La strage di Capaci e quei “furbetti” di giustizia che hanno occultato i computer di Giovanni Falcone e non hanno mai pagato il conto

L’ultimo mistero su Falcone “In quel computer il diario segreto”

Le molte verità nascoste da chi doveva scoprire la verità

 

Esiste ancora qualche traccia del diario di Falcone?  Non lo sapremo mai. Qualcuno ha pensato bene nel corso delle indagini di far sparire tutto. E qui si gioca la credibilità di magistrati e poliziotti dell’epoca. L’hanno cancellato del tutto o una parte dei suoi appunti sono recuperabili?  Sono in tanti  che vogliono sapere se, lì dentro, si possono ritrovare alcuni dei suoi scritti più segreti. L’antimafia di potere e politicizzata ha sempre evitato di parlare di questi strani furti di verità

Nonostante il tempo passato e nonostante la «pulizia» dei supporti informatici operata dalle solite manine subito dopo la strage, la sorella Maria Falcone incaricò i suoi avvocati di depositare un Toshiba alla procura di Caltanissetta, che indaga sui massacri palermitani del 1992. È un piccolo portatile, violato qualche giorno dopo l’attentato con un programma usato per riportare in salvo o per eliminare definitivamente i file. Una prima perizia di tanti anni fa aveva accertato «manomissioni», le prove di un sabotaggio. I nuovi sistemi di ripescaggio dei dati attraverso tecnologie avanzate, fanno sperare che gli esperti possano riesumare annotazioni perse anche nelle memorie più remote. Maria Falcone alla vigilia delle celebrazioni in memoria del fratello di qualche anno fa disse: «Spero che troveranno qualcosa, sarà un altro passo verso la verità».

Il Toshiba, in un primo momento scomparso e poi riapparso misteriosamente nella sua abitazione palermitana di via Notarbartolo, nel 1993 è stato restituito alla famiglia e custodito nello studio legale di Francesco Crescimanno. Lì c’è rimasto per oltre due decenni. Cosa strana, nessuno ha mai indagato su questi fatti. Come se manomettere il computer di Falcone era qualcosa di legale. Una giustizia ingiusta e complice di certi depistaggi non pagherà mai. Questi sono fatti gravi per una democrazia. Molte verità su Falcone e Borsellino non le sapremo mai. Alcuni magistrati con la complicità di poliziotti e carabinieri hanno depistato volutamente cercando di far cadere le colpe su obiettivi precisi. I mafiosi dalle scarpe piene di fango bastavano. Non furono solo loro a volere le stragi. E chi afferma il contrario offende la memoria di Falcone e Borsellino che lo avevano pure detto La famosa frase che fu detta sia da Falcone e Borsellino si può sintetizzare: “i mafiosi ci ammazzeranno ma a decidere della nostra morte non sono stati da soli“. Qualcuno nei palazzi del potere “democratico” ha nascosto i veri mandanti per anni

Eppure quelli tra  il 1980 e il 1991 sono anni ruggenti per la mafia , la politica collusa e i poteri occulti. Da nord a sud. E se a Milano, prima la Duomo connection e poi Mani Pulite danno la stura agli intrecci tra mafia-impresa-politica, a Palermo Salvatore Riina traghetta la sua organizzazione “da una fase parassitaria a una fase simbiotica con la grande imprenditoria”. I giudici d’Appello a Palermo  fotograferanno quel periodo così:” l’evoluzione voluta dal cda di Corleone. La mafia si eleva nei palazzi”

Siamo nel 1988. Un anno prima 360 presunti mafiosi vengono condannati a complessivi 2.665 anni di carcere con il processo istruito da Falcone e Borsellino. Non vengono toccati politici e colletti bianchi ma Falcone e Borsellino con iol metodo degli assegni erano pronti a scrivere per far arrestare molti amici dei mafiosi nella cosiddetta inchiesta “mafia e Appalti” . Il core business del sistema che dal dopo guerra, in Sicilia, aveva fatto soldi a palate con l’aiuto dei mafiosi e gestito  centinaia di migliaia di voti alle elezioni.

 Falcone e Borsellino ottengono un importante risultato. Sanno bene che, per arrivare al secondo e terzo livello devono usare una fine strategia. Lo capiscono anche dalle parole di Buscetta.  il Processo dell’Ucciardone è’ il primo grado del maxi-processo che mette in archivio l’epopea di una mafia ancora rudimentale. Parassitaria appunto e che entra nel mondo dell’edilizia attraverso i subappalti o il pizzo. Dalla fine degli anni 70 e negli  anni Ottanta cambia tutto. “La mafia – scrivono i giudici di Caltanisetta – inizia a a gestire direttamente l’aggiudicazione degli appalti a imprese a lei vicine per un rinnovato accordo che sa di sangue”. Non solo: “Cosa Nostra, si inserisce a tappeto nella gestione dei lavori conto terzi e nei subappalti, applicando il pizzo sul pizzo, cioè decurtando le tangenti dirette ai politici dello 0,80%”.Il sistema politico mafioso si era indebolito. Riina e chi lo consigliava si era stancato delle briciole. Fece sentire bene ai potenti il suono della lupara

In quegli anni  la Sicilia viene invasa dai finanziamenti pubblici. C’è da spartirsi una bella torta. Ai nastri di partenza si presentano “due organizzazioni criminali”. La prima è Cosa nostra e il suo referente è Angelo Siino. La seconda è composta da un comitato d’affari che tiene dentro imprenditori e politici. In questo caso a far da tessitore e da ufficiale pagatore di tangenti è l’imprenditore Filippo Salamone e questo, scrivono i giudici d’Appello, grazie “alla sua linea diretta con il presidente della Regione Nicolosi e ai suoi legami con l’ex ministro  Calogero Mannino”. Due politici che, stando alla ricostruzione della corte, in quel momento, contano di più. Ma i politici potenti in Sicilia erano numerosi. La mafia aveva pure sparato su dirigenti di partito della DC e anche Lima non era più nelle grazie di alcuni boss

Totò Riina,  che ricordiamo era quasi analfabeta però, non si accontenta. Il timore che il maxi processo vada a sentenza definitiva (come sarà) è alto. I dubbi sui vecchi referenti della Dc in poco tempo si trasformano in certezze. Toto u’ Curtu accelera. Primo risultato: Angelo Siino non va più bene. Si attiva Brusca. Obiettivo: trovare un nuovo referente e portare a compimento la fusione tra Cosa nostra, grande impresa e politica. Tradotto: il terzo livello. Quello che Tommaso Buscetta non volle svelare. E che Giovanni Falcone aveva in testa di raccontare proprio agganciando la partita degli appalti. L’informativa del Ros, dunque, appare decisiva. Falcone lo dice direttamente e lo fa in un incontro pubblico pochi giorni dopo il deposito della prima informativa: “Bisogna cambiare il modo di investigare”. Molti di questi verbali saranno stati conservati nei PC di Falcone. Il Pc già esisteva ed esistevano gli archivi informatici. Evidentemente, qualcuno ben preparato ha pensato bene di non farci leggere i file conservati in quei Pc. Chi ha manipolato queste prove ha ucciso due volte Falcone e anche Borsellino. Possibile pure che, molti documenti compromettenti siano stati distrutti o finiti nelle mani dei mafiosi. Possibile anche che, Matteo Messina Denaro  allora molto giovane, ne abbia avuto  una copia visto che per anni si è cercato il boss sempre nel posto sbagliato