A 40 anni dall’omicidio Lipari rimangono tanti misteri. L’unica cosa certa è che lo hanno ammazzato i mafiosi

Tommaso Besozzi avrebbe scritto anche per Vito Lipari la famosa frase riferita al delitto Giuliano

 

A 40 anni dall’omicidio dell’ex sindaco di Castelvetrano, Vito Lipari rimangono più misteri che verità. Anni d’indagine e processi non hanno chiarito quasi nulla: Di certo c’è che la mafia ha eseguito l’omicidio . Chi ha aveva interesse ad eliminarlo? Anche per questo omicidio ci sono stati depistaggi organizzati dalle solite menti raffinatissime. Un omicidio che si collega al complesso potere  già esistente a Castelvetrano e nel Belice nel post terremoto. Sullo sfondo le grandi speculazioni sui terreni  da lottizzare ed espropriare e il grande affaire  degli appalti

Perche è stato ucciso. Quale è stato il vero movente?  Perchè alcune armi collegano gli omicidi Lipari,  Piersanti Mattarella  e  Montalto ?

Vi presentiamo un’ attenta ricostruzione

Dirigente del Consorzio sviluppo industriale di Trapani. Dirigente della Democrazia Cristiana, fu sindaco di Castelvetrano (TP) dal 1974 al 1976.  Era vicino alle posizioni dell’allora ministro della Difesa, Attilio Ruffini.

 Lipari fu sindaco per vari mandati. Tornato primo cittadino dall’ottobre 1978 all’aprile 1979, alle elezioni politiche del 3 giugno 1979 risultò primo dei non eletti alla Camera dei deputati nella lista DC nella circoscrizione Sicilia Occidentale dove, sostenuto dagli esattori Ignazio e Antonino Salvo, ottenne ben 46 000 preferenze.

Divenuto segretario provinciale della  potente DC  trapanese era sindaco da appena un mese, venne assassinato il 13 agosto 1980 dopo essere uscito dalla sua casa nella frazione marinara di Triscina a colpi di pistola tra cui quello di grazia alla testa

Vito Lipari,  era al corrente degli imbrogli organizzati per la ricostruzione del Belice. Sapeva, per esempio, che tutto il piano di ricostruzione della zona compresa tra Castelvetrano e Gibellina era falso.  Quel piano comprensoriale che fece guadagnare palate di soldi a mafiosi e alla borghesia locale .

Delitto di mafia, sentenziarono gli inquirenti. Vito Lipari era un personaggio importante della DC e puntava molto in alto.  A poco più di quarant’anni, vantava amicizie  forti e sicure in ambito politico. Per esempio, quelle dell’ex ministro Attilio Ruffini, e poi quelle della famiglia Salvo, gli esattori, parenti di Luigi Corleo, il ricchissimo e vecchio proprietario terriero sequestrato e mai più tornato a casa.
Ma i killer di Vito Lipari non avevano previsto tutto. Nel cassetto della sua scrivania, il sindaco di Castelvetrano aveva conservato le prove, nero su bianco, degli intrallazzi del Belice. E cioè il piano del quarto comprensorio che comprende dieci Comuni, tra cui Gibellina, Partanna, Salaparuta, Campobello, Castelvetrano. Il documento, nella versione “vera” e in quella “falsa” (e vedremo più avanti cosa significa questo passaggio), passa prima dalle mani dei carabinieri di Castelvetrano al sostituto procuratore della Repubblica, Fausto Cardella, e poi al sostituto procuratore di Palermo, Francesco Scozzari.

L’arma che ha sparato è stata usata in altri agguati

Armi  usate per tre omicidi eccellenti. Pier Santi Mattarella, Vito Lipari e Ciaccio Monltalto colpiti dalle stesse armi e probabilmente fatti uccidere dagli stessi mandanti. Nonostante questo importante elemento investigativo nessuno ha mai approfondito il perchè di questa  strana “casualità”.Un elemento di prova volutamente trascurato. Quando venne ucciso Vito Lipari Matteo Messina Denaro aveva 18 anni e il padre comandava nel Belice.Senza il suo Ok, un omicidio così importante non poteva accadere nel territorio dove lui comandava. Lo dimostrano le dichiarazioni dei pentiti che funzionava così. Perchè Don Ciccio diede il permesso? Questo può significare la forza di chi volle eliminare l’ex sindaco di Castelvetrano

Quel piano comprensoriale n. 4 del Belice che fece arricchire tanti colletti bianchi con la complicità della mafia

Un’attento investigatore, scoprì che gli atti relativi al piano comprensoriale che aveva esaminato,  erano falsi. Chi aveva interesse a falsificarli?

Nel 1972, il gruppo regionale del Psi aveva presentato un emendamento per cui i piani particolareggiati del piano numero quattro , non solo potessero essere elaborati prima che il piano stesso fosse approvato, ma addirittura che venissero resi esecutivi senza nessuna approvazione. Il tentativo dei socialisti fu bloccato dall’intervento del comunista Pancrazio de Pasquale e dal democristiano Gaetano Trincanato, che riuscirono a sventare la manovra. L’emendamento non passò, ma il piano numero quattro sparì. Al suo posto circolò una versione “rettificata” che ha permesso di costruire migliaia di alloggi laddove il piano vero prevedeva verde a rispetto del parco archeologico e di alterare completamente i valori immobiliari dell’intero territorio su quale, poi, ha scorazzato la mafia degli appalti con tutte le attività collegate
Ma sull’intera vicenda grava il mistero. Chi ha, infatti, falsificato il piano? Chi ha intascato i quattrini? Perché Lipari conservava le due versioni del piano? Nessuno lo sa. Per fare luce su questi torbidi retroscena, sugli assassini e sulle ruberie, era stata istituita una commissione parlamentare d’inchiesta. La commissione ha finito i suoi lavori e nulla è trapelato.

Li aveva inaugurati la mattina di mercoledì 12 dicembre 1979. In tutto, quarantuno sedute. Il presidente, Luciano Dal Falco, ha consegnato la relazione conclusiva ai presidenti della Camera e del Senato. Sono 690 pagine, fitte di cifre e di date. In realtà, a leggerle bene, sembra di sfogliare l’album completo dei misteri della Valle del Belice. Perché gli interrogativi per tanti anni restano più inquietanti di prima. 
E i morti ammazzati, le faide mafiose, le risse politiche, gli intrallazzi dei funzionari pubblici, le ingordigie dei costruttori, le tentazioni dei ministri, la spesa di 1.833 miliardi? Non c’è traccia: tutto è stato appiattito e sdarmmatizzato: è come se un “giallo” così denso di colpi di scena fosse stato affidato alla penna di Liala, quando tutti si aspettavano quella di Leonardo Sciascia.

Nomi non ci sono: ministri, funzionari, palazzinari: chi sono? Di fronte alle sfacciate ruberie di costruttori protetti dalla lupara, la commissione parlamentare non ha battuto ciglio. Sulla vicenda della costruzione della diga di Gracia, uno dei capitoli più sanguinosi della storia mafiosa degli anni ’80, la relazione della commissione così si esprime:”non si evidenziano apparenti anomalie nell’appalto dei lavori”.

Di fronte alla lievitazione dei costi dell’esproprio dei terreni, che dagli iniziali 2,587 miliardi sono passati a 21,085 miliardi, la commissione finalmente si scuote e riesce a dire: “Questo appare davvero piuttosto forte”.
Nemmeno di fronte al rapporto della Guardia di finanza sulle irregolarità nell’aggiudicazione degli appalti, la commissione s’impressiona. Che c’è di strano se l’importo iniziale di 44 miliardi previsto per i lavori di trasferimento di alcuni abitati sale senza una plausibile giustificazione a 165 miliardi?
Ed è stata subito battaglia. Appena conclusi i lavori della commissione, i comunisti sono partiti all’attacco accusando tutti: democristiani, socialisti e repubblicani, colpevoli, secondo loro, di avere firmato la relazione di maggioranza. I comunisti hanno presentato una loro relazione firmata dall’onorevole Agostino Spataro che definisce generica la relazione di maggioranza dove “tutto appare da condannare e nello stesso tempo da assolvere”. Un’altra relazione di minoranza è stata presentata dal Msi ed è firmata da Guido Lo Porto. I democristiani hanno reagito prendendosela con i socialisti, ricordando che Salvatore Lauricella e Giacomo Mancini sono stati ministri dei Lavori Pubblici negli anni caldi del Belice. I socialisti hanno replicato, prima, ai democristiani, facendo i nomi di due ministri dei Lavori Pubblici anch’essi implicati nel Belice, Lorenzo Natali e Antonino Gullotti; e, poi, ai comunisti, ricordando che molti sindaci dei Comuni del Belice hanno la tessera del Pci. Ad attizzare il fuoco è intervenuto il repubblicano Enrico Ermelli Cupelli che, dopo aver votato la relazione di maggioranza, ha chiesto che gli atti della commissione venissero inviati alla Procura generale presso la Corte d’Appello di Palermo.
Sul ruolo della magistratura siciliana nelle vicende della ricostruzione del Belice sono tutti d’accordo. E’ stata assente di fronte agli intrallazzi e agli omicidi, e alle sfide della mafia. A Palermo, Sciacca, Trapani e Marsala sono in corso complessivamente 27 inchieste che non fanno progressi. Fino a tutto il 1980 risulta adottato un solo provvedimento restrittivo seguito comunque dalla libertà provvisoria. Non verrà emessa nessuna sentenza di condanna. Ma i comunisti sono decisi a fare del Belice il loro cavallo di battaglia . Il loro intento era quello di sollecitare la magistratura a iniziare inchieste sui casi più clamorosi di furfanterie avvenute nella valle del terremoto dal ’68 in poi. Con la speranza di vedere implicati, finalmente, i nomi di qualche ministro dei Lavori Pubblici. Così scatterebbe l’intervento della commissione inquirente.
Gli altri patiti rispondono con il silenzio. Il caldo, la noia, pensano, aiuteranno a dimenticare questa interminabile vicenda. E come primo traguardo si propongono di ostacolare la pubblicazione delle tre relazioni di maggioranza e di minoranza. E tutto finisce nel dimenticatoio. a distanza di 37 anni dall’omicidio di Lipari molte cose rimangono incomprensibili

 

Fonte: antithesi.info

Il Circolaccio