Interamente tratto da:
LA CONFESSIONE: «50 MILIONI A MATTARELLA»
Anche il nome del deputato Sergio Mattarella, divenuto commissario regionale della DC dopo la uccisione del fratello Piersanti, presidente della Regione Sicilia, attribuita alla mafia tra molti misteri irrisolti, era già comparso nei verbali d’interrogatorio prima del blitz.
Il 21 aprile, infatti, Salamone aveva già accennato all’episodio di un contributo: «Altro uomo politico che ha goduto della mia stima è stato l’onorevole Sergio Mattarella al quale in occasione delle elezioni politiche del 1991 ho fatto pervenire un contributo di lire 50.000.00; tuttavia mi preme rilevare che il Mattarella benchè uomo politico impegnato nel rinnovamento è un soggetto che poco si è impegnato direttamente per favorire la spesa pubblica in Sicilia».
In quell’occasione fece il grossolano errore di riferirsi al 1991 anziché alle elezioni del 1992. Ma nei successivi interrogatori illustrò dettagli e motivazioni.
«In tale quadro si inserisce anche un’attività per così dire “preliminare” del Salamone, rispetto a quella principale di cui, in via di estrema sintesi, si è finora detto. Il Salamone ha infatti svolto anche un’opera intesa ad aprire nuovi “canali di comunicazione” con esponenti politici diversi rispetto a quelli abitualmente conosciuti. E’ qesto il caso dell’onorevole Sergio Mattarella, al quale l’imprenditore ha dichiarato di aver corrisposto un finanziamento complessivo di lire 50.000.000 nell’imminenza del rinnovo delle Camere nella primavera del 1992» si legge sempre nell’atto parlamentare n. 552 del 9 agosto 1993.
Ma è nell’interrogatorio del 7 giugno 1993 che l’imprenditore diventa un usignolo capace di calibrare al meglio tutte le intonazioni: «In ordine ai finanziamenti all’onorevole Sergio Mattarella devo precisare che questi mi fu presentato da un mio compagno di scuola, oggi funzionario regionale, in quanto era mio intendimento avere buoni rapporti anche con altri esponenti della sinistra DC di rilievo. L’incontro con il Mattarella avvenne presso il suo studio di via Libertà, alla presenza dell’allora Sindaco di Palermo, Leoluca Orlando. Nell’occasione si parlò genericamente dei problemi dell’imprenditoria siciliana “sana” e l’Orlando mostrò la sua soddisfazione per essere riuscito a risolvere il problema degli appalti delle “manutenzioni” del Comune di Palermo».
«Successivamente ho incontrato il Mattarella presso un centro studi di via del Tritone a Roma. In questa occasione mi sono detto disponibile a sostenere la campagna elettorale dello stesso Mattarella. Così nel marzo 1992 ho consegnato presso l’abitazione di via Libertà del parlamentare, la somma di lire 50milioni, di cui 40milioni in contanti e 10 milioni in “buoni benzina”, dei quali mi riservo, ove possibile, di indicare specie e numero di serie» riferì lo stesso Salamone ai magistrati menzionando anche il particolare di aver notato sulla parete della casa il quadro di un paesaggio rurale di Lo Iacono che l’allora deputato Dc gli disse aver ricevuto in dono dal suocero.
Fino a confermare il 23 luglio la prassi sempre vincente: «sebbene i politici non l’avessero mai favorito direttamente nell’aggiudicazione della gara, gli interessamenti dei soggetti da lui “caldeggiati” per il finanziamento di una certa opera pubblica si risolvevano (seppur indirettamente) in un’agevolazione rispetto agli altri imprenditori potenzialmente concorrenti.
LE RAPIDE INDAGINI E L’AMMISSIONE DI MATTARELLA
«La condotta descritta da Salamone integra per il Mattarella gli estremi del reato di cui agli articoli 7 della legge 2 maggio 1974 n. 195 e 4 della legge 18 novembre 1981 n. 659. Infatti, il versamento di denaro di cui parla il Salamone è avvenuto in violazione delle forme previste dalla legge sul finanziamento ai partiti, ai membri del Parlamento ed ai candidati alla relativa carica» chiosano i magistrati evidenziando che siccome Salamone è un coindagato, per l’articolo 192. co. 3 del Codice di Procedura Penale, serve l’individuazione di ulteriori elementi che riscontrino le dichiarazioni rese.
«Due grandi imprenditori siciliani nelle ultime settimane hanno parlato con i giudici, hanno raccontato tutti i meccanismi di assegnazione dei grandi appalti, hanno svelato qual è la “legge” per conquistare gare e costruire dighe, ponti, grandi opere. Gli imprenditori sono “numeri uno” in Sicilia – aveva riportato il giornale di Eugenio Scalfari il 6 maggio 1993, ovvero venti giorni prima degli arresti – Il primo è l’ ingegnere agrigentino Filippo Salamone, titolare della “Impresem”, uno dei colossi dell’ edilizia nell’ isola. L’ altro è Giuseppe Costanzo, il figlio del chiacchierato cavaliere catanese Carmelo. Tutti e due, Salamone e Costanzo, secondo alcune indiscrezioni avrebbero rivelato ai magistrati della procura distrettuale di Palermo di avere anche sponsorizzato partiti e uomini e di avere sostenuto campagne elettorali».
Questa fuga di notizie fu certamente d’aiuto a quei politici che cominciavano a sentire il fiato sul collo della magistratura e dovevano cominciare ad approntare tesi difensive…
«Le risultanze degli accertamenti compiuti dalla polizia giudiziaria consentono, allo stato, di ritenere attendibili le dichiarazioni del Salamone e di fare ritenere sussistenti gli estremi del reato di cui si tratta a carico del Mattarella». Nel concreto fu verificato che l’accusato era effettivamente un parlamentare e che abitava in via Libertà. Perché nel frattempo c’era stato il colpo di scena…
I punti non menzionati dai magistrati sono facili da arguire: riguardano l’ammissione dei 3milioni di lire in buoni benzina che essendo al di sotto della soglia di punibilità del reato di finanziamento illecito ai partiti (5milioni) sono valsi al futuro giudice costituzionale e Capo dello Stato la piena assoluzione.
Anche se il latore di quella “mazzetta” di preziosi ticket fu un imprenditore finito in manette insieme ad altri accusati di associazione per delinquere di stampo mafioso.
Fu il pm Patronaggio. oggi paladino dei migranti
in perfetta sintonia con il Capo dello Stato, a chiedere alla Camera di indagare sul contributo presa dall’allora deputato democristiano: troppo piccolo per giustificare una condanna…
LA MAZZETTA DELL’AFFARISTA MAFIOSO DI MODICA QUANTITA’
Allora le investigazioni accertarono solo una mazzetta di buoni carburanti dal valore di 3milioni di vecchie lire, ovvero 1.500 euro. Dunque non ebbe gran peso nemmeno la circostanza inquietante che provenissero da un affarista del boss dei boss Totò Riina: risultò essere di “modica quantità” e pertanto ogni cupolosa ombra per magia svanì dagli orizzonti dell’onorevole Sergio Mattarella, esimio avvocato figlio dell’ex sottosegretario Bernardo, uomo d’onore autentico, quest’ultimo: per virtù politiche secondo i suoi molteplici elettori ed estimatori, per vizi di collusioni mafiose secondo le documentazioni di molti scrittori siciliani…
In un precedente reportage abbiamo narrato la storia del genitore originario di Castellamare del Golfo (Trapani) e iniziato alla politica a Palermo dal governo provvisorio angloamericano Amgot dopo lo sbarco degli alleati che furono aiutati nell’impresa dai boss americani Lucky Luciano e Vito Genovese sancendo l’occulto asse CIA-MAFIA forse persino peggiore, per le nefaste e longeve ricadute, di quello ROMA-BERLINO che giunsero a spezzare…
Lascio ora alla stringata memoria di Marco Travaglio, attinta da un editoriale del Fatto Quotidiano ripreso dal sito di Michele Santoro, il compito di inquadrare rapidamente la vicenda: «Ai tempi di Tangentopoli finì a processo per un finanziamento illecito di Filippo Salamone, il costruttore di fiducia di Cosa Nostra. Salamone fu poi condannato per mafia e patteggiò la pena per tangenti a una sfilza di politici siciliani: confessò di avere finanziato Mattarella dandogli 40 milioni di lire in contanti e poi 10 milioni in buoni benzina per una campagna elettorale».
Leonardo Sciascia vi avrebbe certamente ricavato un romanzo vista la sfolgorante carriera del protagonista da deputato della Democrazia Cristiana a vicepresidente del Consiglio con delega ai Servizi Segreti nel governo D’Alema con l’Ulivo (1998-1999), subito dopo ministro della Difesa (1999-2001), poi deputato del Partito Democratico, quindi Giudice costituzionale (2011-2015), per essere infine eletto Presidente della Repubblica.
Prima di addentrarci nel racconto premetto di non essere ancora riuscito a reperire la sentenza sul caso e pertanto lancio ai lettori o agli interessati l’appello a fornirla, insieme a qualsivoglia ulteriore documento, per completezza e totale imparzialità d’informazione.
Negli atti parlamentari sulla vicenda emergono già moltissimi dettagli davvero interessanti come la circostanza che il primo incontro tra l’affarista mafioso ed il cordiale Mattarella sarebbe avvenuto alla presenza del suo delfino Leoluca Orlando, di cui fu premuroso padrino politico nel candidarlo a Sindaco di Palermo…
Un episodio giuridicamente marginale in quanto privo di benché minima rilevanza penale ma assai curioso sotto il profilo politico. Con l’aiuto di fonti dell’epoca vediamo nei particolari come e perchè l’attuale inquilino del Colle finì sotto processo.
GLI AFFARISTI DEI BOSS IN MANETTE
«“Ho gestito 30 miliardi di tangenti in quattro anni, di cui la metà destinata ai politici e l’altra metà a Cosa Nostra”. Comincia così la confessione di Angelo Siino, l’ uomo che dentro Cosa Nostra aveva il ruolo di ‘ministro dei Lavori pubblici’ . Parole, le sue, che chiamano in causa i politici, gli imprenditori e i boss che per anni hanno gestito i grandi appalti in Sicilia e che ieri sono finiti nella grande retata dei carabinieri e della Guardia di finanza».
L’articolo proveniente dall’archivio di Repubblica porta la data del 5 ottobre 1997 e inquadra perfettamente la situazione descritta dal “pentito”: «Nella caccia all’ appalto, Siino aveva svolto il ruolo di “mediatore” per conto della mafia sin dagli anni ’80 e, nelle dichiarazioni fatte ai magistrati di Palermo, precisa che il suo referente politico, fino al 1986, era stato l’ eurodeputato dc Salvo Lima, ucciso in un agguato nel 1992. Poi le cose cambiarono, Lima fu ‘scavalcato’ e da allora Siino ebbe come referente l’ imprenditore Filippo Salamone con cui decideva la distribuzione degli appalti e le quote di denaro da riservare alla mafia, “a Salvatore Riina”, precisa».
https://www.gospanews.net/2018/10/23/gli-intoccabili-siciliani/