Andrea Raia assassinato nell’agosto del 44

Quello di Andrea Raia, segretario della Camera del lavoro di Casteldaccia, fu il primo delitto mafioso del secondo dopoguerra in provincia di Palermo. Raia venne assassinato a Casteldaccia, un comune della fascia costiera vicino Palermo, la sera del 5 agosto 1944. Era membro per conto del Pci della Commissione comunale per il controllo dei granai del popolo. Puntiglioso nello svolgere il suo ruolo, si scontrò ben presto con l’amministrazione comunale. Nonostante i tentativi delle autorità di ridimensionare il significato dell’assassinio, tratteggiando la figura dell’attivista politico-sindacale come quella di un poco di buono, donnaiolo e spesso “alticcio”, alla fine, lo stesso maresciallo della stazione dei carabinieri di Casteldaccia non poté esimersi dallo scrivere «che la uccisione del Raia sia stata determinata dalla attività da lui svolta in favore dei granai del popolo e per la propaganda contraria che gli faceva l’Amministrazione Comunale e specialmente il Sindaco al quale era pervenuta la notizia che il Raia aspirava a sostituirlo nella carica».
Significativo quanto dichiarò agli inquirenti la madre del Raia, Rosalia Tomasello, che aveva notato, subito dopo il misfatto, accorsero sul posto tra i primi i fratelli Francesco ed Onofrio Tomasello, pregiudicati e temibili mafiosi: «Pochi minuti dopo che mio figlio Andrea era caduto a terra davanti alla porta siccome colpito da una fucilata, […] di cui Onofrio è rimasto davanti alla porta, mentre il fratello Ciccio è entrato in casa. Nessuno dei due mi ha salutato né mi ha chiesto che cosa era accaduto. Non mi sembrarono affatto impressionati anzi abbastanza cinici. Erano appena giunti che il Tomasello Francesco rivolto al fratello Onofrio disse: “È morto possiamo andare”. Infatti si allontanarono in direzione di casa loro e precisamente in direzione della piazza».
La madre di Raia nella deposizione aggiunse altri particolari significativi: «Francesco rivoltosi a me in tono sommesso mi ha detto: “Perché non lo levate non vedete che è morto?”. Con le famiglie dei fratelli Tomasello non abbiamo mai tenuto buoni rapporti nonostante fossimo lontani parenti. Ci siamo però scambiati il saluto. I fratelli Tomasello non furono notati in corteo funebre in onore di mio figlio, a cui partecipò una imponente e larga rappresentanza di popolo. Tutto il paese è venuto a farmi visita. Solo le famiglie Tomasello non si degnarono farlo. (…) Io con i miei occhi ho visto due volte mio figlio insieme ai Tomasello, a Di Domenico ed altre persone del Comune e conoscendo la loro capacità a delinquere ho detto per ben dire due volte a mio figlio le seguenti parole: “La madre non voglio che tu frequenti questa compagnia”. Egli più che convinto mi rispose: “Io lo so purtroppo che debbo morire tra le loro mani”. Sono più che convinta che mio figlio è stato assassinato ad opera dei fratelli Tomasello a causa della sua condizione di membro del Comitato Popolare di Controllo, la cui attività era d’intralcio a quella dei Tomasello che assieme ad altri elementi del Comune hanno sempre sperperato ai danni dell’amministrazione comunale o della povera gente».
Gli stessi carabinieri non poterono esimersi dallo scrivere nel loro rapporto giudiziario che «a spingere i Tomasello ad assassinare Raia erano state “ragioni di dominio” e la paura che Raia potesse danneggiarli nei loro traffici con il grano, oltre a farne emergere il coinvolgimento diretto del saccheggio del mulino Piraino di Casteldaccia». Per gli inquirenti, però, i fratelli Tomasello non erano gli unici a cui avrebbe fatto comodo mettere a tacere Raia. I Tomasello «patrocinavano la causa del Comitato Comunale», i cui componenti più volte si erano «malamente pronunziati all’indirizzo del Raia». «Tutti – concludeva il verbale d’indagine – temevano dal Raia una azione di controllo spietata nei confronti del passato recente e lontano, tanto da decretarne l’eliminazione».
I fratelli Tomasello furono denunciati come presunti autori del delitto Raia, ma il 2 luglio del 1945 vennero assolti per insufficienza di prove al processo. A scagionare i fratelli Tomasello furono le innumerevoli deposizioni a loro favore, che garantirono ai due un alibi di ferro. «Un supplemento di indagini sull’omicidio avvenuto il 5 agosto fu richiesto dallo stesso Togliatti. Ne risultò l’isolamento nel quale i comunisti conducevano a Casteldaccia la battaglia per gli ammassi». «I mafiosi si attivarono anche presso l’anarchico Michele Abbate perché intervenisse su Li Causi, conosciuto al confino di Ponza, per negare la matrice politica del delitto causato, secondo il capomafia, dalla lingua troppo lunga del Raia. Con Raia scomparve l’organizzazione comunista che sarebbe rinata dopo le elezioni del 1963, quando dagli storici 48 voti superò i 200 voti, grazie a un gruppo di giovani che, con i pochi antichi compagni, riaprono la sezione del Pci, intitolandola a Raia, con grande scandalo dei ben pensanti paesani».
Andrea Raia era nato a Casteldaccia il 7 dicembre del 1906. Figlio di Gaetano e Rosalia Tomasello, si sposò a Casteldaccia il 18 gennaio1934 con Santa Canale, dalla quale ebbe tre figli: Gaetano, Anna e Santa. Venne ucciso la sera del 5 agosto 1944, alle 23,30 in via Butera n. 5, proprio davanti alla sua abitazione, mentre con la sedia in mano stava rientrando in casa, dopo essersi riposato al fresco, per andare a dormire. Venne colpito nel momento in cui si girò verso l’uscio per rincasare. Nessuno pagò per la sua morte con il carcere anche se “La voce comunista” indicava i mandanti nei grossi proprietari fascisti. Era segretario della Camera del Lavoro di Casteldaccia, attivo sindacalista e membro del Comitato di controllo dei “Granai del popolo”. Gli venne affidato anche l’incarico di distribuire ai poveri tutte le provviste alimentari che arrivavano: farina, pasta, zucchero, ecc., e lui non approfittò mai di tutto l’approvvigionamento che gli veniva consegnato. Nel dopoguerra scarseggiava tutto e la gente pativa anche la fame, e lui custodiva le provviste di viveri, di materiali e di materie prime necessari a soddisfare le esigenze o ad assicurare la sopravvivenza della comunità di Casteldaccia.
Per vivere Andrea Raia si occupava della fabbricazione dei fuochi artificiali e, siccome conosceva bene l’arte pirotecnica, il lavoro non gli mancava mai. Infatti, gli veniva affidato sempre l’incarico da parte dei comitati delle feste di tutti i paesi vicini, in occasione delle ricorrenze in cui si richiedevano gli spettacoli con i giochi d’artificio. Era capace di curare molte malattie con le erbe, che ben conosceva, o con medicine preparate da lui; la gente aveva fiducia in lui e lo consultava ogni qualvolta ne aveva bisogno. Era esperto, inoltre, nei massaggi e sapeva alleviare i dolori muscolari o mettere a posto con adeguati movimenti le distorsioni e le lussazioni articolari. Per queste sue prestazioni non chiese mai compensi: era felice di guarire la gente che si infortunava. Era molto intelligente e ospitale e, pur non essendo istruito, sapeva stare con le persone colte, ricche e nobili.
E’ stato ucciso perché si opponeva alle speculazioni contro i granai del popolo. Durante la guerra, molti giovani soldati avevano perduto la vita per la patria e lo Stato mandò alle famiglie, che avevano perduto il figlio, un risarcimento in denaro. Andrea Raia, noto per la sua scrupolosità e correttezza, ebbe l’incarico di distribuirle equamente, ma molti componenti dell’Amministrazione comunale cercarono di convincerlo con le pressioni e le minacce a dividere tra loro quelle consistenti somme di denaro. Egli si oppose energicamente a quei tentativi di furto, contrari alla sua moralità e contro la gente che lui aveva difeso e per la quale aveva tanto lottato. Sicuramente questo fu il vero motivo per cui fu ucciso. A Casteldaccia per ricordarlo gli sono stati dedicati un obelisco e una via.
Il 26 ottobre 2019, nell’ambito del “progetto memoria”, la Cgil e il comune di Palermo gli hanno dedicato una strada del capoluogo.

Fonte mafie blog autore repubblica