“Mafia”, ieri, oggi e domani

“Il problema civile della latitanza indisturbata di Messina Denaro a Campobello di Mazara, la mafia prima collusa e poi contro lo Stato, i collaboratori, le prospettive”: l’intervento del Procuratore De Lucia.

“Non di tutta l’erba un fascio, tuttavia…”: il procuratore di Palermo, Maurizio De Lucia, si è ancora una volta riferito a Campobello di Mazara, rivelatasi città adottiva e roccaforte di Matteo Messina Denaro fino all’arresto, lo scorso 16 gennaio. E ha spiegato: “Ci sono due livelli: quello di chi ha contribuito alla latitanza di Matteo Messina Denaro e quello dei tanti che non possono non avere visto uno che stava a Campobello di Mazara da anni. Noi magistrati perseguiamo chi lo ha aiutato, non possiamo certo perseguire un paese che ha fatto finita di non vedere. Ciò non toglie che questo sia un enorme problema civile”. E poi il numero uno della magistratura inquirente palermitana, cogliendo l’occasione di intervenire in una scuola a Cinisi per i 45 anni dall’omicidio di Peppino Impastato, ha aggiunto: “Le relazioni che esistono tra il mondo dello Stato e quello delle mafie sono complesse da sempre. Soprattutto negli anni di Peppino Impastato c’era una sorta di scambio sommerso tra le due parti. E quei rapporti, assolutamente irrilevanti penalmente, a volte rischiavano di tradursi in favori per la mafia. Ma le cose cambiano quando le indagini contro la mafia le fanno i magistrati come Chinnici e Falcone. E allora i confidenti che facevano fare le carriere ma non i processi diventano collaboratori di giustizia. E lì cambia il mondo perché c’è un testimone che guarda in faccia la mafia in un’aula di giustizia e racconta quel che sa davanti a un giudice. E allora il rapporto non è più tra carabiniere o poliziotto e il confidente, ma c’è la gestione dei magistrati che consente processi e condanne”. Poi Maurizio De Lucia ha ancora aggiunto in prospettiva: “La cattura di Messina Denaro è un punto ma non segna la fine, piuttosto un inizio. Certamente è un evento che doveva accadere perché non era tollerabile che si pensasse che esistono impunità lunghe decenni. Premessa l’importanza della cattura di Messina Denaro, è bene precisare che in questi 30 anni non è che non sia stato fatto nulla: i boss, soprattutto corleonesi, sono stati arrestati e condannati. E certamente è stata indebolita l’ala militare dell’organizzazione mafiosa che comunque indirettamente dà forza alla cosiddetta alta mafia che non esiste senza la violenza”. Poi il procuratore della Repubblica ha approfondito il concetto legato al termine tra i più alla ribalta dopo l’arresto di Messina Denaro, ovvero la “borghesia mafiosa”. E ha sottolineato: “E’ quella parte della società cresciuta in un rapporto insano con la mafia e abituata a risolvere i propri problemi rivolgendosi al boss con cui aveva un rapporto di mutuo riconoscimento. E’ una cosa che accade pure ora che il mafioso è in difficoltà. E questa ricerca del dialogo, di fatto, rafforza la mafia. La mafia oggi è in una situazione complicata. Il modo di ragionare dei mafiosi che intercettiamo è uguale a quello degli anni ’80. Una serie di ‘regole’ permangono e questo fa sì che Cosa nostra non diventi una struttura ‘orizzontale’ come la camorra. La mafia conserva la sua inclinazione a cercare il dialogo con certi soggetti come la politica, ma per dialogare devi avere un vertice. Ora, però, la struttura monocratica è difficile da ricostruire sia perché c’è un’attività repressiva intelligente, sia perché Cosa nostra rispetto agli anni d’oro dei traffici di droga è più povera. I clan hanno capito che per tornare forti serve la potenza economica: da qui il ripristino dei canali di traffico degli stupefacenti attraverso le ‘ndrine calabresi. Per avere relazioni politiche devi presentarti con la pistola e con tanti soldi, e l’unica cosa che consente di avere guadagni importanti e immediati è la droga”.

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