Il welfare di cosa nostra

IL DOCUMENTO DELLA DIA

In Sicilia, la crisi epidemica ha avuto finora quale effetto quello di attivare iniziali forme di malcontento e disagio sociale, che si sono manifestati, in alcuni casi, anche con azioni di una certa violenza.
Forme di protesta che hanno coinvolto sia la cittadinanza, in particolare quella di Palermo, in quelle aree già duramente provate da una situazione di forte disagio sociale e depressione economica, sia la popolazione carceraria, in sofferenza per il sovraffollamento.
È questo l’humus che Cosa nostra tende a sfruttare per confermare il suo radicamento sociale. Per questo motivo potrebbe in qualche modo, da una parte fomentare un clima di insofferenza, dall’altra fornire alla popolazione aggiornate forme di welfare.
Una strategia che opera su più livelli.
Il primo passa attraverso l’elargizione di “sussidi” alle famiglie più indigenti, al prestito di denaro, non necessariamente elargito a tassi usurari, nella prospettiva di maturare “crediti” da riscuotere in occasione delle future tornate elettorali.
Il secondo livello è più elevato. Cosa nostra, nonostante le numerose attività di polizia giudiziaria a suo carico, continua a mantenere il controllo di molte filiere produttive, a partire da quella della distribuzione alimentare, a quella turistico-alberghiera, dell’industria manifatturiera e del ciclo dei rifiuti. A queste attività si affiancano, poi, gli investimenti realizzati nel settore dei giochi e delle scommesse ed in quello immobiliare (anche attraverso il controllo delle aste giudiziarie), nei lavori connessi alla realizzazione degli impianti di energia da fonti rinnovabili e in tutti quei settori che usufruiscono di finanziamenti pubblici statali e comunitari, a partire da quelli a sostegno dell’agricoltura e di promozione dello sviluppo rurale.
Questa strategia, che già vede coinvolta una fascia non certo irrilevante dell’economia siciliana, a seguito dell’emergenza coronavirus potrebbe estendersi, andando ad “occupare” anche i settori connessi alla sanità.
Un posizionamento ancora più forte nel sistema sanitario regionale avrebbe, quale ulteriore effetto collaterale, quello di incidere sugli apparati della Pubblica Amministrazione che saranno chiamati alla gestione dei finanziamenti e degli appalti pubblici, da affidare nelle fasi successive al lockdown. Un rischio che percorre trasversalmente l’intera regione, tenuto conto dell’influenza che sia cosa nostra palermitana che quella etnea sono in grado di esercitare sugli Enti locali, tanto da determinarne spesso lo scioglimento. In molti di questi casi, le famiglie mafiose si sono inserite proprio negli affidamenti diretti, giustificati da presunte circostanze di necessità e urgenza.
È evidente che l’emergenza sanitaria è di per sé una situazione eccezionale ed in quanto tale potrebbe offrire l’occasione per ottenere appalti legati sia alla distribuzione di presidi medicali che allo smaltimento dei rifiuti speciali ospedalieri.
Un business che offre, per giunta, la possibilità di distribuire posti di lavoro ad affiliati o di subappaltare ad aziende di riferimento, consolidando così la base del proprio “consenso sociale”.
Non va poi trascurata la crisi di liquidità cui andranno incontro molte piccole e medie imprese, che rappresentano la gran parte di quelle operanti nella Regione. Imprese che potrebbero trovarsi costrette, nel caso in cui lo Stato non dovesse intervenire con prestiti garantiti, a rivolgersi a cosa nostra.
Ciò potrebbe, da un lato portare al tracollo delle imprese sottoposte a prestiti usurari, dall’altro allo spossessamento vero e proprio della società.
Un’operazione, quest’ultima, che vedrà il coinvolgimento anche di “colletti bianchi” collusi con la mafia e che potrebbe essere rivolta innanzitutto ai settori turistici, alberghieri e della ristorazione, da sempre ottimi canali per il riciclaggio di denaro.

Fonte mafie blog autore repubblica