ASSOLTO IN CASSAZIONE L’AVVOCATO VALENZA SCRIVE AI SUOI COLLEGHI: HO PAGATO UN PREZZO ALTISSIMO PER DIFENDERE I PIU’ DEBOLI, GLI ULTIMI E LE VITTIME DELL’ARROGANZA DEL POTERE

Sono fiero del mio avvocato Ignazio Valenza, definitivamente  assolto in Cassazione, dopo essere stato ingiustamente perseguitato. Si tratta di un avvocato nel vero senso della parola, di un vero uomo che, come scrive lui stesso, in una lunga lettera, indirizzata a tutti i suoi colleghi: Non ho esitato a fare fino in fondo il mio dovere di avvocato, quando c’era chi mi sussurrava, in modo non tanto velato, che ai vertici dell’allora Procura della Repubblica, non era gradita la mia difesa in un paio di processi a forte connotazione mediatica. Mi sono mortificato!”.

Per la cronaca, alcuni di questi processi, che allora stavano a cuore ad uomini del cosiddetto ‘Sistema Montante’, erano i miei.

Ci auguriamo adesso che l’avvocato Valenza, dopo aver subito una lunga ed insopportabile gogna mediatica, diventi un modello di riferimento, non solo per i suoi colleghi, ma anche per i tanti giornalisti dalla schiena curvilinea, il cui mestiere, peraltro mal pagato, è stato assai spesso quello di divulgare i contenuti di imposture giudiziarie ben architettate e propalate, con tanto di spettacolari  conferenze stampa, da alcuni soggetti che poco hanno a che spartire con la Giustizia Vera e con lo Stato di Diritto.

I nostri destini, quello mio e quello dell’Avvocato Valenza, si sono incrociati allorquando si è abbattuto su entrambi un sistema di potere politico-mediatico-giudiziario che nel nostro caso, in maniera del tutto sbrigativa, potremmo oggi definire, mutuando il titolo del mio libro pubblicato il 18 aprile 2019, ‘Sistema Montante’. Prima hanno colpito ed affondato il sottoscritto, quando ero sindaco del Comune di Racalmuto, attraverso una serie di procedimenti penali farlocchi, culminati nell’aprile del 2012 persino in un ingiusto scioglimento per mafia del Comune di Racalmuto. In quei terribili frangenti  mi avevano trasformato in  un pericolosissimo  colpevole di una miriade di reati, che ovviamente non avevo commesso,  e che qualcuno se li era inventati di sana pianta. A quel punto, visto che l’Avvocato Valenza si ostinava a difendermi con determinazione,  in tutte le sedi giudiziarie, per costringerlo a mollarmi al mio destino  hanno pensato bene di azzopparlo. Che dico? Hanno fatto molto, ma molto di più! Dopo avergli, del tutto ingiustamente,  bloccato tutti i suoi conti correnti, hanno addirittura  tentato di arrestarlo, altrettanto ingiustamente!  La sua colpa qual era? Quella di difendere me e qualche altro suo cliente. Ditemi voi con quale aggettivo possiamo definire una tale persecuzione giudiziaria. Ma Valenza non si è fatto per nulla intimorire dal ‘Sistema’. E sì! Ci riferiamo proprio allo stesso ‘Sistema’  di cui parla Luca Palamara, l’ex presidente dell’Associazione  Nazionale Magistrati, nel suo libro intervista con il giornalista Sallusti.

Prima sul banco degli imputati c’ero solo io. Poi hanno deciso di farla pagare anche al mio avvocato. Ma una cosa del genere, secondo voi, si può definire  Giustizia?  Purtroppo, in tutt’Italia, i casi di malagiustizia, per far fuori a destra ed a manca politici, professionisti, imprenditori ed anche gente comune, ormai non si contano più. Non fanno più notizia! La terribile patologia del sistema-giustizia  è purtroppo accettata supinamente  anche nelle aule parlamentari. Nelle sedi istituzionali dove si dovrebbero approvare delle quanto mai opportune leggi per far fronte a questa terribile deriva giudiziaria, hanno tutti quanti paura di alcuni potenti magistrati che hanno messo sotto scacco la nostra Democrazia.

Ormai tutti abbiamo capito tutto! A questo punto diteci se per continuare a fare politica, l’avvocato, l’ingegnere o l’imprenditore, o se preferite il semplice cittadino, dobbiamo metterci in società, possibilmente a questo punto  in maniera palese e non occulta, con quei magistrati ben ammanigliati con il ‘Sistema’ imperante e la facciamo finita!

Preso atto che il Parlamento Nazionale, che è la massima Istituzione della nostra sedicente Repubblica Democratica, è succube  dell’Ordine giudiziario. Considerato che molti magistrati, non tutti per fortuna, anziché  garantire un servizio fondamentale, ossia il servizio giustizia, continuano impunemente a commettere dei palesi reati, più o meno dolosi  e nessuno riesce a sanzionarli. Visto che molti magistrati inquirenti e giudicanti,  imperterriti,  continuano ad accanirsi contro il popolo sovrano, in nome e per conto del quale sono chiamati ad agire nel rispetto della legge e dei diritti fondamentali dei cittadini, a questo punto  cosa ci resta da fare?  Iscriverci al club dei successori dei vari Palamara e/o Pignatone, se preferite. Non prima però di cancellare,  dalla nostra memoria storica,  qualche secolo di civiltà giuridica: da Cesare Beccaria ad oggi.

Salvatore Petrotto

A seguire potete leggere, e ve lo consiglio di vero cuore, la lettera del mio Avvocato, Ignazio Valenza…

LETTERA APERTA AI COLLEGHI AVVOCATI

Cari colleghi, avverto la necessità di informarvi che, finalmente, dopo circa nove anni di calvario giudiziario che mi ha visto imputato ed indagato in molteplici procedimenti penali, la Corte di Cassazione ha messo fine con l’annullamento senza rinvio e dichiarazione di intervenuta estinzione del reato per prescrizione dell’ultimo residuo capo di imputazione relativo al processo che più di tutti mi ha “esposto” alla gogna mediatica: il c.d. processo ECAP. Mi preme ricordare a quanti hanno seguito la vicenda giudiziaria che ha avuto ampio clamore mediatico, che la visibilità di cui godevo al tempo delle indagini ha, tra l’altro, avuto un ruolo determinante non solo nel procedimento ECAP (nel quale mi venivano contestati ben nove capi di imputazione con gravi reati, di cui cinque non hanno nemmeno superato il vaglio dell’udienza preliminare e tre sono stati oggetto di assoluzione in primo grado con ampia formula liberatoria) ma anche in altri procedimenti penali tutti conclusisi o con decreto di archiviazione o con sentenza di assoluzione con formula piena. Oggi, con franchezza, per un verso mi resta il rammarico di non aver ottenuto un’assoluzione nel merito per l’ultimo capo di imputazione e per l’altro la consolazione (nota a chi di noi è avvezzo a celebrare giudizi che arrivano in Corte di Cassazione già prescritti) che qualora il ricorso non fosse stato fondato, la Corte non avrebbe esitato a dichiararlo inammissibile. Ma questo era il massimo risultato ottenibile, posto che innanzi a un reato già prescritto la Corte di legittimità non poteva annullare con rinvio alla Corte territoriale essendo invece costretta a dichiarare l’estinzione del reato. Pur tuttavia, sento più che il piacere -che ovviamente è uno stato soggettivo e personale che condivido con pochi intimi- la necessità di affrancare la mia persona agli occhi di coloro che come me sono chiamati per vocazione e professione alla tutela dei diritti delle persone. Quando iniziarono le pregnanti indagini sul mio conto ad opera della locale Procura della Repubblica, al tempo diretta da Di Natale e Fonzo, fui investito da un inusitato ciclone giudiziario/mediatico degno del peggior criminale a piede libero presente nella nostra provincia. Per circa quattro anni di indagini sul mio conto (per lo più effettuate a “strascico” piuttosto che volte a verificare la fondatezza di una notizia criminis) ho subito intercettazioni telefoniche e ambientali, pedinamenti, sequestri giudiziari di risorse patrimoniali mie e della mia famiglia, iscrizioni nel registro degli indagati per gravissimi e infamanti reati, ho subito processi per reati già prescritti prima che iniziassero, richieste di misure cautelari personali, tentativi di condizionare il mio ministero difensivo in alcuni importanti processi che si tenevano presso il Tribunale di Agrigento. Da Avvocato e uomo rispettoso delle Istituzioni, mi sono spogliato delle molteplici cariche che al tempo ricoprivo, aspettando in silenzio di poter dimostrare nelle sedi proprie l’insussistenza degli addebiti che di volta in volta mi si contestavano in una “allucinante” sequenza che sembrava non dovesse mai aver fine. L’ho fatto in silenzio, quando avrei voluto gridare al mondo intero, da persona perbene quale sono sempre stato, quanto ingiusta fosse quella che ritenevo (ed oggi posso dire nel corso di questi anni è stato accertato) una spropositata, gratuita ed accanita aggressione nei miei confronti, della mia famiglia e della mia professione, fondata su congetture, pregiudizi e comportamenti pusillanimi di “uomini dello Stato”. Ho resistito ad un ciclone capace di destabilizzare e di abbattere affetti, amicizie e, soprattutto, la dignità di chi ne viene investito. Ho imparato a convivere silenziosamente, con i mormorii di quanti, amici -o tali da me ritenuti-, colleghi, clienti e conoscenti, alle mie spalle non lesinavano giudizi sulla mia moralità. Ho fronteggiato gli squali che nuotano nelle acque più torbide della nostra professione, che strumentalmente ponevano “questioni morali” esistenti all’interno del nostro Consiglio dell’Ordine di cui ero Consigliere Segretario, o altri che avrebbero voluto trascinarmi nell’arena mediatica, con reiterate provocazioni a dare giustificazioni in sedi non proprie. Ho tenuto duro, certo che sarebbe arrivato il momento in cui avrei potuto girare per i corridoi del Tribunale, incrociando lo sguardo basso di vergogna di quanti avevano troppo presto, troppo in fretta, sentenziato condanne sommarie in preda a conati giustizialisti. Non ho mollato quando sono stato ingiustamente privato delle mie risorse economiche a seguito di un illegittimo sequestro giudiziario, in un procedimento poi archiviato; né quando sono stato processato per un infamante delitto già prescritto, dal quale sono stato assolto -dopo aver rinunciato alla prescrizione- con formula ampiamente liberatoria. Non mi sono perso d’animo, quando a seguito di una richiesta di misura cautelare nell’ambito del processo c.d. ECAP, nelle lunghe ore in cui rendevo interrogatorio innanzi al GIP, il mio bimbo, allora di appena cinque anni, disperato e piangente, chiedeva alla madre inebetita se avessero arrestato il suo papà. Non ho esitato a fare fino in fondo il mio dovere di avvocato, quando c’era chi mi sussurrava, in modo non tanto velato, che ai vertici dell’allora Procura della Repubblica, non era gradita la mia difesa in un paio di processi a forte connotazione mediatica. Mi sono mortificato! Sì, mi sono mortificato quando le persone a me più vicine mi consigliavano di sommergermi in una sorta di invisibile status penitenziale. In quelle occasioni, non nascondo, mi è pesata la consapevolezza di essere ritenuto “impresentabile” agli occhi di tanti; tale sensazione in questi anni m’è sembrata un insopportabile macigno, ben sapendo nel mio intimo di essere persona per bene e rispettosa delle regole. Mi son sentito dire da molti: tu sei forte! Forse sì. Forse tanti avrebbero mollato. Ma da uomo e soprattutto da avvocato mi chiedo quale giustizia è quella che travolge i deboli, che cieca e bendata si intrufola nel più profondo dell’animo degli innocenti per stravolgerne gli affetti e carpirne la dignità e, spesso, sempre più spesso, esercita la sua forza piegando gli interessi di una società democratica e civile a quelli partigiani dei potenti. A queste mie domande penso che oggi, gli scandali che stanno investendo la magistratura diano ampie risposte. Per carità, con ciò non voglio dire che v’è ovunque marcio, ci sono tantissimi magistrati per bene che quotidianamente fanno il loro dovere anteponendolo ad ambizioni carrieristiche; uno tra tutti nella vicenda che mi ha coinvolto il GIP Ottavio Mosti, magistrato attento, libero e coraggioso, che, innanzi alle indebite pressioni ricevute dal sostituto procuratore che aveva richiesto la misura degli arresti nei miei confronti, non ha esitato a informare il CSM e a decidere con imparzialità, autonomia e indipendenza. Oggi che tutto è finito, posso dire: da uomo ho resistito, non ho mollato; da avvocato non ho esitato ad onorare la toga anche pagandone un prezzo altissimo, ma assolutamente convinto che non c’è prezzo che possa pagare l’onore di indossare quel “cencio nero” che mi dà la forza di continuare a battermi quotidianamente in difesa dei diritti dei più deboli, degli ultimi, delle vittime dell’arroganza del potere. Proprio così! Costi quel che costi, perché io sono un Avvocato, fieramente e orgogliosamente Avvocato.

Con affetto.                                                                                                                  Ignazio Valenza