Matteo Messina Denaro e l’ “impronta digitale” ignorata

Che di Matteo Messina Denaro prima del suo arresto non si avevano neppure le impronte digitali è un fatto noto.

Eppure, “U Siccu”, un’impronta l’aveva lasciata. Un’impronta inconfondibile.

I PIZZINI

Per anni si è discusso sulla paternità dei pizzini inviati dal latitante all’ex sindaco di Castelvetrano Antonio Vaccarino, anche sulla base di una perizia calligrafica che escludeva l’ipotesi che a scrivere a Vaccarino usando il nickname Alessio, fosse l’ex primula rossa castelvetranese.

Vaccarino, agendo in accordo con il Sisde di Mario Mori, era riuscito ad avviare una corrispondenza con Messina Denaro, il quale all’ex sindaco aveva dato lo pseudonimo di Svetonio.

Pizzino inviato nell’ottobre 2004 a Vaccarino-Svetonio

A seguito dell’arresto di Bernardo Provenzano e al rinvenimento di pizzini attribuiti al latitante, si scoprì l’operazione avviata dal Sisde con l’ex sindaco.

Una vicenda che per tanti anni è stata avvolta in un alone di mistero, con parecchie zone grigie, proprio a partire dallo scambio epistolare tra Alessio e Svetonio.

Se non era Matteo Messina Denaro – così come risultava dalla perizia calligrafica voluta dalla Procura e redatta dalla nota calligrafa Susanna Contessini – chi scriveva a Vaccarino?

Matteo Messina Denaro

L’ipotesi di un amanuense che scrivesse per conto del latitante, aveva una certa logica, anche in virtù della perizia calligrafica, se non fosse che proprio da questo dato oggettivo di base, si fosse data la stura a leggende metropolitane come quella mandata in onda durante un servizio di Report, nel corso della quale un anonimo “testimone” ha raccontato di un ufficiale dei carabinieri che lavorava in banca sotto copertura – un uomo dei famigerati Servizi Segreti, meglio ancora se deviati – che scriveva le lettere di Matteo Messina Denaro.

Un gioco sporco condotto dal Sisde – non si sa per quale ragione – avvalorato dalle conclusioni della Contessini?

Una perizia grafica dall’esito negativo, doveva essere il frutto della comparazione di vecchi scritti di Diabolik – altro nomignolo affibbiato al latitante – con quelli più recenti, che portavano ad escludere che l’autore degli scritti fosse il boss di “cosa nostra”.

Il valore probatorio di una perizia grafica sappiamo bene che di recente la Suprema Corte lo ha ridimensionato a mero indizio, ma all’epoca dei fatti la realtà era ben diversa e i magistrati tenevano in considerazione le valutazione dei grafologi, tanto più se si trattava di professionisti di fama, come nel caso della Contessini.

L’IMPRONTA

Nacquero così favole e misteri fondati quasi sul nulla, a differenza dei misteri – e non favole – che andrebbero chiariti a seguito della recente perizia redatta dalla criminalista Katia Sartori su incarico della moglie dell’ex sindaco, che non si sofferma a una generica analisi della scrittura.

Nelle 237 pagine redatte dalla Sartori, c’è infatti quell’impronta digitale di Matteo Messina Denaro che da sempre mancava negli schedari di polizia.

Antonio Vaccarino

Agli elementi grafici comuni a tutti i cinque diversi documenti inviati da Matteo Messina Denaro (alla sorella Rosalia, ad Antonio Vaccarino e ai Lo Piccolo) analizzati dalla criminalista esperta in scienze forensi, si aggiungono quei contrassegni particolari riscontrati analogamente in tutti i documenti analizzati, che sono caratteristici dei singoli individui riconducibili ad un particolare soggetto e solo allo stesso riferibili.

Se la perizia voluta dalla Procura – così come possiamo ipotizzare  – è stata frutto della comparazione dei pizzini con vecchi scritti di Diabolik, è assai probabile che tale comparazione sia avvenuta anche per la corrispondenza tra Svetonio e Alessio con la lettera di addio che Matteo Messina Denaro aveva scritto trenta anni fa all’allora sua fidanzata.

Una lettera nella quale sono presenti connotati personali e contrassegni particolari, riscontrabili negli scritti tra Svetonio e Alessio, nonché in quelli inviati dal Messina Denaro ai Lo Piccolo, e in epoca più recente alla sorella Rosalia Messina Denaro.

Mentre la forma grafica può essere soggetta a letture diverse, a volte anche a causa del tempo trascorso tra gli scritti oggetto d’esame, i contrassegni particolari – così tanto evidenti –  appartengono “ad un particolare soggetto e solo allo stesso riferibili”, come fossero quasi  l’impronta digitale dello scrivente.

Nel riquadro in rosso una frase tratta dall’ultima lettera di Matteo Messina Denaro ad Antonio Vaccarino. In quello in azzurro, tre frasi della lettera che Matteo Messina Denaro scriveva alla sua fidanzata 30 anni fa. Da notare la Q scritta al contrario, riscontrata in entrambe le lettere, così come in quella inviata alla sorella Rosalia. Non si tratta del solo particolare presente nei due scritti

Quella “impronta digitale” che se analizzata nella perizia redatta dal  Consulente Tecnico d’Ufficio della Procura, avrebbe impedito il nascere delle leggende metropolitane, indirizzando in maniera corretta le indagini condotte a suo tempo.

Una “impronta digitale” sulla scena di un delitto, sfuggita all’occhio attento di un esperto?

Se di questo si tratta, tra una madornale cantonata e l’altra, si distruggono le attività investigative e la vita delle persone, permettendo la nascita di fantomatici testimoni mediatici il cui ruolo è da capire e approfondire.

Si troverà anche in questo caso un giudice a Berlino?

SVETONIO

Perché Matteo Messina Denaro ribattezza Vaccarino con il nome di Svetonio?

Una domanda che ha dato luogo a più interpretazioni, spesso adombrando anche le attività condotte da Mori e De Donno con il Sisde.

Vaccarino, nel corso di uno dei nostri incontri, ebbe a dirmi che “Matteo Messina Denaro aveva conseguito stancamente la licenza di scuola media e, iniziata la frequenza del primo anno di Istituto Tecnico, aveva abbandonato gli studi perché non era interessato ad ‘acculturarsi’.    Ebbene, con un tale pedigree scolastico, sceglie (lui?)   l’autore latino di ‘De viris illustribus, Svetonio!”

Nessuno riconosceva a ‘U Siccu, la cultura ed i riferimenti ideologici riscontrabili negli scritti inviati a Svetonio-Vaccarino, ben diversi da quelli il cui destinatario era Bernardo Provenzano.

Quella presunta mancanza di cultura, aveva tratto in inganno tutti, lasciandoci ipotizzare un suggeritore occulto dei suoi scritti.

Se questo da un canto poteva facilmente portare gli inquirenti a valutazioni errate, dall’altro canto poteva essere sconfessato da un corretto esame grafologico.

Oggi sappiamo che Diabolik amava le citazioni latine e che nei suoi covi sono stati trovati libri di filosofia e di storia, ma anche su temi attuali, come “La stanza numero 30. Cronache di una vita”, di Ilda Boccassini.

Un uomo maturo ben diverso dal giovane studente che Vaccarino aveva conosciuto.

Trent’anni di latitanza, in parte dedicati anche a buone letture, avranno certamente contribuito all’accrescimento culturale del boss castelvetranese.

Lettera a Rosalia

Dopo aver letto la lettera inviata alla sorella Rosalia, scopriamo che anche i riferimenti ideologici sono gli stessi di quella corrispondenza epistolare con Svetonio.

Svetonio, lo pseudonimo dato a Vaccarino, era dunque opera di Matteo Messina Denaro senza bisogno che questi avesse altri suggeritori?

Su questo punto, le opinioni si dividono tra chi vuole l’ex latitante unico attore in scena e chi ritiene ci sia stato un suggerimento esterno.

Gli scenari cambiano notevolmente.

Un dato che appare certo, quello che l’operazione Svetonio-Alessio si arenò inspiegabilmente.

Vaccarino-Svetonio sapeva che altri nomi in codice venivano utilizzati da operativi di vari Dipartimentima certamente sul suo “battesimo” da parte di Alessio, non vedeva coinvolti Mori e De Donno.

Una vicenda che andremo ad approfondire…

Rimangono senza risposta le domande su come fu possibile escludere che gli scritti a Vaccarino avrebbero potuto essere opera grafica di Matteo Messina Denaro; e inoltre, chi era l’uomo intervistato da Report che raccontò di un fantomatico carabiniere-bancario-007?

Gian J. Morici