Una vera politica “umanistica” deve avere al centro i bimbi.

Di Nicola Morra. Una vera politica “umanistica” deve avere al centro i bimbi.
Si, avete capito bene, i bimbi, i bambini.
La loro purezza, la loro “ingenuità”, la loro curiosità devono essere i fari dell’azione di chi voglia provare a cambiare il sistema.
Costruire città a misura di bambino, strutturare il mondo della produzione e dello scambio per soddisfare obiettivi, bisogni e tempi di chi ancora non è adulto: questa sarebbe la vera rivoluzione che riporterebbe la politica verso le persone, i diritti, il sogno.

Poi, certo, c’è chi decide di adeguarsi, accetta di fare accordi, preferisce cambiare se stesso per non cambiare il mondo. E sicuramente soffre di meno, perché chi si accontenta gode (così così canterebbe Ligabue).
Ma ce lo immaginiamo un mondo in cui ciò che ora spendiamo per armi e guerre venga speso per sconfiggere la miseria, la fame, le malattie? Ce lo immaginiamo un mondo in cui non si debba morire sul lavoro e di lavoro, non si debba accettare un qualsiasi lavoro per un reddito che garantisca il desiderio di profitto del padrone del vapore, ed invece si lavori per fare ciò che piace, retribuendo dignitosamente tutte le competenze, tutti gli sforzi, rispettando la dignità dell’essere umano?

Si può pensare che questo sia infantilismo, utopia puerile. Io ricordo, tuttavia, che nell’Olivetti che ci ha invidiato il mondo intero fino agli anni ’90 perché conseguiva risultati che la ponevano all’avanguardia dell’elettronica e dell’informatica a livello mondiale, per volontà di Adriano Olivetti – non un burocrate messo lì per meriti partitocratici o di altra natura – lavoravano, udite udite, critici letterari, umanisti e poeti.
Giudici, Fortini, Volponi, Sinisgalli, Pampaloni… dagli anni ’40 fino agli anni ’80 poeti, letterati e scrittori di rilievo della letteratura contemporanea hanno lavorato nella fabbrica di Ivrea ricoprendo ruoli diversi, anche di grande responsabilità, dimostrando che il mercato, o meglio il dio mercato, è un finto mito, e che si può vivere, produrre e coltivare la propria umanità senza inseguire parossisticamente la quotazione a Wall Street.

Quando poi quel modello è stato sostituito dal produttivismo finalizzato unicamente al profitto, Olivetti azienda ha perso la partita anche a livello economico. Ma Olivetti Adriano ha vinto!