Quadruplice omicidio e suicidio a Licata

Strage al culmine di una lite a Licata. Un uomo di 48 anni, Angelo Tardino, uccide quattro familiari e poi, braccato dai Carabinieri, si spara un colpo di pistola.

A Licata, alle prime ore del mattino di oggi, Angelo Tardino, 48 anni, si è recato a casa del fratello, Diego Tardino, 44 anni, in un’abitazione in via Riesi, in contrada Safarello, e, forse al culmine di una lite, ha impugnato una pistola Beretta calibro 9 per 21 e lo ha ucciso. Poi ha sparato mortalmente contro la cognata e moglie del fratello, Alexandra Angela Ballacchino, 39 anni, e due nipoti figli della coppia, Alessia di 15 anni, e Vincenzo di 11 anni. Dopo un disperato tentativo di fuga, ormai braccato dai Carabinieri, si è sparato due colpi di pistola alla tempia con una pistola a tamburo marca Bernardelli, in via Mauro De Mauro, dove è stato trovato agonizzante ed è stato trasferito d’urgenza, intubato, con l’elisoccorso, all’ospedale “Sant’Elia” a Caltanissetta. E’ stata dichiarata la morte cerebrale. E’ in coma irreversibile. Tardino è stato raggiunto al telefono dai Carabinieri, che lo hanno invitato a desistere dalla fuga e a presentarsi in caserma. Lui ha manifestato persuasione, poi, invece, i Carabinieri, al termine della telefonata, hanno udito i colpi di pistola. Secondo quanto emerso dalle prime indagini dei Carabinieri, capitanati dal colonnello Vittorio Stingo, e coordinate dal procuratore di Agrigento, Luigi Patronaggio e dal sostituto di turno Paola Vetro, e che si basano soprattutto sul racconto di alcuni vicini di casa, la lite in famiglia (e non sarebbe stata la prima) è stata scatenata da interessi economici legati alla divisione ereditaria tra i due fratelli di alcuni terreni agricoli e all’utilizzo di un pozzo. Angelo Tardino è titolare del porto d’armi, possedendo un fucile da caccia e le due pistole con cui ha sparato. A lanciare l’allarme è stata la moglie di Angelo Tardino. I Carabinieri hanno scoperto uno dei due bambini, Vincenzo, avvolto in una coperta sotto il letto: forse ha tentato di nascondersi.
Una strage familiare del genere ha un precedente storico a poca distanza da Licata, a Palma di Montechiaro, dove la sera del 21 giugno del 2000, in una villetta in campagna in contrada Celona, nei pressi del cimitero comunale, Vincenzo Sambito, 53 anni, bracciante agricolo e idraulico, si suicidò sparandosi un colpo alla tempia con una pistola calibro 7 e 65 dopo avere ucciso sua madre, Maria Salerno, 80 anni, le figlie Rosaria, 22 anni, e Marianna, 25 anni, e la moglie, Paola Amato, 46 anni. Sambito era stato operato di tumore un mese prima. La neoplasia era benigna. Tuttavia l’uomo, che sarebbe stato assillato dal non avere figli maschi, e forse temendo per la sua vita e per l’impossibilità della sua famiglia a sopravvivere alla sua morte, attuò il folle piano. Si salvarono solo un’altra figlia femmina, Valentina, di 14 anni, rimasta in casa in paese, e il fratello Gaetano, 43 anni, affetto dalla sindrome di down. Lui fu colpito da due proiettili, non mortali.

 

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