Falcone era il nemico numero uno

Le conclusioni dei Giudici di primo grado in esito alla compiuta istruttoria dibattimentale possono riassumersi in due tronconi essenziali.
Il primo di essi è sostanzialmente incentrato, sul contesto storico nel quale era maturato l’attentato, nell’ambito del quale la Corte ha approfondito, una volta ritenuto di individuare con certezza in Cosa Nostra la matrice originaria del crimine, le ragioni per cui gli associati si erano determinati a commettere, in quel luogo ed in quel momento, l’attentato contro un personaggio, certamente da molto tempo “nel mirino”, e nei cui confronti erano stati avviati in precedenza numerosi progetti omicidiari.
Gli stessi collaboratori avevano infatti dichiarato, come posto in evidenza     nell’impugnata sentenza, quali e quanti fossero stati i molteplici tentativi di uccidere     il dott.    FALCONE già in preparazione da alcuni anni    sottolineando concordemente    la circostanza,    nota all’interno dell’organizzazione, che la vittima rivestiva un posto di assoluta preminenza     nell’elenco dei soggetti da eliminare, sin dai primi anni Ottanta. ONORATO riferiva espressamente di un progetto degli anni 83/84 risalente al GAMBINO Giacomo Giuseppe, il quale aveva dato incarico di studiare le abitudini del magistrato in un periodo in cui lo stesso era stato notato recarsi con una certa frequenza in via Cristoforo Colombo.
Gaspare MUTOLO aveva menzionato, un analogo progetto che doveva essere eseguito con l’impiego di un lanciamissili verso gli anni 84 – 85 lungo la strada all’interno del parco della “Favorita” che il magistrato percorreva per recarsi in una villa nella zona di Valdesi ove soggiornava nel periodo estivo.
Giovambattista FERRANTE raccontava di avere ricevuto nel periodo 83 – 84 sempre dal Gambino, l’incarico di studiare la possibilità di colpire il giudice FALCONE durante il suo soggiorno in una villa a Valdesi di fronte al ristorante “La Sirenetta”, di cui all’epoca era direttore tale Minneci, cognato del collaboratore.
Giovanni BRUSCA riferiva di diversi progetti di eliminazione fisica del dott. FALCONE, alcuni dei quali giunti in avanzata fase di esecuzione ed in particolare di un primo attentato che si sarebbe dovuto eseguire nel 1983 presso il palazzo di giustizia di Palermo, di un secondo che si pensava di compiere mentre il dott. FALCONE si recava in una palestra di via Belgio e di uno ulteriore che prevedeva l’uso di un bazooka o di un fucile da caccia grossa.
Il collaborante aveva poi narrato di specifico mandato ricevuto nel 1983, unitamente ad Antonino MADONIA, da Salvatore RIINA e poi revocato per dar spazio ad altre priorità, di seguire i movimenti del dott. FALCONE in vista di un attentato che si sarebbe dovuto compiere, utilizzando come base logistica uno studio notarile di fronte al palazzo di giustizia. Infine aveva raccontato di un ennesimo progetto di attentato con uso di armi da fuoco tradizionali che si doveva eseguire lungo la strada che conduce a Castellammare, ove il dott. FALCONE a volte si recava a trovare un amico.
Il secondo aspetto approfondito dalla Corte, attiene gli specifici ruoli attribuiti agli odierni imputati e dunque le ragioni che, appunto uti singuli, potevano animarli a compiere l’attentato anche in rapporto ai diversi ruoli rivestiti in seno all’organizzazione.
Dunque, la matrice dell’attentato era stata immediatamente ed intuitivamente ricollegata alla corposissima attività di contrasto alla criminalità organizzata portata a  compimento dal dott. FALCONE.
In tale ambito, alcuni elementi spiccavano particolarmente, a giudizio della Corte d’Assise, che ne evidenziava la rilevanza:
il ruolo del dott. FALCONE in Palermo, di punto di riferimento per tutti coloro, magistrati ed organi inquirenti, che erano impegnati nella azione di contrasto alla organizzazione mafiosa “Cosa Nostra”, per le riconosciute capacità di aver allargato e reso trasversali i confini di tale azione, anche a livello internazionale;
le pesanti condanne inflitte in numerosi processi all’esito di attività inquirenti condotte dal dott. FALCONE (quello contro le famiglie mafiose Spatola, Inzerillo e Gambino, quello noto come primo maxi- processo agli esponenti di “Cosa Nostra”, quello relativo alla operazione cd. “Big John”, contro le famiglie mafiose dei MADONIA e dei GALATOLO, concernente un carico di 600 kg. di cocaina);
i numerosi procedimenti ancora in corso in cui era impegnato il dott. FALCONE al tempo dell’attentato per cui si procede, (quelli sull’omicidio dell’On. Piersanti Mattarella e  di Pio La Torre, sull’attività illecite dell’ex sindaco Vito Ciancimino, e sull’omicidio dell’ex Sindaco Insalaco);
L’avere avviato una attiva cooperazione con autorità di varie nazioni (ed in particolare con gli USA e la Svizzera) estendendo, come già detto, i confini anche geografici della lotta al crimine organizzato ed al riciclaggio del denaro sporco.
La Corte, nell’affrontare le singole dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia con riferimento al movente dell’attentato premetteva – sotto il profilo valutativo – come la rilevanza di esse dovesse ricondursi non solo al grado di attendibilità dei soggetti, ma anche al livello dagli stessi occupato nella gerarchia ma?osa ed alla conseguente possibilità di acquisire le relative conoscenze.
Ciò posto, veniva osservato come le dichiarazioni rese sul punto da ONORATO e LO FORTE pur provenendo da soggetti dalle limitate conoscenze strategiche dell’organizzazione mafiosa, tuttavia, meritavano una particolare attenzione poiché entrambi gravitavano nei due mandamenti di San Lorenzo e Resuttana più direttamente coinvolti – territorialmente e logisticamente – nell’esecuzione dell’attentato.
L’ONORATO aveva ammesso infatti di ignorare se vi fossero motivi particolari e specifici per uccidere il dott. FALCONE, aggiungendo, però, che le famiglie mafiose dei MADONIA e dei GALATOLO (della famiglia dell’Acquasanta rientrante in tale mandamento), nel cui territorio si trova la zona dell’Addaura, all’epoca dell’attentato gestivano un imponente traffico internazionale di stupefacenti e che negli anni tra il 1987 ed il 1988, era stata sequestrata una nave (la Big John) carica di cocaina appartenente ai MADONIA ed ai GALATOLO.
Analogamente il LO FORTE, precisava che il riciclaggio degli introiti relativi al traffico di stupefacenti avveniva in Svizzera, soprattutto ad opera di Gaetano Scotto e Vincenzo GALATOLO, ed in tal senso poneva specificamente in correlazione il fallito attentato dell’Addaura con quanto appreso da Giuseppe FIDANZATI e  Gaetano SCOTTO relativamente alla volontà di colpire i magistrati svizzeri che erano venuti in Sicilia per indagare sul riciclaggio: la Corte non mancava peraltro di sottolineare come il LO FORTE forse l’unico tra i collaboranti ad indicare i magistrati elvetici come obiettivi diretti ed immediati dell’attentato.
Di   ben   maggiore   spessore   venivano   ritenute,
invece,   le   dichiarazioni   relative   al  movente dell’attentato rese dal collaboratore di giustizia Giovanni BRUSCA, tenuto conto anche del livello di vertice rivestito in “cosa nostra”, oltre che del legame tra la sua famiglia ed il gruppo “corleonese” di RIINA. Egli riferiva, come già detto, che l’eliminazione fisica del dott. FALCONE era già stata decisa in “Cosa Nostra”  sin  dal 1983 per una serie di ragioni direttamente collegate all’attività giudiziaria del predetto, facendo espresso riferimento al primo maxiprocesso palermitano, alla collaborazione di BUSCETTA, CONTORNO e MANNOIA, al
coordinamento internazionale delle indagini sul traffco di droga nonché all’approfondimento di quelle sugli esattori Salvo, sui cavalieri del lavoro Costanzo e su Vito Ciancimino.
Di limitato spessore venivano ritenute invece dalla Corte, sotto il profilo della causale, le dichiarazioni di Baldassare DI MAGGIO, Salvatore CANCEMI e Gaspare MUTOLO.
La Corte di I° grado, giudicava poi scarsamente
pertinenti, perché permeate da misteriose risvolti, le dichiarazioni del DI CARLO sui moventi che avevano determinato l’attentato.
In tal senso il collaboratore, aveva infatti accennato ai contatti avuti con esponenti dei servizi segreti internazionali, apparentemente interessati alla vicenda, senza però fornire elementi di chiarezza. Significativa veniva ritenuta piuttosto, la considerazione manifestata dal DI CARLO il quale, dopo avere appreso che l’attentato si era svolto all’Addaura in una zona che ricade nel territorio del mandamento di Resuttana, ne aveva tratto la immediata conseguenza, che dovevano esservi coinvolti i MADONIA a conferma della regola fondamentale della territorialità delle aggregazioni locali in cui si articola l’organizzazione ma?osa, dalla quale discendeva – secondo l’impugnata sentenza – il corollario che nessun delitto tanto più, come quello in esame, potesse essere commesso sull’area di un qualsiasi mandamento senza l’apporto dei vertici del medesimo.
Infine le dichiarazioni di Angelo SIINO venivano considerate di limitata rilevanza nella parte relativa ad un sorta di “sfogo” fatto da GALATOLO Vincenzo, durante una comune detenzione (dato riscontrato oggettivamente dep. Dr. Mario BO del 18-10-99) nella casa circondariale di Termini Imprese.
Il Siino aveva peraltro signi?cativamente precisato che “cosa nostra” era fortemente allarmata dalle indagini avviate dal dott. FALCONE nel settore di appalti e politica.
Conclusivamente, secondo i Giudici di I°grado, dalle dichiarazioni dei vari collaboratori nel loro complesso, emergevano chiaramente  gli specifici motivi di timore di “cosa nostra” per i propri peculiari interessi gravemente compromessi dalle iniziative giudiziarie assunte dal dott. FALCONE, nelle quali, di conseguenza, la ideazione ed esecuzione dell’attentato dovevano inevitabilmente affondare le proprie radici.

Fonte mafie blog autore repubblica