Nel giorno in cui il magistrato Rosario Livatino è diventato Beato, ma anche prima, e ne siamo sicuri anche dopo questo grande evento religioso, morale e civile, siamo sicuri che tra i tanti che hanno festeggiato e che da tempo si nascondono dietro l’immagine, adesso benedetta, di un magistrato, ci sono anche i suoi carnefici ed i loro eredi. Non ci riferiamo soltanto a chi materialmente ha contribuito, con grandi dosi di vigliaccheria e con la solita insopportabile ignavia, a farlo uccidere. Il riferimento, non del tutto casuale, riguarda anche il solito strumentale fanatismo, anch’esso purtroppo per certi versi religioso, che continua a lacerare la società e, soprattutto, tutte quante le nostre Istituzioni. È storia antica. È da troppi secoli che ci dividiamo, anche quando eravamo già divisi, quando ancora l’Italia unita non esisteva. Prima i Guelfi ed i Ghibellini e le loro fazioni interne: Bianchi, Neri e così via. Oggi c’è ancora chi specula sui soliti temi divisivi dimenticando un antico adagio latino, ossia che ‘in medio stat virtus’. In mezzo sta la virtù, e quindi il bene e quindi anche la giustizia, soprattutto quella veramente giusta. Eppure, per forza di cose, ci costringono ancora a dividerci, specie se parliamo proprio di giustizia. Da una parte i ‘giustizialisti’ e dall’altra i ‘garantisti’, come se si trattasse di due astratte categorie dello spirito. Roba per soli iniziati o per sacerdoti e sacerdotesse del diritto, considerati gli unici depositari del bene e del male. Loro e soltanto loro, specie se rivestono qualche prestigiosa carica pubblica o se sono ammantati da una sorta di aurea ideologica, possono dirci cosa è giusto e cosa è sbagliato, al di là della realtà e, soprattutto, al di là della verità, qualunque essa sia. Oggi è stata consacrata, per la prima volta nella storia della Chiesa Cattolica, la figura di un magistrato, in tempi in cui l’immagine della magistratura, tanto per usare un eufemismo, è molto appannata. L’intera categoria dei tutori della legge, recentemente caduta in disgrazia, è al centro di una miriade di scandali e sta tentando di processare sé stessa. Con le celebrazioni religiose e laiche in onore di un magistrato nel vero senso della parola, di un autentico martire della mafia, finalmente, era ora, la magistratura italiana torna a respirare un po’ di aria pura. Per alcuni, come è noto, l’intero ordine giudiziario è considerato una intoccabile casta. Per altri è l’unico vero partito politico sopravvissuto a tangentopoli ed a mafiopoli. Partito a sua volta, come è noto, diviso in correnti, dentro e fuori il Consiglio Superiore della Magistratura. Insomma un bel casino! E la giustizia in tutto questo che fine ha fatto? Bè, per quella ci sarà modo e tempo di dibatterne. Basterà ricordare i tanti magistrati martiri come Livatino per lavarci tutti quanti la coscienza? Popolo compreso ovviamente. Forse si, forse no. Anche i ricordi, in questi giorni di santificazione giudiziaria, e non solo, ognuno li tira, per conto suo, dalla sua parte. Tutti ricordano Francesco Cossiga quando si è scagliato contro l’allora presidente dell’ANM, Luca Palamara, da lui definito un’insulsa ‘faccia di tonno’ ed additato quale capo di un’associazione a delinquere comprendente quasi tutti i magistrati italiani. Stiamo parlando di un paio di lustri fa. La maggioranza degli italiani, allora, rimasero sconvolti nel sentire tali perentorie, offensive e diffamanti affermazioni di Cossiga, riguardanti l’intera categoria delle toghe. Si tratta di tanti magistrati che per varie ragioni, anche personali se vogliamo, a partire in modo particolare dal 1992, quando scoppiò tangentopoli, ma noi propendiamo a sostenere che anche prima era così, da servitori dello Stato si sono via via trasformati in detentori di un potere assoluto, non solo indipendente dagli altri poteri, ma anche irresponsabile. C’è chi dice invece che le cose non sono andate avanti in questo modo e che invece la Magistratura italiana ha fatto solo il suo dovere, al netto dei tanti e forse anche troppi errori giudiziari. Eppure Cossiga, nella sua qualità di presidente del CSM, cioè anche da capo dei magistrati italiani, ci teneva particolarmente ad allarmare tutti quanti riguardo alla perdita di un quanto mai fondamentale equilibrio tra i Poteri dello Stato. Il grave pericolo che correvamo allora, e che secondo i cosiddetti garantisti, quelli autentici e non quelli speciosi e pelosi, corriamo ancora oggi, è sempre quello di andare incontro ad una vera e propria deriva giudiziaria. E poco importa se a dircelo, alcuni anni fa è stato il primo vero rottamatore della nostra storia repubblicana. È risaputo da tempo che il ‘sistema Italia’, sin dal Secondo Dopoguerra, seppure fondato su degli essenziali ma purtroppo delicati pesi e contrappesi, è deragliato perché camminava su binari non proprio solidi. Quelli che pensavano di avere costruito a dovere i nostri Padri Costituenti. Dalla Strage di Portella della Ginestra in poi, lo sappiamo tutti che si è sempre di più consolidato, tanto per semplificare, il cosiddetto patto Stato-mafia. Continuare a vivere di ipocrisie, non giova a nessuno e, soprattutto, non giova alla nostra debolissima democrazia. Se non decodifichiamo in questi termini ciò che è successo e che purtroppo continua a succedere, in una Nazione come la nostra, in cui i poteri costituiti sono da sempre scesi a patti con dei poteri occulti e deviati, ed allora non abbiamo davvero capito nulla. Se proprio ci vogliamo dare una spiegazione riguardo alle tante, troppe vittime, più o meno eccellenti, di uno Stato che ha da sempre ceduto al cospetto dei poteri criminali ed eversivi, dobbiamo sempre e comunque analizzare questo perverso intreccio. Considerato che oggi celebriamo il Beato della Chiesa Cattolica, Rosario Livatino, non vogliamo uscire dal perimetro di un’Ordine, quello giudiziario, continuando a ricordare oltre a Livatino, ovviamente anche Borsellino, Falcone, Saetta, Chinnici, Costa, Terranova e via via tutti gli altri magistrati e non, guarda caso quasi tutti siciliani, che hanno pagato con la vita il loro senso del dovere e, soprattutto, il loro senso autentico dello Stato. Purtroppo la memoria storica ci consegna il ricordo di una civiltà, quella siciliana, che Leonardo Sciascia definiva la civiltà dell’uomo solo. In molti, oltre ai magistrati, come ben sappiamo, sono diventati vittime e bersagli della mafia e/o di uno Stato criminale, proprio perché sono stati lasciati soli a difendere i diritti fondamentali dei cittadini; e tra questi il più importante di tutti, il diritto ad avere Giustizia, quella con la G Maiuscola. Purtroppo, ahimè, più o meno inconsapevolmente, sempre il già citato presidente Cossiga, a proposito proprio di Livatino, in questo caso, a differenza di Palamara, si sbaglió di grosso, definendolo un ‘giudice ragazzino’; volendo così sminuirne non solo la sua professionalità, ma anche la sua dimensione umana. È stato un gravissimo errore. Cossiga non si era reso conto di chi stava, in quel caso, sproloquiando. Livatino era un vero Uomo, un vero ed umile servitore dello Stato e delle sue istituzioni, come purtroppo non se ne trovano più. Ecco perché lo hanno beatificato.