Il pentito Giuffré: “ Una fava e due piccioni”

n seguito alla disposta riapertura dell’istruttoria dibattimentale veniva pertanto celebrata una prima udienza presso l’Aula    Bunker   ‘Dozza’ di Bologna dove, in data 7 giugno 2002 si dava corso, innanzi tutto, all’esame ed al successivo confronto tra i collaboranti Francesco ONORATO e Giovambattista FERRANTE   appellanti in questa sede con espresso riferimento al contrasto insorto su un presunto incontro tra i due, nei pressi dell’Addaura e nel periodo subito precedente i fatti.
L’ONORATO dichiarava così di essere stato reggente della famiglia di Partanna Mondello dal 1987 al 1993 e, relativamente ai fatti di causa, aggiungeva di avere ricevuto da Salvatore BIONDINO, capo mandamento di San Lorenzo, l’incarico – nel periodo estivo 1989 – di studiare la zona dell’Addaura, controllarla e perlustrarla: a tale attività si era dedicato per circa 15 giorni – un mese.
Aveva così avuto modo di notare la presenza in loco di Enzo GALATOLO, Angelo GALATOLO, Nino MADONIA, Giovambattista FERRANTE. Quest’ultimo in particolare lo aveva incontrato una sola volta in quella zona, qualche giorno prima incrociandolo in automobile mentre lui era alla guida di una Fiat Panda ed il FERRANTE di una Mercedes 190 grigia lungo la strada di grande scorrimento che costeggia la scogliera dell’Addaura: tra i due non vi era stato alcun colloquio. Sottolineava ONORATO di aver ritenuto che lo stesso FERRANTE avesse partecipato al pattugliamento senza però avere notizie certe in tal senso. Giovambattista     FERRANTE, escusso immediatamente dopo, affermava essere per lui abituale il transito in quella zona nel periodo estivo ed aggiungeva di spostarsi normalmente a bordo della sua Mercedes 190 marrone metallizzato utilizzandola alternativamente ad una Audi verde.
Sosteneva di non aver avuto alcun incarico di pattugliamento ed asseriva di non essersi accorto di aver incrociato l’ONORATO.
Il confronto ex art. 210 cpp tra i due collaboranti veniva, in esito a tali dichiarazioni, revocato per i chiarimenti forniti sia dal FERRANTE che dall’ONORATO sulle modalità dell’incontro automobilistico del tutto isolato ed occasionale che non presentava dunque estremi di incompatibilità nelle due versioni.

Successivamente ai predetti atti istruttori veniva dato corso all’esame di Baldassarre RUVOLO collaborante la cui escussione era stata oggetto di espressa richiesta da  parte del PG.
RUVOLO dichiarava di aver iniziato a collaborare nel gennaio 2001 a causa delle estorsioni e dei ricatti subiti dalla propria convivente. Aveva fatto parte della famiglia di Borgo Vecchio accompagnandosi – oltre che con tutti i personaggi di quella famiglia anche con altri tra cui Giuseppe Lucchese, Pino Greco ‘scarpuzzedda’, Giuseppe Giacomo Gambino e Salvatore Cocuzza che era stato reggente della famiglia sin dal 1981. Nell’aprile del 1981 si era poi trovato a Torino quando veniva ucciso Stefano Bontate.
La sua abitazione in Palermo era collocata in via Amm. Cursani, all’interno del quartiere dell’Acquasanta, dove aveva anche un’attività di rivendita di pesce congelato, denominata Maregel.
Si era occupato di traffco di stupefacenti (cocaina – eroina), pur non essendo uomo d’onore, insieme con  i fratelli GALATOLO venendo per tale ragione, condannato a 13 anni di reclusione.
Aveva avuto contatti, per i traffci con Vincenzo GALATOLO, il fratello Raffaele e Salvatore MADONIA che aveva conosciuto nel 1990 tramite un appuntamento fissatogli da tale Marco Favaloro. Era a conoscenza del fatto che i GALATOLO fossero a capo della zona territoriale dell’Acquasanta avendo traffcato stupefacenti per loro conto.
Nel 1982 era stato arrestato, al momento dell’uscita dal carcere a capo di Borgo Vecchio c’era tale Romano.
Al RUVOLO veniva poi sottoposto album fotografico nell’ambito del quale egli si era così pronunciato con riferimento alle effigie sottopostegli numerate come di seguito indicato:
1. BONANNO Giovanni della famiglia di Resuttano.
2. uno dei fratelli DI GIOVANNI
3. un uomo d’onore della famiglia dell’Acquasanta, nipote di Enzo GALATOLO, figlio della sorella di cui non ricordava il nome (la foto corrispondeva a Fontana Angelo)
4. Angelo GALATOLO detto ‘u fodde’, figlio di Vincenzo capo dell’Acquasanta,
5. Angelo GALATOLO, figlio di Giuseppe (detto ‘Pinuzzo’ fratello di Vincenzo di Raffaele, Gaetano ‘Tanuzzo’ padre anche lui di un altro Angelo, Vito il più grande e la sorella sposata Fontana).
6. Vito GALATOLO
7. GRAZIANO Mareddu, costruttore detto ‘u cavaleri’. Lui abitava in un appartamento costruito da costui che era vicino ai GALATOLO.
8. MARCIANTE Benedetto
9. Tale PILLITTERI della famiglia di Resuttana comandata da Antonino MADONIA
10. un soggetto a lui noto    ma del    quale non ricordava il nome
11. VEGNA Placido (Gaetano)
12. RIINA Salvatore
13. BIONDINO Salvatore
14. MADONIA Antonino
15. GALATOLO Vincenzo capo famiglia Acquasanta, padre di Angelo ‘u fodde’, zio di Angelo figlio di Enzo.

Il collaborante riconosceva poi anche l’imputato ONORATO, frattanto sopraggiunto in aula, sostenendo che gli era ben noto sin da bambino.
Ancora in merito ai rapporti con di uomini di Cosa Nostra in quelle zone della città, RUVOLO aggiungeva che la conoscenza con la famiglia MADONIA gli era derivata dal fatto che i figli si recavano regolarmente presso il suo esercizio a fare la spesa per il padre detenuto.
Nella famiglia dell’Arenella conosceva invece il Vegna e poi certo Antonino Carollo ed i due fratelli Lo Cicero.
Quando Salvatore Cocuzza era stato arrestato erano
stato collocato in cella insieme a lui, nella settima sezione dell’Ucciardone, ed a Dainotto, Antonino Cillari, Gioacchino Cillari, Giovanni Di Giacomo.
Con specifico riferimento ai fatti processuali sottolineava di essere a conoscenza dell’attentato per averlo ascoltato dai giornali: aveva peraltro ricollegato il fatto con le pattuglie di Polizia notate in località Addaura potendo così individuare anche il punto esatto della villa.
Una settimana prima dell’attentato aveva notato che le visite dei GALATOLO erano diminuite ed aveva anche chiesto ai GALATOLO (Enzo ed Angelo) come mai fossero abbronzati, se andassero al mare ottenendo come risposta che avevano molto da fare in quel periodo per frequentare la spiaggia.
Il giorno esatto del fallito attentato dell’Addaura, fatto del quale egli aveva saputo la sera dalla TV, era venuto al suo spaccio un nipote di tale Giovanni, detto ‘u parrineddu’, per avere notizie di Enzo GALATOLO ed egli, di conseguenza, egli si era posto alla ricerca di quest’ultimo presso il porticciolo dell’Acqua Santa.
Aveva dunque potuto notare da lontano sul primo pontile del porto dell’Acquasanta accanto al motoscafo (dei cantieri Abbate) di tale Enzo Alicata cognato di Marciante, un gruppo di persone composto da:
Angelo GALATOLO che stava attraccando la barca, Enzo GALATOLO, Salvatore ed Antonino MADONIA, Stefano Fontana ed una persona a lui ignota che discutevano animatamente.
Al gruppo si era avvicinato solo dopo aveva visto terminare la discussione.
Alcuni giorni dopo l’attentato Enzo GALATOLO gli aveva detto che si doveva disfare di un motoscafo praticamente nuovissimo. Aggiungeva di essersi recato a vederlo a vederlo e di avere constatato che era uno scafo di circa 3,50-4,00 metri con un 25 HP potenziato fino a 50 HP, tanto che lui ebbe a criticare questa soluzione tecnica. Lui disse che non gli interessava e quindi GALATOLO disse che avrebbe tentato di restituirlo al venditore che era del quartiere Vergine Maria.
Nel corso del controesame il RUVOLO descriveva i mandamenti mafiosi palermitani indicando, tra quelli a lui noti, Resuttana, Palermo centro, Brancaccio – Ciaculli e Santa Maria di Gesù.
Sottolineava di aver ottenuto le informazioni da Pietro Abate, uomo d’onore oggi defunto, della famiglia di Borgo Vecchio, con il quale si accompagnava e commetteva anche reati e da Giovanni Romano, capo famiglia di Borgo Vecchio.
Aggiungeva di aver conosciuto Salvatore Cocuzza sin dal 1975, di ave lavorato per lui e che questi, nel 1983, lo aveva fatto spostare alla VII° sezione dell’Ucciardone con altri uomini d’onore già indicati, perché vi era questa prassi di stare insieme: in quel periodo Cosa Nostra gestiva a suo piacimento il carcere dell’Ucciardone e per ogni sezione c’era un capo, la VII° in particolare era comandate da Salvatore Montalto.
Su domanda del difensore degli imputati GALATOLO ricordava poi di aver conosciuto Enzo GALATOLO, sia pure superficialmente, sin dal 1967 quando giocava nella squadra di calcio dei Cantieri Navali. Nel 1981 la conoscenza era poi divenuta diretta perché Salvatore Cocuzza lo aveva spesso inviato in vicolo Pipitone dai MADONIA o dai GALATOLO stessi.
Aveva poi conosciuto i due GALATOLO Angelo (il figlio di Enzo ed il figlio di Pino) intorno al 1987 essendo a conoscenza che il figlio di Pino era vicino a Cosa Nostra: nel 1988 si era infatti trovato insieme ad Enzo GALATOLO, Salvuccio MADONIA, Nicola Di Trapani anche in presenza di Angelo GALATOLO, percependo dunque che quest’ultimo era avvicinato. Concludeva infine che la ragione per cui non era stato acquistato il motoscafo di GALATOLO V. era legata ad un debito che aveva nei suoi confronti ammontante a circa 100 milioni.

Come già detto, nel corso della discussione, la Corte ex art. 523 comma VI°, disponeva che venisse sottoposto ad esame Antonino GIUFFRE’, capo mandamento di Caccamo già titolare da molti anni di un ruolo di vertice all’interno di Cosa Nostra, in relazione alle notizie conosciute sull’attentato per cui è processo. Il collaborante, nel corso dell’udienza tenutasi il 12 febbraio 2003 asseriva di aver riferito solo il 4-12-02 all’A.G. di Roma quanto appreso, per una pura casualità, anche in considerazione del poco tempo avuto per le dichiarazioni iniziali.
Chiariva che nel 1989 faceva parte di Cosa Nostra già come capo mandamento di Caccamo, carica assunta nel 1987 sostituendo Francesco Intile che era stato messo da parte e poi si era ucciso in epoca largamente successiva.
Le notizie avute in Cosa Nostra riguardo all’attentato dell’Addaura gli erano pervenute tramite personaggi di vertice quali lo stesso Provenzano con il quale in quel periodo ‘faceva degli appuntamenti’, ovvero si incontrava, ogni 10-15 giorni. Nello specifico gli pareva ricordare che, l’incontro nel quale si era parlato del fallito attentato, si era tenuto nel quartiere Pagliarelli in un’abitazione rustica periferica.
I contatti con il Provenzano  peraltro,  erano iniziati già dalla fine del 1985 e sarebbero durati fino all’arresto del dichiarante medesimo avvenuto il 17 aprile 2002. Circa una settimana dopo l’attentato, GIUFFRE’ aveva dunque commentato l’episodio con Provenzano riferendosi alla presenza in questa villa dell’Addaura di un magistrato svizzero e forse di un altro ancora.
In particolare FALCONE e la DEL PONTE erano considerati magistrati molto pericolosi e veniva vista ‘male’ la collaborazione tra di loro: ricordava in particolare una frase del Provenzano il quale aveva affermato che ‘con una fava si volevano prendere due piccioni’.
Aggiungeva di essere un frequentatore del mandamento di Michelangelo La Barbera e della famiglia Ganci (Domenico e Raffaele) nell’ambito dei quali aveva ulteriormente commentato l’episodio. I discorsi fatti, successivi all’attentato, e sempre dello stesso tenore e riguardavano il  dott.  FALCONE,  la sua pericolosità ed i rapporti con la dott.ssa DEL PONTE. Era verosimile che fosse presente anche Salvatore Cancemi almeno in taluna di queste circostanze.
Gli appuntamenti con Provenzano erano relativi a faccende del tutto diverse rispetto agli incontri con gli altri personaggi citati: con La Barbera si incontrava in un ufficio di assicurazioni di tale Franco Marcianò e con i Ganci in uno dei negozi appartenuti alla famiglia, presso via Notarbartolo.
Gli pareva poi di ricordare che anche con Carlo Greco e Pietro Aglieri avesse avuto uno scambio di idee sul punto.
Il collaborante precisava nuovamente che, anche i contatti   con Provenzano, erano avvenuti dopo l’attentato.
In quel periodo il territorio dell’Addaura rientrava nel mandamento di Resuttana che faceva capo ai MADONIA ed in particolare ad Antonino MADONIA. Egli aveva appreso che la decisione di perpetrare l’attentato era stata presa dal ‘gruppo ristretto’ facente capo a Salvatore RIINA, Antonino MADONIA, Salvatore BIONDINO,    Raffaele GANCI e Giovanni BRUSCA.
In particolare le ragioni che avevano spinto il RIINA a tentare di eliminare il dott. FALCONE erano tutte riguardanti la ‘scomodità e pericolosità’ di quest’ultimo, già da tempo notoria in Cosa Nostra.  A ciò si era aggiunto che il dott. FALCONE e la dott.ssa DEL PONTE stavano intensamente cercando di ‘scoprire i capitali’ che da Palermo andavano in Svizzera e questa collaborazione era considerata negativamente e pericolosamente. L’attentato, in ogni caso, era mirato appositamente ad eliminare tutte e due le persone.
La decisione limitata del ‘comitato ristretto’ (e non della commissione) era da giustificarsi con la singolare delicatezza e riservatezza del fatto ed anche con il legame particolare di RIINA con alcuni mandamenti (tra cui quello di Resuttana) e con i loro capi con i quali poi l’esponente corleonese avrebbe detenuto il controllo di Cosa Nostra non solo a livello palermitano ma regionale.
Su domanda del Procuratore Generale precisava poi di non essere a conoscenza di un ruolo preciso svolto dai Ganci e da Giovanni BRUSCA nell’attentato, mentre gli constava di persona che BIONDINO e MADONIA si fossero occupati direttamente della vicenda. Relativamente a Bernardo Provenzano poteva solo dire che questi era a conoscenza di quanto accaduto senza poter precisare se lo avesse saputo prima o dopo il fatto.
Nessuno aveva chiesto al RIINA del perché il delitto non era stato portato all’attenzione della commissione provinciale.
Aggiungeva con riferimento alla dott. ssa DEL PONTE che il nome del magistrato svizzero in Cosa Nostra girava, forse addirittura prima dell’arresto del Calò (che il collaborante ricollegava cronologicamente al 1986). Quest’ultimo, in particolare, insieme a Lorenzo Di Gesù (uomo d’onore di Caccamo ma molto legato al Calò) si occupava del commercio di droga ed aveva interessi in Svizzera.
Al termine dell’esame del GIUFFRE’, l’imputato Antonino MADONIA rendeva spontanee dichiarazioni affermando che nel processo n. 12/94 il GIUFFRE’ diceva di aver presenziato alle riunioni di commissione sin dal 19 giugno 1987. Lui però si trovava detenuto dal 6 maggio 1987 e lo era rimasto fino al novembre del 1988, quindi con GIUFFRE’, in commissione, non poteva incontrarsi.
In esito a tali affermazioni la difesa MADONIA chiedeva di acquisire i verbali del procedimento n.12/94, celebrato innanzi la Corte d’Assise di Palermo oltre al certificato di detenzione, e la Corte si riservava di provvedere unitamente al merito.

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