Se lo stalker è un avvocato che intenta cause pretestuose

Se l’avvocato intenta cause giudiziarie, civile e penali (che risulteranno infondate) non per esercitare un suo diritto ma al solo scopo di creare un danno ai destinatari, commette il reato di stalking. Così la Cassazione che l’8 settembre ha depositato una sentenza nei confronti di un legale che era stato condannato a due anni di reclusione dal giudice di merito. Contro quel verdetto aveva fatto ricorso  da un lato l’avvocato-imputato, dall’altro, insieme al procuratore generale, anche alcune persone offese nei confronti delle quali lo stesso imputato era stato assolto con motivazioni che la Suprema Corte ha rimesso in discussione. 

Nel respingere il ricorso dell’imputato contro la condanna i giudici di legittimità hanno invece accolto quelli delle parti civili e del pg rinviando gli atti per un nuovo processo di merito. 

La vicenda affonda le radici su due capisaldi: la mancata presentazione di un certificato medico che attestasse i danni psicologici procurati nella parte offesa dai comportamenti persecutori e l’esclusione di alcune persone quali vittime del reato di stalking. 

Su quest’ultimo punto la Cassazione ritiene il reato provato dal momento che i fatti si riferivano a un gruppo di persone che facevano parte della stessa famiglia e anche della stessa azienda: «La Corte d’appello ha trascurato gli altri componenti della famiglia destinatari di iniziative giudiziarie sia personalmente sia in qualità di membri della società, per tacere di motteggi ed epiteti offensivi adoperati in molti atti concernenti le cause intentate». 

In sostanza, il principio sottolineato dalla Suprema Corte è che commette il reato di stalking (giudiziario) l’avvocato che perseguita i clienti con azioni civili per il pagamento di parcelle e denunce penali infondate. Il disvalore della condotta è maggiore perché proviene da un avvocato che, proprio in virtù della sua professione, è consapevole dell’effetto che l’abuso del processo determina sulla vita delle persone. 

Nel caso specifico l’accusa era la seguente: con condotte reiterate, consistenti nel ricorso sistematico e strumentale a incessanti e infondate azioni giudiziarie, proposte sia in sede civilistica che penalistica, l’imputato arrecava molestia alle parti offese costringendole a modificare le loro abitudini di vita, esponendole a continue spese processuali e a gravi ricadute sul piano dell’immagine personale e professionale.

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