AIUTÒ LA CACCIA A MESSINA DENARO ORA RISCHIA DI MORIRE IN CELLA

In attesa di giudizio nel carcere di Catanzaro, soffre di cuore e non può avere le cure adatte, ma i giudici non gli hanno concesso i domiciliari. La sua tormentata vicenda: da collaboratore del generale Mori all’accusa di essere un mafioso…

Ha 76 anni, gravemente malato ed è in attesa di giudizio recluso nel carcere di Catanzaro. Ma, come se non bastasse, ha da poco con-

tratto anche il covid 19. La stessa direzione sanitaria del carcere dice che non riesce a monitorarlo visto che, a causa del contagio, è posto in quarantena in un altro reparto. Ma nulla, per i giudici non è il caso di man- darlo ai domiciliari. Parliamo di Antonio Vaccarino, già vittima di malagiustizia, tan- to da essere stato recluso ingiustamente nel supercarcere di Pianosa. Nei primi anni del 2000 ha collaborato con i servizi segreti ca- pitanati da Mario Mori per la cattura di Mat- teo Messina Denaro. Operazione vanificata a causa di una fuga di notizie. Recentemen- te ha collaborato con la procura di Caltanis- setta, tanto da essere risultato importante per fornire elementi utili che hanno con- tribuito a portare alla condanna recente del super latitante come uno dei mandanti del- le stragi di Capaci e di Via D’Amelio. Ma an- cora una volta, la procura di Palermo l’ha inquisito e ottenuto la condanna di primo grado per aver favorito la latitanza di Mat- teo Messina Denaro.

Vaccarino ora è in pericolo di vita: è anche a rischio infarto visto che è affetto da car- diopatia ischemica, ipertensione arteriosa, aritmia per fibrillazione atriale persistente. Il mancato impianto di pacemaker, consi- gliato dai periti, e la somministrazione del farmaco Cardior sta esponendo l’uomo ul- trasettantenne a rischio blocco cardiaco e, conseguentemente, la morte.
Senza contare che durante la detenzione ha già subito un ricovero urgente in ospe- dale, ma è stato dimesso troppo presto. Tant’è vero – così si legge in una delle innu- merevoli istanze presentate dai suoi avvocati Lauria Baldassarre e Giovanna Angelo che al rientro del centro clinico interno al carcere, gli stessi medici hanno accerta- to che il detenuto in attesa di giudizio stava ancora male. Lo hanno sottoposto a una co- ronarografia presso l’ospedale Pugliese di Catanzaro e sono state diagnosticate altre patologie legate al cuore, oltre alla sindro- me ansioso – depressiva. Istanze rigettate anche in quel caso, nonostante la pande- mia e il rischio contagio.

Poi è arrivato il covid. Un enorme focola- io all’interno del carcere di Catanzaro che ha coinvolto anche Vaccarino. Gli stes- si medici scrivono testualmente nella re- lazione che «non sarà possibile effettuare quella assidua attività di controllo clinico prevista per la patologia». Ma per la Corte d’appello competente per ottenere i domi- ciliari, Vaccarino deve rimanere comunque in una struttura penitenziaria. Nell’ordinan- za di rigetto, i giudici della Corte ordinano al Dap di trasferire il detenuto presso un al

tro carcere che possa garantire la cura del covid e l’assidua attività di controllo clini- co che necessita l’uomo anziano. Sarà una impresa non facile per l’amministrazione penitenziaria individuare una struttura pe- nitenziaria adatta: c’è il sovraffollamento con la conseguente difficoltà nel contene- re i focolai.

La via crucis giudiziaria

Vaccarino è stato sindaco di Castelvetrano e apparteneva alla corrente manniniana della Democrazia Cristiana. Il suo nome compa- re nel famoso rapporto di Amnesty Interna- tional del 1993 in cui vengono denunciate le torture che avvenivano nel supercarcere di Pianosa riaperto dopo le stragi di Capaci e di Via D’Amelio. Torture pesanti, dai pestag- gi all’illuminazione delle celle 24 ore su 24, raccolte anche dai magistrati di sorveglian- za. Parliamo di un uomo che finì recluso per associazione mafiosa grazie alle parole di un pentito – tale Vincenzo Calcara – che in seguito sarà dichiarato inattendibile da di- versi tribunali. Vaccarino verrà assolto per l’accusa di 416 bis e di recente ha ottenuto la revisione di un processo dove l’accusa si era basata sempre sulle parole di Calcara.

Più volte Vaccarino viene tirato in ballo dalla procura di Palermo. L’ennesima volta risa- le al 16 aprile del 2019. L’accusa – poi confer- mata dal tribunale (pri- mo grado) di Marsala – è di favoreggiamento ag- gravato alla mafia, per un’indagine che ha visto coinvolti anche un co- lonnello della Dia che la- vorava per la Procura di Caltanissetta (il colon- nello Marco Zappalà) e un appuntato in servizio a Castelvetrano (Giuseppe Barcellona), in merito a informazioni su indagini che ri- guardavano il boss latitante Matteo Messina Denaro.

Tutti e tre sono stati accusati a vario titolo dalla Dda di Palermo di “accesso abusivo a un sistema informatico” e “rivelazione di se- greti d’ufficio” e inoltre all’ex sindaco Vac- carino viene contestata l’aggravante di aver favorito Cosa nostra e la latitanza di Matteo Messina Denaro. E pensare che il Tribunale del Riesame di Palermo, al quale si era rivol- to Vaccarino, aveva annullato il provvedi- mento di custodia cautelare, non rilevando la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza. Anzi per il Tribunale del Riesame, lo scopo di Antonio Vaccarino era quello di ingra- ziarsi il titolare di un’agenzia funebre in pas- sato condannato per mafia, tale Vincenzo Sant’Angelo, per ottenere da lui informazio- ni sul contesto mafioso di Castelvetrano, da girare al colonnello della Dia Zappalà. Dopo qualche tempo, però, arriva il dietro front.

La procura di Palermo è ricorsa in Cassa- zione che ha annullato il provvedimento, inviandolo nuovamente al Tribunale del Ri- esame. Questa volta il provvedimento vie- ne ribaltato e a gennaio del 2020 Vaccarino viene rimandato in carcere. Poi il processo, e a luglio scorso arriva la condanna a sei an- ni di carcere.

Da una parte abbiamo la procura di Palermo che considera un delinquente Vaccarino, dall’altra la procura di Caltanissetta che l’ha considerato utile per capire i misteri delle stragi del 1992 e per far condannare Matteo Messina Denaro.

 

I servizi segreti diretti da Mori

In realtà, a causa di una fuga di notizie, gra- zie proprio alla sua passata collaborazione con l’allora Sisde, diretto all’epoca da Mario Mori, l’ex sindaco Vaccarino aveva ricevu- to una minaccia direttamente dal superlati- tante Matteo Messina Denaro. L’operazione d’intelligence era durata dai primi di ottobre 2004 fino a una buona parte del 2006. In so- stanza Vaccarino era riuscito a intraprende- re dei contatti epistolari con il latitante. Poi tutta l’operazione si fermò quando ci fu una fuga di notizie e un’indagine – poi subito ar- chiviata – della procura di Palermo proprio sul fatto che Vaccarino scrivesse i pizzini al su- perlatitante firmandosi “Svetonio”, pseudonimo indicato proprio da Mat- teo Messina Denaro.

L’epistolario di “Alessio” (così invece amava fir- marsi il super latitante), minuziosamente argo- mentato, talora orgoglio- so e nello stesso tempo strategicamente vittimi- stico, è pubblico e si tro- va in un libro reperibile su Amazon. Matteo Messina Denaro cita Jorge Amado, scrive che la giustizia è mar- cia fin dalle fondamenta e dice di pensarla come Toni Negri. Non esita a bollare come «venditore di fumo» chi allora dirigeva il Pa- ese, ovvero Silvio Berlusconi. Addirittura parla di questioni interiori.

Il metodo di quella operazione è quello classico che Mori ha sempre adotta- to anche quando era ai Ros. Non solo catturare direttamente il latitante, ma anche individuare i suoi circu- iti di fiancheggiamento e attività imprenditoriali illecite legate agli appalti. «Attraverso quindi i contatti che il signor Vaccarino fu sollecitato a prendere nell’ambito delle sue conoscenze dell’entourage di Messina Denaro – ha spiegato Mori durante il recente processo che  ha  visto come imputato

Vaccarino –, verso l’ottobre del 2004 arrivò una lettera al Vaccarino tramite un circuito specifico di corrispondenza applicato dal Messina Denaro e dai sui fiancheggiatori». Da lì quindi iniziò lo scambio epistolare che è durato circa due anni.

Una operazione che, nonostante poi sia in seguito saltata, ha comunque prodotto dei risultati. Si sono identificate un certo nume- ro di persone, in particolare si riuscì ad ot- tenere l’individuazione di un imprenditore che era colui che rappresentava gli interes- si del superlatitante. Così come l’individua- zione di Vincenzo Panicola, il cognato di Matteo Messina Denaro. Ma come mai l’o- perazione sfumò? È sempre Mori a spie- garlo. «Mentre era in corso questo scambio epistolare – racconta il generale -, nella pri- mavera del 2006 viene catturato Bernardo Provenzano. Nel materiale di cui fu trovato in possesso emersero alcuni pizzini. Uno scambio tra lui e Matteo Messina Denaro, nel quale quest’ultimo segnalava il suo col- legamento con Vaccarino».

L’attività si fermò, teoricamente solo tem- poraneamente, perché lo stesso Messina Denaro scrisse una lettera a Vaccarino per dirgli che non poteva al momento più scri- vergli visto che avevano arrestato Proven- zano. Il generale Mori spiega che si recò

da Pietro Grasso, che nel frattempo era di- ventato capo della Procura nazionale Anti- mafia, e spiegò la situazione. Grasso poi lo richiamò informandolo che la Procura ave- va preso atto dell’importanza della colla- borazione di Vaccarino, ma che riteneva di non volerlo trattare come fonte o collabo- ratore. A quel punto ci fu una fuga di noti- zie. Il nome di Vaccarino fu pubblicato su alcuni organi di informazione, la Procura di Palermo che, ricordiamo, non era più gui- data da Grasso, aprì un’inchiesta su di lui per associazione mafiosa, subito dopo ar- chiviata da ben nove pm di Palermo.

Dopo qualche tempo, esattamente il 2 novembre del 2007, giunge a Vaccarino l’ultima lettera – ma questa volta minacciosa e rabbiosa – di Matteo Messina Denaro. «Non ha neanche da sperare in una mia prematura scompar- sa o nel mio arresto – scrive il super boss nella parte conclusiva della lettera – per- ché qualora accadesse una di queste ipotesi, per lei nulla cambierebbe, in quanto la sua illustre persona fa già parte del mio testamento, ed in mia mancanza verrà sem- pre qualcuno a riscuotere il credito che ho nei suoi confronti, comun- que vada lei o chi per lei pagherà questa cambiale che ha forsennatamente firmato. Lei è un essere snaturato che non ha voluto bene neanche alla sua famiglia, si vergogni di esistere».

di Leonardo Berneri

Fonte: ilriformista