Di Matteo: ”Da Graviano e Baiardo un ricatto a Berlusconi che può coinvolgere il Governo”

Di Matteo: ”Da Graviano e Baiardo un ricatto a Berlusconi che può coinvolgere il Governo”

Giorgio Bongiovanni08 Marzo 2023

A Roma presentato “Il patto sporco e il silenzio”, scritto con Lodato. Intervenuti anche Ranucci, Purgatori, Resta e gli attori Zingaretti e Savino

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Un evento contro “nascondimenti” e “mistificazioni” dei fatti. Un evento per abbattere il “muro di gomma del silenzio”. E’ con questo spirito che ieri, al Teatro Garbatella di Roma, si è tenuta la presentazione dei libri “Il patto sporco e il silenzio” (ed. Chiarelettere), scritto a quattro mani dal sostituto procuratore nazionale antimafia Nino Di Matteo e dal giornalista Saverio Lodato.
Assieme ai due autori sono intervenuti i giornalisti Sigfrido Ranucci (conduttore di Report, su Rai 3, e autore con Nicola Biondo del libro “Il Patto”) e Andrea Purgatori (conduttore di Atlantide, su La7). Ad intervallare gli interventi, moderati dalla giornalista televisiva Silvia Resta, le letture di due grandissimi attori come Lunetta Savinoe Luca Zingaretti, e gli interventi musicali del sassofonista Nicola Alesiniper uno spettacolo che ha fatto registrare il pienone.

“Qui è presente uno spaccato bello della nostra società – ha affermato proprio Silvia Resta presentando gli ospiti – c’è la magistratura che non si inginocchia davanti ai potenti, il giornalismo, quello buono che cerca la verità per raccontarla ai cittadini”.
Questa sera, ha continuato, “qui non c’è soltanto la presentazione di un libro” ma“è un momento di incontro e di dibattito e di resistenza civile”. Resistenza a cosa?
“All’omertà di stato, quel silenzio che è calato sul tema della Trattativa Stato – Mafia, su quel patto incestuoso che è avvenuto nei primi anni ’90”. Un patto portato a battesimo con le bombe del biennio stragista.
Un ruolo chiave, ovviamente, lo ha l’informazione. Un tema su cui si è concentrato proprio Nino Di Matteo nel suo intervento, evidenziando l’importanza del giornalismo d’inchiesta“che aiuta la democrazia, forma le coscienze dei cittadini, previene la corruzione, smaschera le collusioni e le deviazioni istituzionali”.

Di Matteo ha dunque evidenziato i punti salienti delle motivazioni della sentenza d’appello del processo trattativa Stato-mafia, che ha condannato i mafiosi ed assolto, a differenza del primo grado, gli uomini dello Stato. Un processo che ha accertato fatti importanti i quali“disegnano un contesto da far tremare i polsi”.
“Nella sentenza
– ha ricordato il magistrato – c’è scritto che venne instaurato un dialogo a distanza con l’ala moderata di Cosa nostra per cercare di contrastare la fazione degli ‘irriducibili’. Nella sentenza si legge che questo fu il frutto di un tentativo di allearsi con un nemico per sconfiggerne uno più pericoloso. Io penso che prima ancora che giuridicamente, non ritengo eticamente accettabile tutto ciò: allearsi con un nemico, Bernardo Provenzano, per sconfiggerne uno più pericoloso”. Di Matteo ha quindi messo in fila i fatti accertati nel processo a cominciare dal dialogo che gli alti ufficiali dei carabinieri intrapresero con Vito Ciancimino, fino ad arrivare alla mancata perquisizione del covo di Riina, in via Bernini, o il mancato blitz a Mezzojuso.

Successivamente ha fatto riferimento al recente arresto di Matteo Messina Denaro: “Non si può pensare che le coperture alla latitanza di Messina Denaro siano state fornite solo da familiari o da qualche medico o infermiere compiacente. È un tema che va assolutamente approfondito anche in relazione ai tanti comportamenti sorprendenti di Matteo Messina Denaro degli ultimi anni, che si possono spiegare a mio avviso solo con un’alternativa: o lui contava e confidava su un livello di protezione talmente alto da indurlo a pensare che nessuno lo poteva arrestare oppure si è fatto arrestare”. “Credo – ha aggiunto – che sia molto importante capire quello che è successo e non qualificare questi dubbi come frutto del solito complottismo, perché fantasie complottiste erano state definite anche quelle relative alle vicende della mancata perquisizione del covo di Riina e della latitanza di Provenzano. Fantasie complottiste che oggi sono riconosciute come provate in una sentenza della Corte d’Appello”.
Il Governo sotto ricatto?

Di Matteo, ha anche sottolineato quelle dichiarazioni che Salvatore Baiardo, noto favoreggiatore dei fratelli Graviano, ha rilasciato in diretta televisiva qualche mese fa. “Io credo che l’errore più grande sarebbe quello di minimizzare e archiviare la questione come frutto di un millantatore– ha ribadito – Io credo che invece oggi alla luce di quanto avvenuto e delle oggettive anomalie dell’arresto è ancora più necessario approfondire la questione. Anche perché non è pensabile che Baiardo abbia fatto quelle dichiarazioni senza ottenere quantomeno il preventivo consenso dei fratelli Graviano. E anche perché proprio alla luce di questa considerazione quelle dichiarazioni assumono il significato di un segnale di ricatto lanciato allo Stato. Perché se consideriamo quello che è avvenuto negli ultimi anni dobbiamo dire che è da tempo ormai che prima Giuseppe Graviano in persona, con le dichiarazioni rivelate nel processo di Reggio Calabria, e ora indirettamente Baiardo fanno intendere di potere rivelare e anche di dimostrare qualcosa di molto grave e preciso sui loro rapporti con l’onorevole Berlusconi”.

“Questo – ha proseguito Di Matteo – è un vero e proprio ricatto, nemmeno troppo celato. È ancora più preoccupante, perché Berlusconi è parte importante della maggioranza di governo e quindi il ricatto nei suoi confronti rischia di coinvolgere il Governo. Ma d’altra parte, anche se il Paese non lo deve ricordare, non possiamo dimenticare quanto emerge dalla sentenza definitiva di condanna di Marcello Dell’Utri a proposito dei risalenti e molto duraturi rapporti di Silvio Berlusconi con le allora più potenti famiglie mafiose di Cosa nostra. Quei fatti rappresentano una spada di Damocle sulla testa di un importante esponente politico, di un leader di una fazione politica, ma è una spada di Damocle che la politica tutta preferisce ignorare”.
Infine Di Matteo ha parlato di un altro argomento d’attualità come le continue riforme della giustizia proposte dagli ultimi due governi: “La riforma Cartabia e le riforme preannunciate dal ministro Nordio vanno nella stessa direzione, che non è quella di rendere più veloce la giustizia, ma è quella di renderla sempre più debole e con le armi spuntate nei confronti delle manifestazioni criminali tipiche dei colletti bianchi. La riforma Cartabia ha aperto il varco: le riforme di Nordio darebbero la spallata finale al sistema, con grave pregiudizio non solo per le vittime dei reati, ma per tutti i cittadini che ancora si aspettano verità e giustizia dalla magistratura”.

“Ministro Cartabia e ministro Nordio. Governo Draghi e Governo Meloni. Per me si muovono nella stessa direzione – ha detto Di Matteo – E la direzione è quella di ridimensionare l’indipendenza della magistratura per potere controllare direttamente o indirettamente il suo operato. Un sistema di potere che ha la grave responsabilità di non applicare i principi costituzionali, oggi intende blindarsi, vuole essere affrancato ora e in futuro da ogni possibile controllo della magistratura e magari anche dei giornalisti d’inchiesta. Vuole una magistratura collaterale, debole con i forti, asservita e governata dalle stesse logiche e dinamiche opportunistiche del potere politico ed economico”. Quindi ha concluso: “La riforma Cartabia e le riforme che il nuovo governo ha in cantiere disegnano una magistratura dominata dal carrierismo, dall’attenzione soltanto ai numeri e alle statistiche, da un atteggiamento burocratico che la tenga lontana dalle grandi inchieste sulla criminalità del potere. Una magistratura che si lasci definitivamente alle spalle la stagione delle grandi inchieste su mafia e politica, la stagione dei maxi processi, delle indagini sulle stragi e sui mandanti delle stragi. Io credo che opporsi con tutte le nostre forze a questa vera e propria restaurazione costituisca per noi un dovere e una battaglia di libertà e democrazia”.

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