Strasburgo, Eurocamera con vista sulle Regionali

Se pronunci la parola “curtigghio” – qui, dentro gli insondabili palazzi di vetro della Mitteleuropa – per fortuna sono in pochi a capirti.

Pochi, ma buoni. Come quelli che sussurrano di una chiacchierata, durante un incontro nello stesso ristorante, fra Raffaele Stancanelli Caterina Chinnici. Così l’ex missino già sindaco di Catania e la magistrata diversamente dem si ritrovano per caso. Parlano di Ucraina, di Macron e di Le Pen. Ma inevitabilmente il discorso cade sulle Regionali. Da colleghi siciliani, seppur di fronti opposti, si confrontano.

Chinnici ammette di avere superato quasi tutti i dubbi sulla discesa in campo col centrosinistra, persino con le primarie, che comunque preferirebbe evitare. Stancanelli le fa un sincero in bocca al lupo e, quando la collega lo provoca sullo scenario di una sfida fra loro due, si schermisce: «Non succederà mai, ma sarebbe una partita leale e stimolante».

Si tira indietro dal ruolo di “cavallo di Troia” di Fratelli d’Italia, una specie di jolly fin qui (più o meno) coperto per unire chi non rivuole Nello Musumeci e pensa di mettere in difficoltà Giorgia Meloni. «Cara Caterina, ti direi pure che a certe condizioni (il centrodestra unito sull’uscente ricandidato, ndr) magari il mio voto personale sarebbe per te. Ma non penso che si verificheranno…».

I puntini di sospensione galleggiano fra l’emiciclo della plenaria, la buvette e gli uffici degli eurodeputati siciliani. Così lontani, in apparenza; così centrali, nella sostanza. A Strasburgo, nella prima sessione di voto in presenza dopo la pandemia, si respira aria di Regionali. Del resto, gli ultimi quattro governatori prima di entrare a Palazzo d’Orléans occupavano un euro-scranno: prima di Musumeci anche Rosario Crocetta e Raffaele Lombardo; a ritroso fino a Totò Cuffaro, eletto nel 2004, che lasciò il seggio allo stesso Lombardo subito dopo l’insediamento.

Una congiuntura destinata a ripetersi? «Vediamo come si evolvono le cose in Sicilia e valuteremo», apre un inedito spiraglio Chinnici incrociando i giornalisti nella passerella che conduce all’emiciclo. «Ma per adesso qui c’è tanto da fare, ho appena finito discutere di diritti di bambini ucraini», taglia corto (ma con un sorriso insolitamente birichino) l’eurodeputata prima di congedarsi. La figlia del giudice ucciso dalla mafia resta la punta avanzata del tridente ostentato dal segretario regionale del Pd, Anthony Barbagallo.

L’altra, assieme a un sempre più disinteressato Peppe Provenzano, è Pietro Bartolo, che ammette di essere «disponibile se mi chiamano, se me lo chiedono» a candidarsi. «Ma qui sto benissimo, mi piace quello che faccio e mi sento utile alla mia terra», scandisce davanti a un (pessimo) caffè mattutino in hotel. Il medico di Lampedusa, campione di preferenze alle Europee, sarebbe il nome ideale, a detta di molti che contano nel partito, per infiammare il popolo dem alle primarie; qualcuno continua però a nutrire riserve rispetto all’esperienza amministrativa di Bartolo, preferendo il curriculum di Chinnici, che fu assessora nel governo Lombardo. «Secondo me vogliono candidarsi entrambi e si stanno già facendo la guerra», rivela uno sherpa del gruppo S&D durante una pausa dei lavori che riprenderanno con la relazione su “equivalenza delle ispezioni in campo e delle sementi prodotte in Bolivia”.

Chinnici e Bartolo, ma anche Dino Giarrusso. Il recordman grillino alle scorse Europee è esplicitamente in corsa. «Con coerenza sono da mesi per le primarie. Scegliamo un programma, escludiamo gli impresentabili e i complici del disastro Musumeci. E poi coinvolgiamo, con regole chiare, il popolo dei nostri elettori in un evento che garantirà entusiasmo e partecipazione. Come sarà scelto il candidato del M5S? Spero non in tavoli romani o palermitani, ma con il coinvolgimento della nostra base, come del resto spero avvenga la scelta del referente regionale».

Più delicato, invece, il discorso nel centrodestra. «Voglio restare qui dieci anni», risponde da Strasburgo Stancanelli a chi lo provoca sulle ambizioni. L’argomento della conferenza stampa – “la tutela della proprietà intellettuale nel contesto europeo” – sembra voler dissimulare la centralità dell’ex senatore nei giochi per le Regionali. «Non è mai stato fatto il suo nome», la smentita di Licia Ronzulli dopo i rumors dell’ultima missione di Gianfranco Miccichè ad Arcore. «Chi è contro Musumeci è contro il partito e dunque contro Giorgia», il monito del dioscuro meloniano Giovanni Donzelli. Eppure Stancanelli resta un’eminenza grigia del fronte No-Nello. L’unico nome «di sintesi», sostengono alcuni alleati, che potrebbe persino indurre Cateno De Luca in tentazione di un passo indietro. «Io parlo con tutti, senza problemi, anche fuori dalla coalizione. Ma non è strategia, è un mio modo di essere, di fare politica», l’unica vaga ammissione dell’eurodeputato nel confronto informale con i cronisti. Insomma, la candidatura di Stancanelli non è all’ordine del giorno. O meglio: «Non c’è alcuna auto-candidatura: qualsiasi scelta non può prescindere dalla mia volontà e da quella del mio partito». Dunque è soltanto euro-fantapolitica. Lo è soprattutto perché Meloni non può permettersi di cambiare cavallo così tanto tempo prima che cominci la corsa. «A Raffaele hanno pure suggerito di uscire da FdI per essere più libero di muoversi alle Regionali, ma lui ha rifiutato: il suo mondo è lì dentro, non si sposterà mai», rivela un altro informato collega di Strasburgo.

E quindi, sornione, Stancanelli si gode il ruolo di grande saggio. La spaccatura del centrodestra? «A Palermo è ancora possibile trovare l’unità». Carolina Varchi in campo? «Ha le caratteristiche giuste per fare il sindaco: è una professionista affermata e radicata, la sua candidatura cresce nell’opinione pubblica». Ma ora per i patrioti – alla vigilia del vertice romano fra Matteo Salvini e Forza Italia con centristi e autonomisti – si prospetta lo spettro della solitudine. Eppure per Stancanelli «Fratelli d’Italia non è a rischio di restare isolato, perché siamo il primo partito. Altra cosa sono i giochi di palazzo, che non sono molto apprezzati dai nostri elettori».

Ma con Musumeci non ci sono davvero margini di pace? «Io non ne ho mai fatto una faccenda personale: ho sempre posto questioni e critiche politiche», chiarisce rispondendo a una provocazione nel programma “Il Punto” in onda su Telecolor domenica prossima. Cioè la domenica delle Palme: «Io sono anagraficamente più grande di lui e sono io quello che è stato insultato. Non tocca a me portare il ramoscello d’ulivo…».

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