaetano Armao e Nello Musumeci. E “sollevando, con una separata ordinanza, la questione di legittimità costituzionale”. La principale criticità, come temuto alla vigilia, riguarda il ripiano del disavanzo da 2,2 miliardi, avvenuto su base decennale e non triennale (in base a decreto legislativo suscettibile di incostituzionalità): mancano all’appello 866 milioni di euro che adesso il nuovo governo dovrà recuperare a partire dalla prossima sessione di Bilancio. In attesa che sia la Consulta a pronunciarsi nel merito.

Tra le altre voci dichiarate ‘non regolari’ dai magistrati anche lo stato patrimoniale e il conto economico. Contestate altre spese: 94 milioni relativi al trasporto pubblico, 74 alla sanità. Anche i debiti fuori bilancio sono finiti nel mirino dei magistrati. Mentre dal fondo perdite della società partecipate, da sempre un boomerang per palazzo d’Orleans, mancherebbero circa 7 milioni. In particolare, “è alquanto evidente il ritardo sulle riforme strutturali e sull’adozione di interventi correttivi e/o migliorativi sulle diverse aree di gestione economico-finanziaria, contrassegnate da indici di priorità per il recupero dell’economicità e dell’efficienza della spesa, come da tempo evidenziato e sollecitato dalle Sezioni riunite nei giudizi di parificazione dei precedenti esercizi finanziari”.

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La questione dirimente, comunque, è quella relativa al disavanzo. In particolare, per l’esercizio 2020, secondo i magistrati “si è verificato un sottodimensionamento del valore complessivo degli stanziamenti a titolo di spesa per il disavanzo di amministrazione complessivamente pari a euro 461 milioni e 889 mila euro assegnati all’interno di alcuni capitoli del Conto del bilancio, rispetto a quelli effettivamente da iscrivere, con una differenza negativa di 866 milioni e 903 mila euro. Per la Conte dei conti, quindi, si ritiene che le argomentazioni adottate dalla Regione “non siano sufficienti a superare il problema dell’efficacia non retroattiva della legge”.

L’assessore Marco Falcone, però, non si arrende all’evidenza e cerca una sponda nel governo Meloni: “Non ci sentiamo obbligati ad accantonare 866 milioni, il pronunciamento della Corte dei Conti non è paralizzante. Da lunedì ci confronteremo col governo Meloni, con il Mef e con il Parlamento a cui chiederemo una norma interpretativa che dia ragione alla Regione siciliana, facendo venire meno il motivo del contendere davanti alla Corte Costituzionale”. Anche il giudizio di Schifani è netto: “Pur non condividendo tale iniziativa che, a onor del vero, avrebbe potuto essere portata avanti un anno fa e non lo è stata, ci attiveremo perché il Governo e il Parlamento nazionali possano confermare tale facoltà. Riguardo alle altre partite che sono state contestate, le valuteremo per apportare i dovuti correttivi”.