Messina Denaro , le fesserie e le stranezze:quando il boss si vantava di percepire l’indennità di disoccupazione.

Matteo Messina Denaro è il “numero uno” tra i latitanti italiani, uno dei maggiori ricercati al mondo.  Eppure, secondo seri ed esperti investigatori, Messina Denaro, spietato killer e mafioso dal cervello diabolico è stato pure aiutato da chi lo combatte o dice di farlo. Messina Denaro come risulta dagli archivi Inps ha preso pure la disoccupazione. Viene da ridere o forse piangere. Il boss non aveva certo bisogno ma il “fotttere” lo Stato tramite i suoi veri amici dentro le istituzioni era un punto di forza e di vanto. Era giovane disoccupato e faceva la domanda
 Tra poco il boss compirà 60 anni . Molti di questi anni li ha vissuti in libertà. Magari con il nome falso prende puire il reddito di cittadinanza . Magari si diverte a leggere nei libri tante stronzate e brinda con i soldi del reddito.  L’imprendibile   ha altri due primati: il primo è relativo al numero di carriere assicurate al mondo dell’antimafia e l’altro, alle persone che ha fatto arrestare per la mancata cattura. Tutti fiancheggiatori ? O abbagli presi dalle procure? Tutto questo grande equivoco sulla sua latitanza ha generato anche fiorente mercato . Basta scrivere anche fesserie e il guadagno è assicurato
 L’ultima volta che qualcuno lo vide libero , secndo alcune inchieste era in vacanza a Forte dei Marmi, nell’agosto del 1993, con suoi fidatissimi amici Filippo e Giuseppe Graviano. Poi più nulla. Le storie su di lui delineano la figura di un mafioso spietato, pronto a uccidere anche gli innocenti, forse più furbo degli altri, di sicuro più prudente, ai limiti della paranoia. Non è mai stato in carcere.
Ciò che è certo di  Messina Denaro  è che fece ogni sforzo per  seguire le orme del padre, Francesco, don Ciccio, boss mafioso di Castelvetrano legato da una stretta alleanza ai corleonesi di Totò Riina, il clan vincente degli anni Ottanta e Novanta. A vent’anni Messina Denaro partecipò attivamente, assieme ai corleonesi, alla guerra contro le famiglie ribelli di Marsala e del Belice. Divenne il pupillo di Totò Riina. Era già un mafioso però prendeva l’indennità di disoccupazione dall’Inps, e se ne vantava. Andava in giro con una Porsche, si vestiva Armani, al polso aveva un Rolex Daytona e incassava i soldi della disoccupazione. Peccato che nessun PM abbia mai indagato si chi diede questo vantaggio al boss
Come riporta il libro L’invisibile, scritto da Giacomo Di Girolamo,  giornalista serio e scrupoloso in una lettera recuperata dalla polizia nel 2015 Messina Denaro scriveva: «Io qualche rimpianto nella mia vita ce l’ho, il non avere studiato è uno di essi. È stato uno dei più grandi errori della mia vita, la mia rabbia maggiore è che ero un bravo studente solo che mi sono distratto con altro».
Ci sono libri che scrivono molte inesattezze e altri molto rispettosi delle verità dimostrate e certificate.
I libri pieni di errori alla fine aiutano la sua latitanza. Il boss gode sull’equivoco e sugli innocenti accusati
Fu Paolo Borsellino, nel 1989, a iscrivere per la prima volta il suo nome in un fascicolo d’indagine. Un commissario di polizia di Castelvetrano, Rino Germanà, iniziò a indagare su quel ragazzo: quel ragazzo decise di ucciderlo. Messina Denaro, Leoluca Bagarella e Giuseppe Graviano, a bordo di una Fiat Tipo, intercettarono Germanà sul lungomare di Mazara del Vallo. Iniziarono a sparare, il commissario rispose al fuoco, uscì dalla macchina e si gettò in mare inseguito da Bagarella il cui Kalašnikov si inceppò.

Anni dopo Giovanni Brusca, come ricorda sempre il libro di Di Girolamo, disse durante l’udienza di un processo: «Bagarella le armi moderne non le sa usare». Germanà si salvò.

Dopo l’attentato, Messina Denaro divenne latitante: ufficialmente il suo nome è iscritto nella lista dei ricercati dal 2 giugno 1993. A quel punto era già diventato il capo di Cosa Nostra nella provincia di Trapani, leader indiscusso delle nuove leve. I soldi arrivavano dalle estorsioni: per gran parte dei contratti, accordi, transazioni nella zona del trapanese, una percentuale doveva essere versata ai Messina Denaro.

Tanti altri soldi arrivavano dallo smaltimento illegale dei rifiuti, dal riciclaggio di denaro e naturalmente dal traffico di droga. I soldi passavano attraverso i conti di centinaia di prestanome. Messina Denaro faceva, e presumibilmente fa, affari in Sudamerica, Spagna, Francia, Paesi Bassi, Nord Africa. Fedelissimo di Totò Riina, Messina Denaro esercitava il controllo militare sul trapanese. Era lui a decidere gli obiettivi da colpire, lui a comandare gli eserciti nelle guerre di mafia.

Fu lui a segnalare a Riina i monumenti a Roma, Milano e Firenze da colpire per attaccare lo Stato tra il 1992 e il 1993.

Ha raccontato Francesco Geraci, pentito di mafia: «Un giorno Matteo mi venne a trovare chiedendomi cosa ne pensassi di un progetto di attentati da effettuare nei confronti di personaggi famosi come Baudo, Costanzo, Martelli, Santoro e altre personalità di rilievo. Disse che così si sarebbe destabilizzato lo Stato. Io risposi “Buono è”. Così lui mi disse che presto ci saremmo trasferiti a Roma a frequentare i vip».

Prima di partire, Messina Denaro portò Geraci, Vincenzo Sinacori, Giuseppe Graviano e Fifetto Cannella a comprare vestiti eleganti. A Roma frequentarono locali alla moda sperando di incontrare personaggi dello spettacolo e attori. Iniziarono a studiare i movimenti di Maurizio Costanzo, andarono almeno due volte al teatro Parioli dove Costanzo registrava la sua trasmissione. L’attentato fu tentato in via Fauro, a Roma, il 14 maggio 1993: Costanzo e la moglie Maria De Filippi ne uscirono illesi. Oggi il mistero rimane su chi diede ordini alla mafia per effettuare le stragi.