Chiuse le indagini sul dirigente di polizia Giovanni Giudice: avrebbe favorito la criminalità organizzata di Gela. L’inquietante storia dell’uccisione alle spalle di un boss disarmato, l’aggressione e le violenze contro un avvocato, una minacciosa querela per tutelare alcuni soggetti del ‘sistema Montante’. Questo e tanto altro ancora sul conto di Giudice

L’avviso di conclusione indagini è stato notificato anche al funzionario di polizia, dott. Giovanni Giudice, indagato a piede libero nell’inchiesta “Camaleonte” per l’ipotesi di reato di corruzione e di accesso abusivo alla banca dati del sistema informatico del Ministero dell’Interno, per “spiare” – secondo quanto emerso dall’inchiesta – eventuali indagini a carico dei Luca.

Inoltre, arbitrariamente, presso il sevizio informatico del Viminale, sempre per conto dei Luca, avrebbero fatto accesso uno 007 dei servizi segreti civili ed un sovrintendente della Squadra Mobile di Caltanissetta, oggi in pensione. Anche agli ultimi due è stato notificato il decreto di chiusura delle indagini.

Ad un anno e mezzo dallo “tsunami” giudiziario che ha messo in ginocchio l’impero economico degli imprenditori Luca nell’ambito dell’inchiesta “Camaleonte”, i magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta mettono un punto fermo sulle indagini che già, nell’estate dello scorso anno, avevano fatto emergere rapporti di cointeressenza tra i Luca e gli uomini di Cosa Nostra dei Rinzivillo, oltre che il ruolo deviato di tre rappresentanti dell’apparato dello Stato.

Ai dieci indagati – oggi tutti a piede libero – è stato già notificato il decreto di conclusione delle indagini.
Destinatari del provvedimento, oltre ai tre poliziotti, ci sono i fratelli imprenditori Francesco e Salvatore Luca, il figlio di questi Rocco, ai quali si contesta il concorso esterno in associazione mafiosa; quattro loro congiunti, ovvero Francesco Gallo, genero di Salvatore Luca; Maria Assunta Luca, Concetta Lo Nigro ed Emanuela Lo Nigro (rispettivamente figlia, moglie e cognata di Totò Luca), tutti rimasti implicati nell’inchiesta per l’ipotesi di
reato di riciclaggio.

Sulla controversa figura del super poliziotto Giovanni Giudice, che è stato tra l’altro anche capo della Divisione Anticrimine della Questura di Agrigento, ci sarebbe molto da aggiungere. Per lui parlano le cronache relative ad alcune sue opache azioni investigative. Si tratta di una figura borderline. In passato è stato assai utile a sbrogliare determinate matasse per conto di non ancora ben individuate lobby. E qui ci fermiamo, considerato che proprio tale personaggio, nell’estate di 4 anni fa, ha avuto modo, tra le tante sue incombenze, di interessarsi di una sospetta inchiesta relativa ad una serie di articoli di giornale che riguardavano dei personaggi pubblici, a lui ben noti. Come per tutti gli altri casi di cui si è occupato il Giudice, anche riguardo a questa vicenda è stato molto sbrigativo. Si è infatti lasciato andare, attraverso delle affrettate conclusioni. Si è fatto prendere la mano, incolpando e facendo incolpare, per quegli articoli, ritenuti diffamatori, delle persone che poco o nulla c’entravano o c’entrano riguardo alla loro pubblicazione. Senza ovviamente entrare nel merito delle delicate questioni sollevate, proprio in quegli articoli, che riguardano alcuni politici e funzionari pubblici coinvolti nel cosiddetto’sistema Montante’ e che adesso risultano sotto inchiesta e/o rinviati a giudizio per una caterva di reati. Ci riferiamo, in modo particolare, all’ex vice presidente della Regione, Mariella Lo Bello ed all’attuale sindaco di Naro, Maria Grazia Brandara, entrambe sotto inchiesta presso la Procura di Caltanissetta. La Brandara è inoltre sotto processo a Messina e sotto inchiesta anche a Siracusa. Del resto, sempre l’ex capo dell’Anticrimine di Agrigento, si è reso pure protagonista di un’aggressione e di una violazione di domicilio, ai danni di un noto avvocato agrigentino, che voleva addirittura fare ricoverare con la forza, senza alcun presupposto, presso un reparto di psichiatria. E potremmo pure continuare a sciorinare le sue prodigiose gesta, le sue sceriffate che, in un caso gravissimo ed eclatante, lo hanno visto protagonista dell’uccisione, alle spalle, di un boss disarmato. Anziché arrestare quel capomafia, la squadra di poliziotti capitanata dal Giudice, in quella circostanza, preferì ucciderlo a bruciapelo, mentre stava scappando. Non tentarono cioè di catturarlo, ma preferirono sbarazzarsene con un colpo di pistola alla nuca.

A proposito di quest’ultimo inquietante episodio ecco cosa riportava il giornale La Repubblica il 7 dicembre del 2007:

“Latitante da 11 anni, nascosto in un casolare nelle campagne di Enna. Ha cercato di fuggire

Colpito da due proiettili. Era nella lista dei dieci ricercati più pericolosi

Sparatoria durante la cattura
Muore il boss mafioso Emmanuello

Fu il carceriere di Giuseppe Di Matteo, 12 anni, gettato nell’acido
La vedova: “Giusto che lo prendessero non che lo uccidessero”

 

<B>Sparatoria durante la cattura<br>Muore il boss mafioso Emmanuello</B>Il casolare dove è stato ucciso Emmanuello

ENNA – Ucciso dalla polizia il boss latitante di Gela, Daniele Emmanuello. L’uomo, 43 anni, ricercato dal 1996 per associazione mafiosa, traffico di droga e omicidi, è morto stamane, colpito da due proiettili sparati da uno degli agenti che stavano cercando di catturarlo in un casolare nelle campagne dell’ennese, nel quale si era rifugiato.

Gli inquirenti dicono che i colpi d’arma da fuoco, sette in tutto, sono stati sparati “in aria”, e solo dopo avere intimato più volte all’uomo ‘fermo, polizia’. Emmanuello, però, con il pigiama addosso, ha scavalcato la finestra tentando di fuggire. “A questo punto – dicono gli investigatori – i poliziotti hanno sparato”. Un paio di proiettili hanno raggiunto il boss, uno alla nuca.

“Era giusto che lo prendessero – ammette la vedova del boss, Virginia Di Fede – ma non che lo uccidessero. Mio marito non era armato, ma qualcuno lo ha dipinto come un lupo feroce, invece, non l’ho mai visto trattare male qualcuno. Non credo nella giustizia e non ne so nulla della mafia”. “Mio marito scappava perché lo perseguitavano. Tutta la sua famiglia è perseguitata”, afferma la donna. Quarantadue anni, nullatenente, nel 2006 Virginia Di Fede venne licenziata dal comune di Gela dove lavorava come precaria. Era stata assegnata al servizio di assistenza domiciliare agli anziani, ma era stata trasferita a lavori d’ufficio presso l’assessorato all’ecologia, grazie a un certificato medico che attestava l’inabilità a quel tipo di lavoro a causa di dolori articolari a un braccio.

La magistratura ha aperto un’indagine sulla sparatoria di stamane. “Gli agenti della squadra mobile di Caltanissetta sono riusciti nel loro compito di individuare il covo del latitante nel tentativo di arrestarlo. Per il resto – ha commentato il procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso – si dovranno accertare i fatti per fare piena luce sulla vicenda”.

Rispetto ai rapporti pluriennali con i titolari della concessionaria di Gela che avrebbero gratificato il Giudice, in cambio di una sua probabile attività di favoreggiamento, il giornale Ragusa news, lo scorso anno, riportava quanto segue:

“Gianni Giudice e u Zù Totò

Salvatore “Totò” Luca, fondatore della Lucauto, già nel 2006 fu colpito da un sequestro di circa 60 milioni di euro e accusato dalla Dia di Caltanissetta di essere un prestanome del clan Rinzivillo. Ma pochi mesi dopo il provvedimento, l’imprenditore denunciò di essere vittima di estorsione da parte del clan rivale, gli Emmanuello. Una testimonianza raccolta non dalla stessa Dia, ma dalla polizia guidata proprio da Giudice e che portò a diversi arresti. Oggi la Procura nissena la definisce «una pseudo collaborazione, al solo e dichiarato scopo di ottenere la revoca del sequestro preventivo della sua concessionaria». Cosa che avvenne sei mesi dopo la denuncia”.

Riguardo all’altro episodio, quello dell’aggressione da parte sempre del Giudice, nei confronti dell’avvocato agrigentino Giuseppe Arnone, sapete come è andata a finire? La notizia dei risvolti giudiziari, relativi a quest’altro inqualificabile episodio, è di questi giorni ed è stata riportata anche da italyflash 5 giorni fa…

IMPORTANTISSIMA SENTENZA EMESSA IERI DAL TRIBUNALE DI AGRIGENTO RELATIVA ALLO SCONTRO TRA IL VICEQUESTORE GIOVANNI GIUDICE E L’AVV. GIUSEPPE ARNONE.

Assolto Arnone: non oltraggiò il vicequestore Giovanni Giudice. 

E’ destinata ad avere conseguenze dirompenti la sentenza di assoluzione emessa ieri pomeriggio dal Giudice del Tribunale di Agrigento, Antonio Genna, nel procedimento per oltraggio a pubblico ufficiale a carico di dell’avv. Giuseppe Arnone, difeso dagli avvocati Francesco Menallo e Daniela Principato.

L’emissione della sentenza di assoluzione è stata preceduta da durissime dichiarazioni spontanee dell’avv. Arnone, che ha ribadito in modo esplicito le vicende per le quali il Procuratore Luigi Patronaggio e il Presidente della I Sezione del Tribunale di Agrigento Alfonso Malato, nonché l’ex Procuratore Capo Renato Di Natale sono indagati avanti al Tribunale al Gip di Caltanissetta per avere garantito l’impunità a Giovanni Giudice e all’ispettrice Maria Volpe.

La sentenza di ieri smentisce radicalmente la denunzia formulata contro Arnone da parte di Giovanni Giudice e Maria Volpe, vicequestore ed ispettrice di Polizia, secondo i quali Arnone avrebbe oltraggiato Giovanni Giudice, insultandolo a freddo con la frase “Lei cu minchia è?“.

I due, Giovanni Giudice e Maria Volpe, avevano scritto che Arnone aveva pronunziato la frase insultante non appena Giovanni Giudice il 30 settembre 2015 si era presentato all’avv. Arnone per impedire la conferenza stampa.

Invece il video di quella mattina del 30 settembre 2015, prodotto in udienza dall’avv. Daniela Principato, ha smentito clamorosamente i due poliziotti poiché Arnone pronunzia la frase “Lei cu minchia è?” dopo essere stato aggredito ed insultato da Giovanni Giudice e soprattutto immediatamente dopo le minacce profferite da Giovanni Giudice di sottoporre Arnone a trattamento sanitario obbligatorio.

Ieri la sentenza che ancora una volta dà pienamente ragione a Giuseppe Arnone e sancisce i comportamenti contrari alle leggi per i quali i magistrati di Agrigento dovranno comparire il prossimo 20 novembre, cioè venerdì prossimo, avanti al Gip di Caltanissetta.

Com’è noto i video dell’aggressione di Arnone, acquisiti dal Giudice Genna, sono consultabili e visionabili da chiunque cliccando su YouTube il seguente titolo “La Polizia aggredisce l’avvocato Giuseppe Arnone all’interno del suo studio“. Questo è il link: https://youtu.be/A9V0BErkGUI

Infine già nelle prossime ore l’avv.ssa Daniela Principato, sulla base della sentenza chiederà che immediatamente, prima che i reati si prescrivano, Giovanni Giudice e Maria Volpe vadano a processo per calunnia ed altro ancora.