Messina denaro e Giuseppe di Matteo

Matteo Messina Denaro nega l’omicidio di Giuseppe Di Matteo? E’ come quel politico che diceva che gli avevano acquistato casa a sua insaputa”. L’intervento di Pippo Giordano.

Pippo Giordano

Pippo Giordano, ex ispettore della Dia Direzione investigativa antimafia, memoria storica della lotta alla mafia, già a lavoro alla Squadra Mobile di Palermo con Ninni Cassarà, Beppe Montana, Roberto Antiochia, Lillo Zucchetto e Natale Mondo, cacciatore per decenni dei superlatitanti, e che ha conosciuto Chinnici, Falcone e Borsellino, interviene a seguito di quanto Matteo Messina Denaro avrebbe ritenuto opportuno precisare innanzi al giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Palermo, Alfredo Montalto, che lo ha interrogato. Ovvero: “Non ho ordinato io di uccidere il piccolo Giuseppe Di Matteo. Io non lo avrei ucciso”. Pippo Giordano commenta ironico: “Ma davvero nega? Mi sembra come quel politico che diceva che gli avevano acquistato casa a sua insaputa”. Giordano si riferirebbe all’ex ministro dell’Interno, Claudio Scajola, e al noto caso dell’appartamento a Roma con vista sul Colosseo. Poi, lui, Giordano, che è stato componente dell’apposita squadra inviata da Roma in Sicilia dall’ex capo della Polizia, Gianni De Gennaro, per indagare sul sequestro di Giuseppe Di Matteo, racconta: “Sì, è vero che Matteo Messina Denaro non ha dato l’ultimo ordine, quello di ammazzarlo e farne sparire il cadavere sciogliendolo nell’acido. E’ stato Giovanni Brusca a telefonare a Giuseppe Monticciolo dicendogli di liberarsi del ‘canuzzu’. Ad eseguire l’ordine furono lui, Enzo Brusca e Vincenzo Chiodo. Tra l’altro Enzo era in disaccordo sull’omicidio perché al bambino si era affezionato. Purtroppo non contava abbastanza per far cambiare idea a Cosa Nostra. La decisione di ucciderlo è scaturita dall’arresto di Antonino Gioè e di Gioacchino La Barbera. Gioè si suicidò in carcere. La Barbera e Santino Di Matteo, padre di Giuseppe, decisero di pentirsi e vennero da noi alla Dia di Roma. A quel punto in una riunione a Misilmeri, con Leoluca Bagarella, Matteo Messina Denaro, Giuseppe Graviano e Giovanni Brusca, si decise di dare un segnale forte nei confronti dei pentiti. Il padre di Gioacchino La Barbera fu impiccato e cercarono di farlo passare per un suicidio. Nell’occasione quando lui li vide entrare nella sua stalla gli disse: ‘So bene cosa siete venuti a fare. Fatelo in fretta’. E si fece mettere la corda al collo senza resistenza. Per Di Matteo decisero invece il sequestro del bambino. E fin dall’inizio avevano deciso di ucciderlo. Va inoltre ricordato che almeno per un periodo il bambino fu tenuto prigioniero nel territorio di Messina Denaro. E non è possibile che lui non sapesse nulla. Brusca raccontò che si rivolse a Messina Denaro per avere una casa dove tenerlo prigioniero. Se ben ricordo, lo portarono prima a Tre Fontane, poi a Lascari, a Ganci, a Castellammare del Golfo e a Campobello di Mazara. Poi finì nei pressi di San Giuseppe Jato. Sapevano benissimo che l’avrebbero ucciso. E poi le decisioni dei mafiosi sono in alcuni casi collettive. Se si deve colpire un personaggio importante ci deve essere l’ok della Commissione provinciale. Dal punto di vista investigativo poi a noi non cambia niente. Nel corso del processo è la magistratura che distingue le responsabilità. Se potessi chiederei a Matteo Messina Denaro perché nega l’omicidio di Giuseppe Di Matteo, mentre ha organizzato l’attentato di via dei Georgofili a Firenze dove due bambine sono morte. E poi è una boiata che la mafia si faccia scrupoli con donne e bambini. Tutte le mafie hanno ucciso bambini. Chi li ha contati dice che ne sono morti 108. A Francesco Marino Mannoia uccisero padre, fratello, madre, zia e sorella. Di cosa parliamo? I componenti di Cosa Nostra sono un agglomerato di menti bacate”.

Teleacras Angelo Ruoppolo