LE BUGIE DEI POTENTI- Un ricordo dell’on. Agostino Spataro

La delegazione italiana ricevuta al Pentagono. Agostino Spataro al centro fra gli onn. Vito Angelini (Pci) e il gen. Vito Miceli (Msi)

Non c’è dubbio che Vladimir Putin ha mentito, clamorosamente e ripetutamente, di fronte alle accuse (di fonte Usa) affermando che l’ammassamento di truppe al confine ucraino era una normale esercitazione e non un’attività preparatoria in vista di una programmata invasione dell’Ucraina. Ha mentito, com’è nella tradizione di chi si appresta a commettere un’aggressione e, ovviamente, non vuole farlo sapere in anticipo.

In questa mia nota desidero ricordare un episodio (accaduto nel febbraio 1986 al Pentagono- Washington), nel corso dell’incontro fra una delegazione parlamentare italiana e Kaspar Weinberger (Segretario di stato alla Difesa) e l’ammiraglio Crowe, capo degli Stati maggiori della difesa Usa) ai quali posi, contro il parere del mio capo delegazione, una domanda circa una ventilata aggressione Usa alla Libia di Gheddafi. Weinberger non rispose, mentre l’ammiraglio negò su tutta la linea. Salvo 40 giorni dopo scatenare un terribile bombardamento su Tripoli. Ovviamente, fra le due aggressioni c’è una differenza rilevante: nel primo caso (Russia) si tratta di una invasione (per quanto mirata) via terra ed aerea che si protrae nel tempo, nel secondo caso (Usa) di un sanguinoso blitz aereo durato alcune ore. Sapemmo dopo che molti governi europei (in primis quello italiano) disapprovarono il blitz di Reagan contro la Libia. Ma ecco i brani tratti da un articolo più ampio: https://www.welfarenetwork.it/aldo-moro-il-vero-artefice-della-svolta-verso-il-mondo-arabo-agostino-spataro-20200829/

“3… La visita della delegazione in Usa andò molto bene. Fu molto utile (almeno per noi) per conoscere taluni aspetti delle relazioni politiche bilaterali in campo militare e anche alcuni siti e infrastrutture di notevole importanza strategica.

Il dato più rilevante, inedito, sul piano politico di quella visita era costituito dal fatto che, per la prima volta, alcuni esponenti qualifi­cati del Pci erano stati invitati, ufficialmente, dall’amministrazione Reagan e ricevuti al Pentagono dal segretario della difesa in carica.

Come scrissero diversi quotidiani nazionali (dal “Messaggero” al “Giorno”, da “l’Unità al “Il Tempo” ecc), “per la prima volta Weimberger ha ricevuto (al Pentagono) tre parlamentari comunisti italiani: gli onorevoli Vito Angelini, Giuseppe Gatti e Agostino Spataro.”

Di là delle persone coinvolte, il fatto ebbe un certo rilievo per que­sta “prima volta” di tre esponenti del Partito comunista italiano che mettevano, ufficialmente, piede dentro il Pentagono.

La preparazione della delegazione era stata molto laboriosa e accompa­gnata da una sorta di trattativa fra la Camera dei Deputati e la sede diplomatica Usa per aggirare, in qualche modo, il divieto d’in­gresso di comunisti negli States.

Per altro, in base al programma della visita, i delegati comunisti avrebbero avuto contatti politici qualificati e accesso ad alcune im­portanti infrastrutture missilistiche (anche nucleari) e di comando e controllo.

Alla fine, prevalse il buon senso. L’ostacolo fu aggirato sulla base di un escamotage secondo cui la nostra richiesta di visto non era avanzata da cittadini italiani iscritti al Pci, ma da membri del Par­lamento italiano invitati, in delegazione, dal ministero della Difesa Usa.

Strani questi americani! Avevano fatto tante storie per concederci il visto d’ingresso, ma, una volta entrati, ci hanno fatto visitare per­fino una batteria di missili nucleari inter­continentali in una base dell’Ohio, vari sistemi d’arma, i laboratori di ricerca sulle “armi stellari” a Livermore (San Francisco) e il comando sotterraneo del Norad di Cheyenne Mountain, nei pressi di Colorado Spring.

L’unico divieto al quale tenevano era quello di non fotografare gli impianti. E noi lo rispettammo!

4… Fummo ricevuti al massimo livello politico e mili­tare: dal Segretario di Stato alla Difesa, Caspar Weinberger, e dall’ammira­glio William Crowe, presidente del comitato dei capi di stato mag­giore delle forze armate statunitensi.

Anche questo era un segno importante di considerazione politica per una delegazione parlamentare italiana che, per giunta, include­va alcuni deputati comunisti.

Nei pourparler preparatori dei due incontri politici feci sapere ai colleghi della delegazione che ero intenzionato a porre al segretario di Stato e all’ammiraglio una domanda circa le voci, già circolanti in taluni ambienti in Italia, di un prossimo attacco Usa alla Libia.

Fui vivamente sconsigliato dal porre domande del genere che avrebbero potuto turbare il clima di amicizia e l’ottima accoglienza riservataci, senza, per altro, potere sperare di ottenere una risposta appropriata.

L’on. Attilio Ruffini, capo della nostra delegazione, me lo disse più di una volta: “Mi sembra una cosa inutile oltre che inopportuna. E poi, scusami, ammesso che ci sia qualcosa di vero, lo vengono a dire a te, a me?”

Anch’io ero convinto che l’avrebbero negata o ignorata. Tuttavia, posi lo stesso la domanda per far sapere loro che la “cosa” già si sapeva in giro.

Infatti, Crowe negò tale possibilità senza tentennamenti, mentre Weimberger, semplicemente, non rispose alla domanda. Salvo, 40 giorni dopo, scatenare il micidiale attacco contro la Libia.

La super corrente “filo araba” della Democrazia Cristiana…”

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