La Sat, la squadra Antitratta

La mafia nigeriana, la mafia africana, tutti ne parlano, pochi hanno un’idea chiara di quali siano i contorni reali del fenomeno, le ramificazioni, le violenze brutali, il grado di penetrazione. È solo un altro gioco delle contrapposizioni tra bianchi e neri, uno scontro politico a uso e consumo dei telegiornali. Un mercato fatto di domanda e offerta in cui i neri vendono servizi (droga, puttane, carte di credito, organi, qualsiasi cosa) e i bianchi comprano, e cercano sempre un prezzo migliore. Tutto qua. Poi tutti al bar, a insultare gli stranieri, che sono tanti, troppi, sporcano. Prima di tornare a casa, a farsi l’ennesima striscia di coca.
Il commissario Lotito ripensa alle tante conversazioni che sta avendo con un giornalista di giù, Antonio. Si fidano l’uno dell’altro e confrontano i diversi materiali. Con le mafie tutti s’improvvisano esperti, pochi leggono le carte. Che sono troppe, complesse, piene di nomi astrusi e soprannomi. Una confusione perenne e sempre identica, che va avanti da decenni: dentro a centinaia di inchieste, tanti pezzi che nessuno riesce mai a mettere insieme. Sta dalle parti di Castel Volturno Antonio, e come Lotito cerca di stare dietro ai dettagli, di metterli insieme. A Castel Volturno, in provincia di Caserta, sono quarant’anni che il fenomeno dell’immigrazione è incontrollato. È una cosa che fa notizia solo ogni tanto, un po’ come quando allo zoo ci si ricorda di andare a vedere le belve feroci. Castel Volturno è una fascia costiera mangiata dal cemento e devastata oltre ogni limite. Migliaia di abitazioni che sarebbero solo da abbattere sono casa per migliaia di migranti che pagano l’affitto all’uomo bianco.
E l’economia in nero continua a girare, per milioni di euro, senza sosta, senza regole. Ma con codici prestabiliti e ferrei. I gruppi mafiosi africani si muovono tutti alla stessa maniera, da nord a sud. C’è un disegno generale che sfugge quasi a tutti. Solo in pochi riescono a seguire, da anni, troppi anni forse. I fenomeni non vanno giudicati, vanno studiati. Ma studiare è un verbo caduto in disuso. In Italia rendono meglio gli slogan, un supermercato di opinioni che nessuno ha chiesto mai.
Commissario, i colleghi della penitenziaria stanno portando qui la fonte. Tra mezz’ora dovrebbero arrivare.
CP si affaccia nella stanza di Fabrizio. Quando non usa il soprannome significa che la comunicazione è seria. O forse è solo un modo per mostrare rispetto verso il capo.
Va bene, avvisa la Suora e Wonder Woman che saranno loro a portarlo dentro.
Perché?
Un tiro di pipa. Affacciato alla porta ci sta Sherlock, all’anagrafe Claudio.
Perché, se so come ragiona il nostro commissario, vuole dargli una lezione e metterlo subito sotto pressione.
Claudio, il mago dell’analisi dei tabulati, una specializzazione che nelle indagini sulle mafie è essenziale. I nigeriani usano tante schede diverse: schede europee, schede africane, numeri clonati, di tutto e di più. I tabulati sono una mappa incomprensibile a molti, ma non a Sherlock, che si piega lì sopra ore e ore, con la sua pipa, a leggere i movimenti e gli spostamenti di tutti quelli che finiscono nel radar delle intercettazioni. [..]
Chiudo la porta?
No, lasciala aperta.
Fabrizio Lotito, commissario e capo della SAT di Torino, raramente chiude la porta del suo ufficio. Solo quando deve leggere le carte con attenzione. Ma di solito tutto è aperto per i suoi uomini. Si fida, li ha scelti lui, uno per uno. Il rimbombo dei passi nei corridoi è un suono che gli piace. Il rimbombo nei corridoi ampi, dove ogni rumore è amplificato. E dove, quando regna il silenzio, è un silenzio tombale. Sembra un carcere quel posto, anzi lo era. Era la loro promozione, il riconoscimento del lavoro svolto. Nuovi spazi, più grandi, comodi. Quelli del carcere “Le Nuove”, ormai dismesso e riadattato per farci gli uffici per diverse squadre investigative. La SAT, per meriti sul campo, per i risultati ottenuti, aveva ricevuto un’intera ala del vecchio edificio, e diverse stanze. Una porta blindata, grigia e pesante, a dividerli da tutte  le altre unità presenti nel vecchio carcere. Una storia già vista e sentita in Italia. Per fare il tuo lavoro contro la criminalità organizzata te ne vai nelle patrie galere. Questa volta, almeno, avevano risistemato la struttura. Ma tutto era rimasto essenziale. Porte blindate, armadi grigi di ferro per contenere i fascicoli, sedie blu da ufficio, scrivanie marroni, pareti dipinte di beige piene di riconoscimenti, articoli di giornale, crest di altre forze di polizia, il simbolo della SAT un po’ ovunque, nei corridoi e nelle stanze operative. Avevano lottato per quella squadra. Ma all’inizio era solo una squadretta. Anzi la squadretta. E il commissario Lotito, nei locali della Procura, era solo “quello delle puttane”.
Vigili urbani non si usa più dagli anni Ottanta, ma per la gente siamo sempre i vigili, quelli delle multe. Anche gli spazzini hanno cambiato nome, come noi, ma a loro è riuscito il cambio culturale. A noi no. Spiegare, ogni volta, che siamo polizia locale è un bel casino. È frustrante vedere la faccia colma di sorpresa della gente, quando ci presentiamo, come se non potessimo fare questo lavoro, se non ne fossimo capaci. La realtà e le opinioni, il solito scontro.
Riggs si alza dalla sua sedia e si avvia per i corridoi degli uffici con questi pensieri nella testa. [..]
Negli anni Novanta, l’ex sottufficiale dei carabinieri, diventato poi vice comandante della Polizia Locale di Torino, aveva avuto l’intuizione di creare un nucleo di PG, polizia giudiziaria. Dodici uomini, la sua sporca dozzina. Microcriminalità, borseggi, prostituzione, piccolo spaccio i campi d’intervento dei primi uomini della PG di Torino.
Poi il gruppo si era diviso in due squadre di sei uomini: la prima squadra dedita al contrasto delle droghe, l’altra a quello della prostituzione. Lotito aveva sempre avuto un’inclinazione per il sociale, non era mai riuscito a mandare giù lo sfruttamento delle donne. Siamo alla metà anni Novanta, un pugno di uomini e una fiumana di donne sfruttate dell’Europa dell’Est sulle strade italiane. Una tratta delle bianche, migliaia di donne, una tratta dimenticata, ormai molto ridimensionata, una tratta di cui non si conoscono bene i contorni e forse, conoscerli, non interessa a molti. Sono solo le puttane dell’est, quelle che rubano i mari- ti delle italiane, quelle che non vogliono lavorare. Solita storia, cambia solo il colore della pelle. Donne, sfruttate, di qualsiasi colore ed etnia o provenienza. Solo merce per soddisfare le voglie predatorie degli uomini.
Riggs ne ha fatta di strada, letteralmente. Ogni notte in servizio nelle strade della città, da quelle più desolate a quelle più trafficate. Strade su strade, ogni volta, a cercare di contrastare il mercato della carne umana. E non tutte le donne che ha incontrato sono riuscite a uscirne. Alcune sono morte ammazzate di botte, o sparate. Il ricordo di Karen lo affligge. Alle pareti dell’ufficio del capo della SAT c’è una foto con il giudice Caselli che lo prende sottobraccio sorridente.
Bisogna essere specializzati, solo così si può affrontare un problema e venirne a capo per davvero. Se non si è specializzati non si comprendono le evoluzioni dei fenomeni. Il giudice Caselli lo ripeteva sempre, e per Lotito era diventato come un passaggio della Bibbia, sacro e vero. È questo il motivo per cui il suo telefono squilla in continuazione. Tutti, ora, hanno bisogno della specializzazione della SAT.
Prima lui era “quello delle puttane”. Dopo anni a lavorare nel nucleo di PG, e dopo un cambio al vertice, aveva deciso di gettare la spugna. Di mollare tutto. La gente crede che le forze dell’ordine siano immutabili, e così la magistratura. Non è per niente vero. Dipende dalle persone, sono sempre e solo le persone che possono fare la differenza. Caselli e il suo vecchio comandante avevano dato un’impronta, una svolta. Gente pratica, operativa. Avevano capito come dare battaglia alla criminalità organizzata in città. I nuovi cambi, invece, lo avevano scoraggiato. Funzioni di potere affidate a incapaci, questa era la verità. Era il momento di farsi trasferire in Procura. Lì c’era un’altra persona di quelle che fanno la differenza, il vice pro- curatore Ausiello, che conosceva la caparbietà di Lotito.
Non possono metterla con un magistrato soltanto, sarebbe uno spreco, lei conosce troppe cose, conosce i meccanismi che animano la tratta, sa chi muove i fili.
Non posso rimanere dove sto, non c’è più spazio per me. Altrimenti me ne vado in pensione anticipata.
Lasci stare la pensione che m’impazzisce il giorno dopo. E se creassimo una squadra antitratta, con compiti specifici e forze specifiche, un pool di magistrati che si occupano di questo fenomeno in maniera continua?
Di quanti uomini stiamo parlando?
Cinque, compreso lei.
Pensavo cinque senza di me.
Il tono sarcastico gli era uscito quasi senza accorgersene.
E solo una stanza, per cominciare. Non posso fare molto di più. Ma credo che questa squadra sia necessaria e lei mi dovrà dimostrare che funziona che porta risultati, altrimenti si chiude subito.
Accetto, per me va bene, ma gli uomini li scelgo io.
Perché pensa di essere così bravo?
No, non penso di essere bravo, ma so di chi mi posso fidare, e voglio dei giovani, devo formarli io per questo incarico.
Ha carta bianca, ma gli uomini sono quattro, cinque con lei, e gli spazi una stanza. Un errore e si chiude, lo sa bene come funziona il nostro mondo. Inizi con questa squadretta e vediamo dove si va a finire.Così era nata la squadretta. Mal visti da polizia di Stato, Carabinieri e Finanza. Anzi, neanche visti, tanto erano troppo piccoli e troppo Polizia locale per riuscire a combinare qualcosa. Erano solo una squadretta.Non hanno sbagliato un’inchiesta, neanche una. La squadretta ha fatto miracoli e arresti. E ora è un gruppo di dieci uomini con degli uffici che stanno dentro un corridoio di un ex carcere. Ecco perché a Lotito piace ascoltare i passi dei suoi uomini, perché significa che hanno spazio. Molto spazio. Prima, nell’unica stanza che avevano a disposizione per lavorare, i passi non rimbombavano. Lotito si avvia verso le stanze dell’ascolto protetto.
Un piccolo orgoglio della squadra. Pareti dipinte di verde, colori rilassanti, frasi di autostima in inglese, immagini di paesi africani. Qui le donne vittime di sfruttamento vengono ascoltate, dopo essere state liberate. Un ambiente protetto, semplice, per far capire loro che non sono sole. Hanno fatto tutto da soli, le donne e gli uomini della SAT: pittura, quadri, soprammobili etnici, tutto per non far spaventare le donne che andavano lì a raccontare le atrocità subite. Ma non avevano potuto portarci Glory.
Era stata lei a dare inizio a tutto, un’operazione durata quattro anni, con quarantaquattro arresti e due cults, clan africani, smantellati. Glory Omorogbue, con l’aiuto di un’associazione, aveva denunciato le sue madame, madre e figlia: Omosigo e Faith. Aveva avuto il coraggio di ribellarsi e di denunciare. E quel fascicolo redatto in un commissariato era stato il primo affidato alla neo costituita SAT. Riggs ricordava ancora il tonfo delle carte sulla sua scrivania, in quell’unica stanza nella procura di Torino.
Vediamo di capirci qualcosa di più di questa denuncia.
Nessuno avrebbe immaginato che stavano per fronteggiare uno dei clan più agguerriti delle mafie africane.

(Estratto da Mafia Nigeriana. La prima indagine della squadra antitratta di Sergio Nazzaro, edizioni Città Nuova)

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