“Lei non lo sa ancora, ma da noi si può dire che nevica fuoco, come sulle città maledette della Bibbia; in ognuno di quei mesi se un Siciliano lavorasse sul serio spenderebbe l’energia che dovrebbe essere sufficiente per tre; e poi l’acqua che non c’è o che bisogna trasportare da tanto lontano che ogni sua goccia è pagata da una goccia di sudore; e dopo ancora, le pioggie, sempre tempestose che fanno impazzire i torrenti asciutti, che annegano bestie e uomini proprio lì dove una settimana prima le une e gli altri crepavano di sete. Questa violenza del paesaggio, questa crudeltà del clima, questa tensione continua di ogni aspetto, questi monumenti, anche del passato, magnifici ma incomprensibili perché non edificati da noi e che ci stanno intorno come bellissimi fantasmi muti; tutti questi governi, sbarcati in armi da chissà dove, subito serviti, presto detestati e sempre incompresi, che si sono espressi soltanto con opere d’arte per noi enigmatiche e con concretissimi esattori d’imposte spese poi altrove; tutte queste cose hanno formato il carattere nostro che rimane così condizionato da fatalità esteriori oltre che da una terrificante insularità di animo”.
Giuseppe Tomasi di Lampedusa, #IlGattopardo, 1958.
Aldo Capitano , scrive:
Uno scritto che magnificamente descrive l’essere Sicilia e l’essere siciliano. Terra bruciata dal sole. E siciliani bruciati dal sole e dal vento caldo.
I siciliani asfissiati da un progresso lento. E riescono a convivere con la lentezza di uno sviluppo che avviene a passo d’elefante..ogni passo si raggiungono venti o trenta o quarant’anni di conquiste che lasciano sempre indietro i siciliani di trenta o 40 anni col resto del mondo progredito.
Ed il testo “ il gattopardo” è tutt’ora e a tutt’oggi attuale … e Tomasi di Lampedusa ha compreso bene la sicilianita’ e la sicilitudine.