In quanti spararono? Non si sa nulla

Ma andiamo ad altre considerazioni che forse rappresentano la premessa per capire l’esatta dinamica dei fatti.
Lo sbarramento di una strada statale, per quanto di notte, al fine di tendere un agguato all’autovettura blindata sulla quale viaggiava l’Antoci di ritorno da Cesarò, sembrerebbe difficilmente praticabile in quanto avrebbe presupposto che non transitassero su quel tratto di strada altre autovetture, un elemento che lo stesso dottor Manganaro ammette indirettamente in sede di audizione:

DOTTOR DI MARCO, Consulente Commissione Antimafia: Tenuto conto che la strada era ostruita dai massi, lei può escludere, trattandosi di strada statale, che occasionalmente quella stessa strada venisse percorsa da altre autovetture prima di quella blindata?
MANGANARO: io non lo posso escludere…

Senza considerare che, consistendo lo sbarramento nella collocazione di massi lungo tutta la linea orizzontale della carreggiata, doveva essere predisposto con congruo anticipo rispetto al sopraggiungere dell’obiettivo. Il che rendeva ancor più complicato bloccare per un tempo prolungato e indefinito un’arteria stradale.  A meno che non si fosse istituito un posto di blocco in entrambe le direzioni per essere certi che altri veicoli non transitassero nello stesso momento. Ma di tale circostanza vi è la prova contraria tenuto conto che il Manganaro percorrendo la stessa strada raggiunse l’auto blindata senza trovare ostacoli.
Non risulta che siano stati misurati – almeno negli atti in possesso di questa Commissione – in volume i massi utilizzati per l’ostruzione in modo da verificare che costituissero effettivamente un ostacolo invalicabile da parte dell’auto blindata. Nel corso delle audizioni, peraltro, così come si è già avuto modo di porre in evidenza, non sono emerse indicazioni univoche sulle effettive dimensioni dei massi: sassi di piccole dimensioni per alcuni; grandi e pesanti per altri.
La circostanza inconfutabile del “buio pesto”, come ricostruita dai testimoni dinnanzi alla Procura, rendeva inoltre assai complicato individuare l’autovettura blindata bersaglio degli attentatori: come potevano essere certi che l’auto sopraggiunta fosse proprio quella dell’Antoci?
Sempre, in presenza di “buio pesto”, sarebbe stato opportuno spiegare con maggior incisività la circostanza relativa alla direzione dei tre colpi esplosi, in rapida successione, dagli attentatori con estrema precisione in una rosa circoscritta (i tre fori di entrata sono l’uno accanto all’altro).
In disparte, la considerazione che nessuna valutazione viene compiuta in ordine al fatto che la Polizia Scientifica non abbia potuto disporre delle armi degli operatori coinvolti nell’agguato e al mancato rinvenimento dei bossoli del fucile:
Di difficile spiegazione è la prima circostanza che avrebbe consentito di verificare con assoluta certezza la compatibilità fra il numero di colpi esplosi e le armi utilizzate.
Fortemente sospetta la seconda circostanza (se è verosimile, come ipotizza la Polizia Scientifica, che sia stata utilizzata un’arma semi-automatica) giacché se ne dovrebbe ricavare che è stato lo stesso sparatore a raccogliere i bossoli, circostanza difficilmente compatibile con le condizioni di “buio pesto”, al netto del poco plausibile ricorso ad un raccoglitore artigianale.
Su questo punto, riferiamo l’opinione del dottor Ceraolo:
AVV. CERAOLO: io mi attengo alla Polizia Scientifica che… fa riferimento in subordine ad un raccoglitore di bossoli che si può montare su un fucile, ma non si è verificato nella mia lunga esperienza di un attacco mafioso fatto con un raccoglitore di bossoli, che è una cosa piuttosto voluminosa che poi non gli avrebbe consentito di avere una fuga agevole. (…) Quando opera la mafia non bada alle armi, non ha problemi di garantirsi l’immunità nascondendo le armi, anzi le butta perché sono armi clandestine con la matricola brasa, perché durante la fuga possono avere un controllo, evitano di portarsi dietro l’arma, l’arma viene subito eliminata. Chi ha tolto i bossoli ha interesse se quella è un’arma regolarmente detenuta registrata e quindi non potevano lasciare i bossoli perché come sapete nel fucile il bossolo è l’unico elemento che consente di individuare il fucile. Nella pistola anche il proiettile perché la canna è rigata, ma nel fucile che è a canna liscia e non lascia segni sul proiettile è solo il bossolo che lascia un segno identificativo.

Insomma, entrambe le suddette circostanze avrebbero meritato maggior considerazione.
Infine, la polizia scientifica di Roma, quanto alla via di fuga dello sparatore o degli sparatori, ha precisato che “l’attraversamento della boscaglia lato Palermo… contempla uno svolgimento dell’azione di fuga in condizioni di luce molto scarse che non avrebbero reso affatto agevole il percorso senza l’utilizzo di idonei dispositivi di illuminazione”.
Veniamo, a questo punto, al decreto di archiviazione.
Ferme restando le valutazioni già espresse nei precedenti paragrafi in relazione al “movente” e alla “metodologia dell’agguato” (alle quali si rinvia), è utile qui soffermarsi su taluni aspetti emersi dalla lettura degli atti, dall’esame della documentazione di cui la Commissione ha disposto e dal contributo offerto dai soggetti auditi.
Primo quesito di assoluta rilevanza: per quale ragione il gip non ha ritenuto di soffermarsi sulla relazione della Polizia Scientifica di Roma (limitandosi semplicemente a un richiamo generico alle motivazioni della Procura che “appaiono pienamente condivisibili e devono intendersi in questa sede integralmente richiamate”)?

Il quesito non può avere risposte in questa sede. Tuttavia, è indubbio che tale scelta dispieghi effetti sull’intera ricostruzione del fatto. Nel decreto di archiviazione infatti si dà atto che l’auto di Antoci:
“…viene raggiunta – sulla fiancata sinistra, lato posteriore – da diversi colpi d’arma da fuoco, sparati da almeno due soggetti travisati”.

Dunque, stando alle conclusioni del gip:
il numero degli spari non viene quantificato (“diversi colpi d’arma da fuoco”);
al contrario, vengono quantificati – nonostante la relazione della Polizia Scientifica parli di un solo soggetto sparatore – il numero degli aggressori in “almeno due” (ciò avviene anche nella richiesta di archiviazione);
viene adoperata l’espressione “travisati” ma nessuno dei testimoni ha parlato di volti coperti.

Sempre nel citato provvedimento del gip si aggiunge che:
“Si trattava, a ben vedere, di un vero e proprio agguato, meticolosamente pianificato (non certamente casuale si poteva considerare l’orario notturno ed il luogo prescelto, una strada completamente deserta, in una sperduta località di montagna…)”.
A prescindere (per le ragioni finora esposte) da qualsivoglia considerazione sul “meticolosamente pianificato”, sorprende che il gip abbia fatto riferimento ad una “strada completamente deserta in una sperduta località di montagna” atteso che si tratta di strada statale e che il luogo dell’attentato è attiguo dal rifugio Casello Muto, presidiato da vigilanza armata (ove poi Manganaro, Santostefano e Antoci trovarono ricovero successivamente all’agguato).
Nessun approfondimento di indagine, inoltre, si è ritenuto opportuno sui tempi necessari per ostruire entrambe le carreggiate, sulle modalità di identificazione dell’autoveicolo di Antoci nonché sulle eventuali precauzioni adottate dagli attentatori al fine di scongiurare – così come effettivamente accaduto – il sopraggiungere di ulteriori autovetture.
Infine sorprende e non poco il fatto che il decreto non si occupi assolutamente del contrasto tra le dichiarazioni dell’allora vice questore aggiunto Ceraolo, da una parte, e quelle del dottor Manganaro e dell’assistente capo Granata, dall’altra, dal momento in cui il primo, addirittura, mette in dubbio l’autenticità dell’attentato: contrasto, si noti, che si verifica gravissimamente fra due ufficiali di polizia giudiziaria e non tra persone private informate sui fatti.

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